lunedì 19 novembre 2018

I GESSAI NON HANNO UN SANTO? Articolo e canzone su una realtà siciliana straordinaria pressoché negletta, su "Lumìe di Sicilia"


"Lumìe di Sicilia", n. 121 (n. 36 online) - dicembre 2018

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Foto di Angelo Pitrone


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Marina Castiglione, Parole e strumenti dei gessai in Sicilia. Lessico di un mestiere scomparso, 
Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, Palermo 2012,  pag. 15


I TESTI

I gessai non hanno un Santo
di 
Piero Carbone e Giuseppe Maurizio Piscopo


Sul mondo del gesso esistono pochi studi e nemmeno gli usi artistici l'hanno nobilitato. Maggiore attenzione è stata rivolta al mondo dello zolfo con le sue tragedie e le sue miserie. La solfatara ha avuto l'attenzione del mondo letterario, antropologico, etno-linguistico, come scrive Marina Castiglione nel libro: Parole e strumenti dei gessai in Sicilia. Lessico di un mestiere scomparso“ pubblicato dall’Università di Palermo nel  2012. Allo zolfo invece sono state dedicate molte opere.

Nel 1700 il gesso assurse a materiale artistico ad opera di Serpotta che insieme ad una notevole schiera di discepoli lasciò dei capolavori nelle chiese non solo di Palermo.
Al gesso è legata anche qualche poesia e qualche proverbio. 

Supra di quattru timpuna di jissu,
chistu è Salemi, passacci d’arrassu…

Nelle cave di gesso non c’era nessuna concessione o licenza, nessun sindacato, nessun controllo. Non c’è stata nessuna pensione per i gessai, nessun limite.  Per l’estrazione veniva usato anche l’esplosivo. In Sicilia si produceva oltre il 60% di gesso dell’intero Regno d’Italia. Qualcuno ha scritto che i gessai muoiono a cento anni e che il gesso non fa male alla salute. Sarà stato veramente così?
La sua origine si dice dovuta ad un caso fortuito: a Favara i pastori, per produrre la ricotta, utilizzavano una cucina montata con pietre di gesso per poggiarvi sopra la pentola con il latte da cagliare. A la fine cottura le pietre si sfarinavano. Che il gesso sia stato scoperto veramente così?

Oggi tutto è stato abbandonato, le cave e le carcare non sono agibili e non esiste alcun progetto che riproponga la valorizzazione di questi luoghi che sembrano luoghi spettrali, in abbandono.…
I gessai cantavano a ritmo di picconi e "mazzuotti“ ma con parole laiche, si lamentavano e non avevano un Santo che li proteggesse. Con la fine dei gessai scompare  la cultura contadina  che è stata fino all’immediato dopoguerra la componente essenziale dell’identità dei siciliani.

In Sicilia esistevano vari tipi di gesso, ma identica era la lavorazione. Un testimone racconta:
 U gessu prima si fa muntagna po si fa petra, poi a petra si porta intra a fornaci e intra a carcara va cu i carrioli…Il lavoro del gessaio iniziava all’alba e finiva all’alba. Si campava pi non muriri… Otto viaggi al giorno per trasportare il gesso, 5 di mattina, poi  si staccava il carretto, si faceva mangiare il cavallo. Altri tre viaggi nel pomeriggio. I gessai lavoravano 18 ore al giorno.
Molti erano i paesi del gesso fra i quali: San Cataldo, Caltanissetta, Sutera, Milena, Campofranco, Montedoro, Cattolica, Favara, Racalmuto, Bivona, Lercara, Grotte... 

Si lavorava tra la polvere e u cinnirazzu che veniva respirato e ingerito nei polmoni. I carusi trasportavano il gesso sulle spalle. Il trasporto del gesso avveniva inoltre con gli asini, i carretti e con il treno. Il gesso era richiesto a Corleone, Burgio, Baucina, Vicari, Marineo, Mezzoiuso, Palermo... 

