Alfio Patti
Arsura d’Amuri
Omaggio
a Graziosa Casella
Bonanno Editore 2013
Perché hai acceso i riflettori su di me?
Vai in giro, chiedi, vuoi sapere.
Dalla
lettera immaginaria indirizzata da Graziosa Casella ad Alfio Patti, scritta da
Gabriella Rossitto e amabilmente pubblicata dall’autore a corredo di questo saggio,
cogliamo lo spunto per instradare le nostre brevi riflessioni.
“Mi regalarono, una domenica
mattina di circa quindici anni fa, un quadernetto dal titolo Il poeta dimenticato, in cui erano
riportate le poesie (poche in verità) di quattro poeti.
In quell’opuscolo,
curato dal Circolo Arte e Folklore di
Sicilia di Catania, – rammenta Alfio Patti – lessi nove sonetti d’amore di
Graziosa Casella che mi colpirono. Qualche anno dopo musicai il sonetto n°2,
che titolai S’avissi diciott’anni. Lo
studio della poesia siciliana – prosegue – mi ha spinto a creare una serie di
conferenze a tema su poeti siciliani e nella conferenza dal tema L’attesa, tenutasi al Circolo Paternò – Tedeschi di Catania nel 2012,
inserii, oltre alla D’Amico e alla Aiello, la Casella, tutte e tre di Catania.”
Se lo stesso Patti non venisse sua sponte in nostro soccorso, la
domanda che verrebbe spontaneo porgli sarebbe: “Fra i numerosissimi autori nei
quali ti sei imbattuto lungo il tuo ormai trentennale percorso artistico, come
mai questo specifico interesse, questa predilezione riguardo ad una artista pressoché
sconosciuta, scomparsa da oltre cinquant’anni, per giunta convintamente ortodossa,
se non nel sentire, di certo nella scelta della forma della scrittura?”
Sono stato spinto “da una forza
che vuole a tutti i costi raggiungere la verità”; sono stato “chiamato dallo
stesso personaggio”, ci confida Alfio Patti.
Sono stato “chiamato dal personaggio”!
Stenteremmo a crederci se non conoscessimo da lunga pezza Alfio Patti, se non
avessimo contezza del suo genuino trasporto verso la letteratura e gli autori
dialettali siciliani, se non avessimo coscienza dello spessore delle sue opere,
sia nella veste di poeta e narratore che in quella di ricercatore (preziosa, in
questo senso, la monografia Canzuneri ppi
Rusidda di Giuseppe Nicolosi Scandurra, del 2006). Ma, vagliati quei
precedenti, l’odierna vocazione non ci sorprende.
A che pro? È la questione
immediatamente successiva; ma ci arriveremo fra un attimo.
“Dopo la conferenza e dopo avere
musicato la poesia, – seguita Patti – pensai di portare in scena una piece omaggio alla poetessa catanese, uno
spettacolo da lei inspirato e a lei dedicato che intitolai Arsura d’amuri, uno spettacolo in cui venisse rappresentato l’amore
passionale, quello che arde, che consuma.”
Tramite esso, una metafora del
bisogno d’amore di cui la nostra società, seppur tecnologicamente evoluta, necessita,
“ho tentato di risarcire la poetessa (tento di farlo ancora con questo lavoro)
facendola conoscere ai più.
Dopo lo spettacolo, che andò in scena al Centro ZO
di Catania il 20 Maggio 2012, iniziai una lunga ricerca per trovare i testi
della Casella.”
Graziosa Casella fece della sua
vita un tutt’uno d’amore e di poesia: “fu la poesia che le fece superare le
disavventure che la vita le pose innanzi; fu la poesia che la portò sotto i
riflettori della ribalta per raccogliere gratificazioni e successi ma anche
denigrazioni e calunnie.”
