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Salvatore Di Marco
poeta e letterato
di
Marco Scalabrino
“Ho sempre sentito il
fascino del dialetto e le sue suggestioni nell’approccio con un linguaggio
carico di suoni inediti e di significati nuovi.” Così Salvatore Di Marco su di
sé.
Poeta, storico della
letteratura e della cultura siciliana, Salvatore Di Marco, Monreale (PA) 1932,
si può definire, appunta Tommaso Romano, “un esponente della cultura militante”.
E lo stesso Tommaso
Romano, unitamente alla Fondazione Thule - Cultura di Palermo, ha organizzato il
convegno sul tema la figura, il pensiero
e l’opera di salvatore di marco, poeta e letterato, svoltosi il 22
Dicembre 2007 nel capoluogo siciliano, nelle circostanze della celebrazione del
suo settantacinquesimo compleanno.
“Convegno, precisa Aurelia Ambrosini, mirato
ad analizzare mezzo secolo dell’impegno culturale e letterario di Salvatore Di
Marco, intellettuale e poeta.”
La Fondazione Thule
ha quindi editato nel 2008, Le parole
che contano, gli atti di quel convegno, che raccolgono le testimonianze di Tommaso
Romano, Nino Aquila, Pino Giacopelli, Eugenio Giannone, Gaetano Pulizzi, Antonio
Riolo, Ciro Spataro e le relazioni di Vincenzo Arnone, Franco Brevini, Licia
Cardillo, Dante Cerilli, Giuseppe Cottone, Domenico Cultrera, Corrado Di
Pietro, Enzo Papa, Pino Schifano, Melo Freni, Mimmo Galletto, Carmelo Lauretta,
Alfio Patti, Turi Vasile; e in chiusura i testi poetici, a Salvatore Di Marco
dedicati, di Paola Fedele, Nino Agnello, Lina Riccobene e un rapido album
fotografico.
Prendiamo lo spunto giusto
da questi due recentissimi avvenimenti per tratteggiare un profilo di Salvatore
Di Marco, con esclusiva attenzione all’ambito della poesia dialettale e della
letteratura siciliana del secondo Novecento e fino ai nostri giorni. Rimandiamo
pertanto quanti desiderassero più approfonditi ragguagli alla lettura integrale
del citato volume Le parole che contano
nonché de L’inquieta misura, una
rassegna bio-bibliografica di Salvatore Di Marco dal 1947 al 2002 pubblicata dalla
medesima Fondazione Thule nel 2003, le cui pagine “costituiscono l’orditura di
una esistenza da consegnare ormai così com’è ai miei figli … un doveroso
bilancio di vita, un inventario puntuale della mia storia personale.”
“Se negli anni
Cinquanta la poesia dialettale per me non poteva che essere la poesia del
popolo (gramscianamente, la classe lavoratrice), negli anni Sessanta guardavo
alla poesia in dialetto come a una poesia capace di una “eversione
linguistica”. In effetti, io appartengo a coloro che scrivono in dialetto
perché il dialetto è il punto di partenza e di arrivo di ogni possibile
risignificazione della realtà.”
Cantu d’amuri,
del 1986, L’acchianata di l’aciddara,
del 1987, Quaranta, del 1988, Epigrafie siciliane del 1989, Li palori dintra del 1991, La ballata di la morti, del 1995, sono i
lavori in dialetto siciliano del Nostro.
Cantu d’amuri,
un poemetto con prefazione di Giorgio Santangelo, è la sua prima pubblicazione
in dialetto: “È un interessante documento dell’esistenza di un siciliano illustre, di una koinè di nobile letterarietà che ogni
poeta rinnova con la originalità della sua visione del mondo.” Dall’incipit: “Stamatina
amuri / cu na capiddera ciuruta / di nàccari / vosi vestiri a festa / stu ventu
d’autunnu / chi m’accumpagna / a la cuddata.”