Nonostante il diffuso uso, issu e issara non hanno avuto fortuna. Di gesso e gessai quasi nessuno parla. Neanche i vocabolari siciliani storici li annotano. 

A volte è dovuta alla casualità la sua conoscenza: “Ne ho avuto sentore in casa nella mia infanzia, perchè sentivo dire che la casetta in campagna era stata costruita col gesso del nonno, cotto nella vicina calcara.“

Tutt’altra storia per il celebrato zolfo e i commiserati zolfatari, e non solo perchè i nostri sono paesi minerari. Tutt'altra letteratura. Chi non conosce la triste condizione dei carusi e i rischi del lavoro in miniera? E Ciaula che scopre la luna e Rosso Malpelo e Alessio Di Giovanni? Del gesso, solo qualche indizio, pressoché nulla, anche se aveva le sue malattie "professionali“ e i suoi incidenti sul lavoro, sebbene meno eclatanti.

Al silenzio sull’attività dei gessai corrisponde nella realtà lo stato di abbandono delle cave e delle calcare. Solo la similitudine "comu scecchi di issara" -  che ricorre nel parlato quotidiano per indicare lavoro faticoso e stacanovismo ante litteram - fa riferimento al gesso: eppure, era molto diffuso e utilizzato in Sicilia, rappresentava il cemento di una volta. Utilizzato per case chiese palazzi. Serviva anche per cicatrizzare le ferite o per "aggiustare" il mosto aumentandone l’acidità.

 Queste e tante altre notizie sul mondo negletto del gesso si apprendono dal citato libro della Castiglione. Rivela un mondo che inavvertitamente sta sotto i nostri occhi. 

Significativo l’incipit: “Tra i molti studi dedicati alla cultura materiale in Sicilia nessuno risulta aver avuto come oggetto di interesse le cave di gesso. Nessuna epopea ha contrassegnato questo mestiere ordinario e comunissimo; nessun trauma lo ha imposto alla  cronaca; neanche gli usi artistici lo hanno nobilitato“.

Tra gli usi artistici, vanno ricordati i numerosi stucchi del Serpotta e le gipsoteche ovvero le raccolte di statue e calchi in gesso come quello di Michele Tripsciano a Palazzo "Moncada" di Caltanissetta o quelle dell’Università di Palermo, del Museo Archeologico “Salinas“ e di Palazzo "Ziino", sempre a Palermo. 

La riflessione di Marina Castiglione vale come un appello. 
Postato sui social, da più parti sono fioriti contributi, testimonianze, racconti, canti, inediti documenti, curiosità su issu e issara: Sclafani, Niscemi, Bivona, Grotte, Casteltermini, Lercara Friddi… Giuseppe Pasquale Palumbo ha dato notizia di una mappa delle calcare esistenti nel territorio di Milocca nella prima metà dell’Ottocento, che sarà inserita in una pubblicazione curata con Angelo Cutaia.
L’esistenza di un antico canto di lavoro a Racalmuto, registrato negli Sessanta da Isabella Martorana Messana per la sua tesi di laurea, ha suscitato la curiosità della stessa Marina Castiglione e dell’etnomusicologo Sergio Bonanzinga richiedendone la riproposizione.

Nell’articolo dal titolo "Il gesso si è svegliato" sulla rivista "Incontri" (luglio 2018) Marina  Castiglione addita percorsi virtuosi affinché il risveglio coincida con una reale promozione: 

"Un patrimonio materiale e immateriale che potrebbe essere valorizzato con poca spesa e molto impatto, con un reticolo di altre realtà che vissero la millenaria civiltà del gesso".

Operativamente, suggerisce al Comune di Caltanissetta di preservare una superstite calcara in collegamento con la gipsoteca di Palazzo Moncada da utilizzare a scopi artistici in percorsi museali e didattici. 
È significativo che tale proposta provenga da un territorio ricco di miniere e cultura mineraria come a volere dire "non solo zolfo e zolfatare" ma anche "gesso e calcare" poiché anche la calcara è "un luogo identitario di cui, però, la città sconosce tutto. L’uso, la tecnica di realizzazione e persino l’ubicazione". 
Operazione che in diversa misura si potrebbe ripetere anche in altri paesi.