“Poetessa
della passione amorosa, valeva per lei l’equazione donna = poeta, ritenne sempre
la poesia vita, strumento atto ad aprire perfino gli antri più bui della sua
intimità, e se ne nutrì fino alla morte. Ancorché nel 1946 i rinnovatori della
poesia dialettale siciliana come Ugo Ammannato, Miano Conti, Paolo Messina e
Pietro Tamburello fondarono il Gruppo
Alessio Di Giovanni, lei rimase sulla zattera dei poeti tradizionalisti,
rimase ancorata alla poesia tradizionale.”
Non forma oggetto di questo essenziale
studio scandagliare le traversie personali, esplorare le esecuzioni formali, riferire
circa gli esiti della poesia di Graziosa Casella (Alfio Patti, del resto, vi si
sofferma a sufficienza) e su essi perciò non ci dilungheremo, eccetto,
beninteso, che per quegli stralci che dovessero risultare funzionali alla
stesura di questa nota.
D’altra parte, con la meticolosità dell’erudito, quanto
a certe soluzioni ortografiche, Alfio Patti rileva che: “nelle poesie di
Graziosa Casella si trovano degli errori e degli orrori ortografici e
grammaticali. Ho lasciato le poesie così come le ho trovate sul Lei è lariu; stavo per convertirle in un
dialetto più corretto e più contemporaneo e non l’ho fatto, per rispetto
filologico e storico ma anche per far notare come allora vi fossero ancora
problemi irrisolti”.
“Perché si faccia luce e anche
giustizia”, è la replica alla questione appena posta.
Il compito, la mission anzi, che Alfio Patti sembra
essersi prefisso, dunque, non è tanto e solo quello di palesarne la statura di
poeta la quale, si evince dalle testimonianze e dai trentaquattro testi
riprodotti nel volume in argomento, è ben apprezzabile.
La perentoria affermazione alla
pagina 41, “perché si faccia luce e giustizia”, ci provoca una sorta di
inquietudine e ci induce ad approfondire la conoscenza di una figura della
quale, ammettiamo, ci era giunta unicamente l’eco e della quale solo adesso, grazie
alla esegesi di Alfio Patti, sappiamo.
Risulta indifferibile a questo
punto, estrapolandole dall’elaborato di Alfio Patti, ripercorrere le tappe fondamentali
dell’esistenza di Graziosa Casella.
Graziosa
Casella nacque a Catania il 20 novembre 1906. Negli anni Trenta, notoriamente, la
politica del regime fascista non fu favorevole all’emancipazione femminile. Tra
gli anni Quaranta e Cinquanta, scrollatasi l’Italia il regime di dosso,
Graziosa Casella fu l’unica poetessa a prendere parte attivamente e con
successo alla vita culturale catanese, oltre ad essere l’unica capace di
scrivere con maestria in dialetto.
Cominciò a collaborare con il Lei è lariu dal 1945, ne divenne poi
aiuto-redattore, non smettendo più di pubblicarvi se non tre mesi prima della
morte.
Nel 1946 sposò l’insegnante Rodolfo Puglisi.
Intensamente
presente in attività culturali fra il 1945 e il 1959, molto stimata in quel
mondo poetico e letterario del secondo dopoguerra al quale partecipò con grande
passione e osmosi, la Nostra teneva testa ai più famosi poeti dell’epoca, tutti
uomini, con i quali instaurò una ultradecennale “relazione” fatta di botte e risposte.
Intelligente, attenta, garbata, conoscitrice di quel mondo maschilista nel
quale una donna sola, anche se stimata e rispettata, doveva “saper vivere”, non
si montò mai la testa e rispose con sopportazione ai detrattori e con sapienza
alle lusinghe.
Secondo
testimoni dell’epoca, consegnò due sue raccolte: Ciuri di spina e Autunnu e
primavera, a poeti di Catania perché le pubblicassero.
Prima che la morte il
14 dicembre 1959 la cogliesse, ritirò però Ciuri
di spina e, dalla sua scomparsa, del manoscritto non si hanno più notizie.