Quaranta,
poesie siciliane 1957-1969, con prefazione di Salvatore Camilleri: “Salvatore
Di Marco, dagli inizi neorealistici degli anni Cinquanta, viene a trovarsi,
negli anni Sessanta, poeta del simbolo e della metafora poetica. Egli si avvale
cioè di tutte le conquiste della poesia moderna, formali e strutturali,
sostenute dal gioco sapiente delle analogie e da un linguaggio allusivo,
evocativo, essenziale.”
Da CONTRURA, del 1958:
Lesta
a sfrìciu di ventu
scattìa
na vuci d’oceddu,
l’occhiu fermu
di pampini russi
mpatta cu
l’auti celi
finistrali d’azzolu
naca di silenzi
e na chitarra muta
pi
la calura
e lu sonnu:
tempi duci
di la malinconia.
Li palori dintra,
con prefazione di Turi Vasile: “Questo poemetto di levigato lirismo
dimostra che l’uso del dialetto consente tutti gli azzardi, anche quello di
affacciarsi sull’abisso della parola. Quando poi la parola che emerge dalla
memoria sepolta appartiene a un idioma come quello siciliano si scopre la
ricchezza di un lessico al quale hanno contribuito grandi civiltà linguistiche
e profonde esperienze storiche e antropologiche.” Dal primo dei sei punti che
lo compongono:
Iu dicu
ca ci havi ad essiri
dintra di lu me cori
dda
palora
ca mi po nzignari
comu è fattu stu munnu:
la palora
ca nascìu cu
mia,
ca s’addivò
ni la me naca
e fu matri
di tutti li palori.
La ballata di la morti,
con prefazione di Giuseppe Cavarra:
“La struttura metrica adotta la strofa breve, formata da quattro ottonari. Il ritmo è governato da vari artifici: segno che l’autore riprende e impiega modi popolareschi come può farlo un poeta colto.”
Eccone le tre strofe introduttive:
“La struttura metrica adotta la strofa breve, formata da quattro ottonari. Il ritmo è governato da vari artifici: segno che l’autore riprende e impiega modi popolareschi come può farlo un poeta colto.”
Eccone le tre strofe introduttive:
Piscaturi nun piscari
cacciaturi nun cacciari
navicanti nun partìri
tu
furnaru nun nfurnari
lavannara nun lavari
custurera nun puntiàri
mulinaru
a lu mulinu
leva manu ‘i macinari:
genti bona e genti tinta
di vicinu e
di luntanu
nun sintiti li campani
nun viniti a la me festa?
Rilevata la singolarità
che le liriche “più vecchie”, quelle della prima ora, sono state pubblicate per
terze, nel 1988, ci chiediamo: quando e quali sono stati gli esordi letterari
in dialetto siciliano di Salvatore Di Marco?
Nel 1955, allora
ventitreenne, Salvatore Di Marco conobbe Pietro Tamburello (Palermo 1910-2001) ed
entrò nel gruppo alessio di giovanni; “gruppo”,
della cui esperienza Salvatore Di Marco si è fatto in seguito appassionato testimone,
che ha raccolto il testimone di Alessio Di Giovanni ed è stato il promotore del
rinnovamento della poesia dialettale siciliana,
movimento tra i più importanti del Novecento letterario siciliano.
Ma, cosa è
stato il rinnovamento? Chi e cosa
ne furono i protagonisti e il programma?
A Palermo, prima che
terminasse il 1943, Federico De Maria venne a trovarsi a capo di un nucleo di
giovani poeti dialettali: Ugo Ammannato, Miano Conti, Paolo Messina, Nino
Orsini, Pietro Tamburello, Gianni Varvaro, e nell’Ottobre 1944 venne fondata la
società scrittori e artisti di sicilia,
che ebbe sede nell’Aula Gialla del Politeama e in primavera, all’aperto, nei
giardini della Palazzina Cinese alla Favorita.