Il recupero varrebbe come una sorta di risarcimento nei confronti del gesso e dei gessai per l’oblio e la poca letteratura dedicata; varrebbe come risarcimento nei confronti di noi stessi in quanto siciliani, poiché anche il gesso, per quello che ha rappresentato da un punto di vista socio-economico e culturale, contribuisce a definire e ad arricchiere la nostra indentià. 

Il convegno che prossimamente si dovrebbe celebrare a Caltanissetta, come una sorta di festival del gesso,  potrebbe essere l’inizio di un  lungo cammino, un fecondo "segno" dell’auspicato "risveglio".
                                                                                       
La canzone

Vita di issara

               Testo di Piero Carbone
                     Musica di Giuseppe Maurizio Piscopo


Ritornello:. 
Issu, issara: vita di carcara.
Issu,  carcara: vita di issara.
Issu, balati: forti cafuddrati. 
Furnu, famìa: issu abbianchìa.

I
A Buovu e Gargilata issu c’era,
Bivona cu Lercara china nn’era,
ci nn’era a Grutti, c’era all’antri banni:
luciva e luci muntagni muntagni.

Lu palu spirtusava rocchi e cugni,
la pruvuli sparava, e li timugni 
di petri carriavanu sudannu 
a la carcara  jennu hiatiannu.

Rit.

II
Ti nfurna, lu issaru, e ti piddrìa,
balata, duoppu cotta, e macinìa
a cuorpi di picuna e mazzuttati
di hiatu e di sudura ncuttumati.

Carretti sientu nni la notti scura,
un cantu, griddri, fierri di na mula.
Carrianu, li scecchi di issara,
a prucissioni. Su li urdunara!

Rit. 

III
Antichi casi di servi e patruna,
e rrobbi granni, nichi cubbuluna,
mpastati cu lu issu di carcara
e stucchi, statui, angili d’antara.

Issotta, ciarmaliddri, baddruttati,
li tietti di canneddri arraccamati.
Lu issu finu li mura bbianchìa.
Sciloccu nni li casi un ci putìa

Rit.


IV
Lu fuocu di lu tiempu cuciunìa
a tutti, comu furnu nni famìa,
nni coci com’abbastru di carcara:
biancu dintra e fora chi s’affara.

Facivanu accussì nni la carcara.
Oh, issu binidittu di issara!
Recitato:
La storia cancia, lu cimentu vinni:
palazzi frolli, ponti ntinni ntinni.

Ritornello finale:

Issu, issara: vita di carcara.
Issu,  carcara: vita di issara.
Issu, sudura, mpinti mura mura.  
Figli, lu pani, aspettanu dumani.

Recitato finale:
Figli, lu pani, aspettanu dumani




Nota del compositore

Confesso che mi occupo di tradizioni popolari da quasi 50 anni. 
Quest’anno, per la prima volta sono rimasto affascinato da un testo di Piero Carbone “Vita di issara“. Di questo mondo magico e dimenticato, ne abbiamo parlato a lungo, soprattutto della cava di gesso e della calcara gestite dal nonno paterno. Ecco una strofa del testo da me musicato che sarà pubblicato nel libro-cd “Carusi di zolfo“ di prossima pubblicazione.

Issu issara: vita di carcara. / Issu carcara, vita di issara./ Issu sudura mpintu mura mura./
Figli lu pani aspettanu dumani.//  Carretti sientu ni la notti scura,/  un cantu, griddri, fierri di na mula. / Carrianu li scecchi di issara, / la vita comu sacchi di carcara…

Con l’esperienza di maestro elementare nasce spontanea la domanda:

Che cosa rimane di questa cultura, cosa conoscono i bambini di questo mondo, che cosa c’è nei libri di scuola elementare di questi argomenti?

Una domanda che non è rivolta soltanto ai bambini, si capisce.







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