Dell’altra raccolta, Autunnu e primavera, sono invece rimaste alcune poesie pubblicate nel fascicoletto, a cura del circolo etneo Arte e Folklore di Sicilia del quale si è detto. Si tratta di nove sonetti che parlano di un amore intenso ma impossibile, per via del divario di età fra i due amanti, lui più giovane di lei.
Dell’altra raccolta, Autunnu e primavera, sono invece rimaste alcune poesie pubblicate nel fascicoletto, a cura del circolo etneo Arte e Folklore di Sicilia del quale si è detto. Si tratta di nove sonetti che parlano di un amore intenso ma impossibile, per via del divario di età fra i due amanti, lui più giovane di lei.
“Se nella vita era stata
osteggiata e vilipesa per via del suo modo di vivere e delle sue scelte, –
riprende Alfio Patti – nel mondo letterario si era guadagnata il rispetto e la considerazione
di tantissimi poeti e di uomini importanti.
Ciò nondimeno, le antologie degli anni successivi furono redatte da coloro che erano giovani e modernisti, da coloro che si opposero alla vecchia poesia siciliana e formarono gruppi e giornali per rinnovarla, per cui ho motivo di credere che la Casella sia stata omessa perché superata, perché appunto della vecchia generazione.
Non compare difatti in nessuna delle antologie pubblicate dopo la seconda guerra mondiale e nemmeno in quelle precedenti, tranne che per un accenno di Salvatore Camilleri nell’Antologia del sonetto siciliano del 1948; non viene citata né nelle raccolte al femminile né fra le circa duecento poetesse siciliane riportate da Santi Correnti in Donne di Sicilia del 1990.”
Ciò nondimeno, le antologie degli anni successivi furono redatte da coloro che erano giovani e modernisti, da coloro che si opposero alla vecchia poesia siciliana e formarono gruppi e giornali per rinnovarla, per cui ho motivo di credere che la Casella sia stata omessa perché superata, perché appunto della vecchia generazione.
Non compare difatti in nessuna delle antologie pubblicate dopo la seconda guerra mondiale e nemmeno in quelle precedenti, tranne che per un accenno di Salvatore Camilleri nell’Antologia del sonetto siciliano del 1948; non viene citata né nelle raccolte al femminile né fra le circa duecento poetesse siciliane riportate da Santi Correnti in Donne di Sicilia del 1990.”
“Attraverso
una accurata ricerca – continua Patti – sono riuscito a trovare oltre duecento
titoli sparsi su giornali e riviste dell’epoca. Ne ho selezionati trentaquattro
che hanno in comune il tema: l’amore vero, struggente, passionale; ma anche
intellettuale e sentimentale.
Libera, autentica, capace, Graziosa Casella usava la poesia come un diario intimo che poi comunicava a tutto il mondo; parlava di sé, della sua famiglia, della sua casa, della sua gattina, dei suoi sentimenti, mettendoli su carta senza veli, senza mai mascherarsi; parlava di una vita difficile, di gente che la denigrava senza averla conosciuta veramente.
La perfidia della gente che invidiava il suo talento, lo scandalo che aveva destato la sua relazione misero la Casella al centro di attenzioni e pettegolezzi.”
Libera, autentica, capace, Graziosa Casella usava la poesia come un diario intimo che poi comunicava a tutto il mondo; parlava di sé, della sua famiglia, della sua casa, della sua gattina, dei suoi sentimenti, mettendoli su carta senza veli, senza mai mascherarsi; parlava di una vita difficile, di gente che la denigrava senza averla conosciuta veramente.
La perfidia della gente che invidiava il suo talento, lo scandalo che aveva destato la sua relazione misero la Casella al centro di attenzioni e pettegolezzi.”