“Tra la fine del ’43 e l’inizio del ’44 – attesta Paolo Messina nel
saggio la nuova scuola poetica
siciliana, del 1985 – la
guerra continuava e doveva continuare ancora per un anno. Risaliva la penisola,
e in Sicilia per primi avevamo respirato, l’acre pungente ciauru della libertà, mentre il quadro prospettico del mondo già
mutava radicalmente. Da qui l’esigenza di rifondare non solo la società civile,
ma anche il linguaggio. Nel 1946, alla scomparsa di Alessio Di Giovanni, quel
primo nucleo di poeti che comprendeva le voci più impegnate dell’Isola prese il
nome del Maestro e si denominò appunto gruppo
alessio di giovanni.
Occorre però dire che non ci fu un manifesto, né
l’ausilio di un apparato critico, né un riscontro adeguato sulla stampa.” E nel
suo pezzo in ricordo di Aldo Grienti, pubblicato nel Febbraio 1988 a Palermo
sul numero zero di quello che fu
l’effimero ritorno a cura di Salvatore Di Marco del po’ t’ù cuntu, nuovamente
Paolo Messina ci segnala: “Abbiamo la data dell’inizio del movimento
rinnovatore, quella del Primo raduno di poesia siciliana svoltosi a
Catania il 27 Ottobre 1945.”
Sul versante ionico,
infatti, avvenne l’incontro con il sodalizio di cui Salvatore Camilleri era
l’animatore: Mario Biondi (nella cui sala da toeletta di via Prefettura si
tenevano gli incontri diurni, mentre di sera li attendeva il salotto di Pietro
Guido Cesareo, in via Vittorio Emanuele 305), Enzo D’Agata, Mario Gori ed altri
già appartenenti all’unione amici del dialetto,
che nella Catania del ’44 si era ribattezzato (dietro suggerimento di Mario
Biondi) trinacrismo.
Composto, osserva
Salvatore Di Marco, “da poeti di generazioni differenziate, ma animati tutti
dal proposito comune di svecchiare, nel linguaggio, nello stile, nei contenuti,
la poesia dialettale siciliana”, il “gruppo”
non fu un corpo unico, una orchestra che ha eseguito un identico spartito. Ammette
Pietro Tamburello: “Sappiamo tutti dove andare, ma non siamo concordi sulla via
da seguire.”
E insistiamo, giacché
Salvatore Di Marco vi è pienamente coinvolto, su quella fantastica stagione, la
cui storia riteniamo avvincente e ben degna di essere conosciuta a tutti i
Siciliani, pratichino o meno le Lettere.
Il giornale di poesia siciliana,
nel numero di Settembre 1988, stampa il pezzo di Salvatore Di Marco una occasione
mancata. “L’8 di agosto del 1952 rivedeva la luce in Palermo il
periodico di poesia dialettale siciliana po’ t’ù cuntu dopo ben diciotto anni di
assenza. Intanto erano scomparsi i prestigiosi collaboratori dell’anteguerra
che avevano dato lustro al po’ t’ù cuntu: poeti e scrittori come Luigi Natoli, Alessio Di
Giovanni, Vincenzo De Simone, Vito Mercadante, Vanni Pucci. Sicché si ha l’impressione malinconica, rileggendo
oggi i vecchi fascicoli del 1952, che la direzione del po’ t’ù cuntu non si fosse resa
ben conto delle laceranti trasformazioni che, rispetto agli anni Trenta, erano
intervenute nel tessuto sociale dell’isola a modificare anche il quadro
complessivo delle vocazioni letterarie. E ciò pure nell’ambito della poesia
siciliana.
Questa situazione non piacque ad un gruppo – il più inquieto a quel
tempo – di collaboratori del po’ t’ù cuntu. Si trattava di Ugo Ammannato, di Pietro Tamburello
e di qualche altro che già aveva scritto sul quel giornale dal 1927 in poi. Ma
anche di giovani come Paolo Messina.