Ho ancora i loro occhi neri addosso come
ragni molesti; era un passatempo ruminare il mio nome, appesantirlo di invidia
e cattiveria, sputarlo sporcato di ignominia. Ho pagato colpe non commesse,
gonfiate dalle convenzioni e dalla stupidità. All’improvviso erano tutti rigidi
moralisti benpensanti, tutti senza macchia. Una Catania rigorosa e austera come
i suoi palazzi e al tempo stesso fatiscente e lercia come certi vicoli
nascosti.
Non
si sa con esattezza quando ebbe luogo la relazione di cui lei scrive. Parecchie
delle poesie in questo volume antologizzate furono pubblicate fra il 1945 e il
1950 sul Lei è lariu, probabilmente
scritte in precedenza ma divulgate in quel periodo, nonostante la sua
condizione di donna sposata. Il presunto amante, Vanni dagli occhi chiari e dalla vucca duci e assassina, ha 28 anni; per il giovane, scriverà
ininterrottamente anche quando lui non la amerà più.
Nel disporre i trentaquattro “infuocati”
testi, puntualizza Alfio Patti, “ho tracciato l’excursus di un amore unico, dell’amore per l’amore, con un inizio,
un culmine e una fine.”
Anticonvenzionale per eccellenza, femminista ante litteram, Graziosa Casella fu audace e coraggiosa. La mente, si sa, non sente le ragioni del cuore e “il cuore della Casella non sentì ragione alcuna e si lasciò ardere al fuoco della passione che le fece scrivere dei sonetti magnifici. Forse Vanni sarà stato un nome inventato, ma leggendo le liriche si capisce che non ci sono tante metafore; la poesia è diretta e immediata, senza fronzoli, così come il suo carattere, spartano e combattivo.”
Anticonvenzionale per eccellenza, femminista ante litteram, Graziosa Casella fu audace e coraggiosa. La mente, si sa, non sente le ragioni del cuore e “il cuore della Casella non sentì ragione alcuna e si lasciò ardere al fuoco della passione che le fece scrivere dei sonetti magnifici. Forse Vanni sarà stato un nome inventato, ma leggendo le liriche si capisce che non ci sono tante metafore; la poesia è diretta e immediata, senza fronzoli, così come il suo carattere, spartano e combattivo.”
Nelle
cento pagine circa della trattazione, peraltro assai minuziosa, Alfio Patti non
appura come Graziosa Casella si sia incontrata con la sua vocazione di poeta,
come, quando, da chi lei, di origini modeste, imparò a scrivere il dialetto; si
sottolinea che “la sua formazione avvenne a cavallo fra le due grandi guerre”,
che “tra gli anni Quaranta e Cinquanta lei fu l’unica poetessa capace di
scrivere con maestria in dialetto”; si fa cenno al suo “talento naturale
rafforzato con studi classici da autodidatta”; si dichiara che “la Musa l’aveva
baciata in fronte” … D’altronde, fino al 1945, di lei non si hanno che risicate
notizie.
Rimarcata l’insistenza del termine ragiuni, pure nella voce verbale ragiunari nelle sue coniugazioni: si la ragiuni lu cori cuntrasta!,
non bisogna ragiunari,
lu cori non senti ragiuni,
nonché del
termine
turtura: voi mettiri stu cori a la turtura,
sta luntananza oh quantu mi turtura,
non canusceva ancora sti turturi,
evidentemente legati alle evocate
vicissitudini sentimentali; ribadita la differenza di età della quale si fa menzione
in forma traslata nel confronto fra autunnu
e primavera:
cu autunnu non s’accoppia a primavera,
o duci primavera, si tu voi
po’ dari autunnu li chiù megghiu ciuri;
esposti, solo a mo’ d’esempio, pochi frammenti lirici:
Era sita era rasu era villutu
/ ‘ssa vucca bedda to ca m’ha vasatu,
pari ’n nastru d’argentu lu stratuni
/ e
luciunu li stiddi sori sori,
sutt’autri
celi addrizza li to’ voli,
cogliamo con diletto un collegamento,
suggeritoci (a motivo del palese richiamo) dai versi:
’n cintinaru ancora di vasuni,
e
di vasuni n’appi un munnu sanu,
porta
stu cantu a tia li me vasuni,
con taluni passi del carme a Lesbia di Gaio Valerio Catullo i quali,
nella traduzione nel nostro dialetto, recitano:
E allura milli vasuni dammi e poi centu
/ e poi nautri milli e poi
nautri centu
/ e arrè milli e arrè centu.
Tiriamo, quindi, le somme di
questa succinta analisi.
Primo
importante aspetto di questo encomiabile saggio di Alfio Patti è che egli, con
lo scrupolo dello studioso, tiene a collocare Graziosa Casella nella storia,
nella dimensione sociale e culturale etnea degli anni nei quali lei visse ed
operò; gli accostamenti biografici, i documenti, i ragguagli che egli attiva
sottendono giusto alla fondata valutazione di quella vicenda.
Il principale
proposito pertanto, che mi pare Alfio Patti intenda perseguire, è quello di
squarciare un velo, di sollevare degli interrogativi in ordine a quella tormentata
vicenda (e pur tuttavia egli non si esime dal profilare, per quanto possibile e
ricostruibile, anche qualche ipotesi in risposta a quegli interrogativi), di restituire
alla cultura e all’apprezzamento dei Siciliani la poesia e soprattutto la
straordinaria figura di Graziosa Casella, a dispetto di quanti, allora, l’hanno
“volutamente sotterrata”.
Altro
aspetto qualificante, quello che ritengo abbia scatenato l’ira “non funesta” di
Alfio Patti, è che di Graziosa Casella, come con vigore l’autore registra, non
si è più scritto dopo la sua morte. D’un tratto, da una grande visibilità e
notorietà, lei è passata all’oblio totale, all’oscuramento più completo, al
silenzio come se mai fosse vissuta.
“Perché tutti coloro i quali sostennero
una certa poesia tradizionale hanno trovato spazio e ricordo e la nostra
poetessa no? La domanda, dettata dallo stupore e dallo sdegno, mi ha
accompagnato – asserisce Alfio Patti – durante le ricerche e la stesura di
questo lavoro.
Fu, forse, quel mondo maschile e maschilista che volle “seppellire” una poetessa che aveva “osato” sfidare e tenzonare con esso?
Oppure perché, come sostenuto dallo Scandurra [Giuseppe Nicolosi], non vi furono pubblicazioni al suo attivo?
O, ancora, perché implicata in un clamoroso processo giudiziario che la vide, poi, estranea ai fatti?
Non voglio pensare che per il fatto di essere stata donna, l’unica di quegli anni con questo spessore, battagliera e istruita, libera di cuore e di sensi, abbia pagato con un oblio durato cinquant’anni.”
Fu, forse, quel mondo maschile e maschilista che volle “seppellire” una poetessa che aveva “osato” sfidare e tenzonare con esso?
Oppure perché, come sostenuto dallo Scandurra [Giuseppe Nicolosi], non vi furono pubblicazioni al suo attivo?
O, ancora, perché implicata in un clamoroso processo giudiziario che la vide, poi, estranea ai fatti?
Non voglio pensare che per il fatto di essere stata donna, l’unica di quegli anni con questo spessore, battagliera e istruita, libera di cuore e di sensi, abbia pagato con un oblio durato cinquant’anni.”
Alfio
Patti, travolto dalla decisa personalità di lei, ormai distante quel groviglio
personale ed artistico che la coinvolse, scostata la polvere che giorno dopo
giorno sui fatti veri e/o supposti si era addensata, guarda, oggi, con ammirato
acume a Graziosa Casella, ne rivaluta il personaggio, la fa, alfine, per noi, rivivere.
ph ©piero carbone Catania, 15 dicembre 2016, Museo Bellini e dintorni
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