Infatti, accanto a Federico De Maria nel
1945, essi avevano rilanciato la poesia dialettale siciliana attraverso
affollati incontri con il vasto pubblico nell’Aula Gialla del Teatro Politeama
di Palermo. E nei poeti che vi partecipavano, da Miano Conti a Nino Orsini, da
Tamburello ad Ammannato, si era diffuso il rifiuto della vecchia poesia
dialettale e un bisogno ancora indistinto di cambiamento. Questi incontri indetti
dalla Società Scrittori e Artisti di Sicilia di cui Federico De Maria era il
presidente, e organizzati da Ammannato e Tamburello, furono chiamati Ariu di
Sicilia.
Allorquando nel 1953 quel gruppo di poeti riunito da comuni
idealità di rinnovamento letterario e culturale, constatata l’impossibilità di
condurre in Sicilia un discorso di poesia nuova attraverso le pagine del po’ t’ù cuntu,
pensò di darsi un proprio foglio di proposta e di battaglia letteraria, Pietro
Tamburello volle chiamarlo ariu di sicilia.
ariu di sicilia, fondato nel 1954 da Pietro Tamburello che ne
assunse la redazione, fu un foglio di quattro pagine, che uscì ogni mese e che
durò esattamente da Marzo a Ottobre di quell’anno. Visse il suo breve tempo in
povertà di mezzi finanziari e fu un semplice inserto del po’ t’ù cuntu.
Nell’editoriale del primo numero Pietro Tamburello aveva annunciato i seguenti
tre obiettivi: 1) promuovere una nuova fioritura di studi intorno alla
letteratura siciliana, 2) rinnovare la tradizione alla luce delle ultime
esigenze estetiche, 3) sottoporre a revisione critica le opere degli scrittori
delle generazioni passate. I testi letterari pubblicati furono in tutto 115 di
41 autori. Tra questi i poeti del gruppo
alessio di giovanni: Ugo Ammannato, Miano Conti, Aldo Grienti, Paolo
Messina, Carmelo Molino, Pietro Tamburello e Gianni Varvaro. Meno costanti
nella collaborazione ma presenti: Ignazio Buttitta, Salvatore Di Pietro, Nino
Orsini, Elvezio Petix.”
E nell’articolo
titolato la civiltà dei caffè,
pubblicato nel Febbraio 1988 a Palermo sul numero zero del rinato po’
t’ù cuntu!, Salvatore Di Marco registra:
“Negli anni Cinquanta c’era a
Palermo, in via Roma quasi all’altezza dell’incrocio con il Corso Vittorio
Emanuele, uno dei caffè Caflish. Al piano superiore, una saletta con sedie e
tavolini. Ebbene, in quel luogo e per anni – sicuramente dal 1954 al 1958 –
nella mattinata di tutte le domeniche si riunivano i poeti del gruppo alessio di giovanni.
Frequentatori erano, oltre a chi scrive, Ugo Ammannato, Pietro Tamburello,
Miano Conti, Gianni Varvaro e altri. Vi arrivavano spesso Ignazio Buttitta da
Bagheria, Elvezio Petix da Casteldaccia, Antonino Cremona da Agrigento, e da
Catania Carmelo Molino e Salvatore Di Pietro: insomma, i personaggi più
significativi allora della nuova poesia siciliana. In quegli incontri si
leggevano poesie, si parlava del dialetto siciliano, si discuteva di
letteratura e di politica.”
Nel 1955, con la
prefazione di Giovanni Vaccarella, vide la luce a Palermo l’Antologia POESIA
DIALETTALE DI SICILIA. Protagonisti il gruppo
alessio di giovanni: Ugo
Ammannato, Ignazio Buttitta, Miano Conti, Salvatore Equizzi, Aldo Grienti,
Paolo Messina, Carmelo Molino, Nino Orsini e Pietro Tamburello. E nel
1957 Aldo Grienti e Carmelo Molino furono i curatori della Antologia POETI
SICILIANI D’OGGI, Reina Editore in Catania.
Con introduzione e note
critiche di Antonio Corsaro, questa raccoglie, in rigoroso ordine alfabetico,
una qualificata selezione dei testi di 17 autori: Ugo Ammannato, Saro Bottino, Ignazio Buttitta, Miano Conti, Antonino
Cremona, Salvatore Di Marco, Salvatore Di Pietro, Girolamo Ferlito, Aldo
Grienti, Paolo Messina, Carmelo Molino, Stefania Montalbano, Nino Orsini,
Ildebrando Patamia, Pietro Tamburello, Francesco Vaccaielli e Gianni Varvaro. Le due sillogi, che ebbero al tempo eco
nazionale (una recensione di Paolo
Messina apparve in data 21 Maggio 1955 su il
contemporaneo di Roma) e tuttora sono ben note agli appassionati,
sono state antesignane del rinnovamento
della poesia dialettale siciliana.
Il rinnovamento
della poesia dialettale siciliana, la stagione tra il 1945 e la seconda metà circa degli anni
Cinquanta (l’ultima manifestazione pubblica del “gruppo” – asserisce Salvatore Di Marco – si svolse nell’anno
1958 presso il Circolo di Cultura di Palermo, diretto da Lucio Lombardo Radice
che promosse un incontro sulle correnti contemporanee della poesia siciliana) segnata dal movimento di giovani poeti
dialettali palermitani e catanesi, fu rinnovamento fondato sui testi e non
sugli oziosi proclami, sugli esiti artistici individuali e non su qualche
manifesto. “Un processo
letterario di emancipazione né facile né omogeneo, in cui il passaggio dal
vecchio al nuovo non poteva escludere una fase di coesistenza fra ciò che della
tradizione vernacolare sopravviveva e ciò che della nuova poetica cercava più
sicure formalizzazioni liriche.”
Una stagione letteraria che Di Marco giudica “essere
stata ingiustamente marginalizzata sia in sede storiografica che critica.”
Annota, infatti, nell’articolo del 1995 titolato i dialetti sì:
“Trova sempre più favore il criterio di
scrivere la storia della letteratura italiana a partire da una base che
consideri le aree regionali. Le letterature regionali e quelle dialettali sono
aspetti insopprimibili della vicenda storica della nostra letteratura
nazionale. Che i nostri migliori scrittori dialettali siano rimasti esclusi,
emarginati dalle storie letterarie è stato un grave errore di cui gli studiosi
oggi si rendono sempre più conto e che solo un buon processo di aggiornamento
può ridimensionare.”
Direttamente legato a
quanto or ora detto il tomo del 1995: la
questione della “koinè” e la poesia dialettale siciliana.
“Una questione
che ha interessato una certa fascia di poeti siciliani, in particolar modo quelli
impegnati nel rinnovamento della poesia dialettale in Sicilia. L’argomento
riguarda la eventuale introduzione generalizzata dell’uso di una koinè
letteraria in alternativa al sempre più diffuso ricorso, da parte dei poeti
siciliani, alle parlate locali. Una questione … con riferimenti sempre più
diretti alle implicazioni di tipo grammaticale, ortografico e fonetico.”
Una
questione, tuttavia, che non ha sortito il florilegio di studi auspicabile e
che si è ricondotta alla tensione ideale verso una unità ortografica della
scrittura e alla proclamazione di principio che vengano dettate alcune regole
ortografiche comuni.
Elementi propizi e opportuni rimarcano gli studiosi,
quantunque non necessari e di non facile praticabilità. Tomo preziosissimo,
giacché nelle sue circa 160 pagine fitte di nomi, eventi, stralci di
interventi, rimandi bibliografici, si ripercorre l’esperienza letteraria che,
grosso modo tra il 1945 e il 1958, coinvolse talune “aree della poesia
dialettale siciliana sul terreno della ricerca e della sperimentazione di nuove
vie che potessero rinnovarla.”
Tra i molteplici studi
di Salvatore Di Marco, di rilevante importanza quelli condotti su due dei
massimi autori dialettali siciliani: Alessio Di Giovanni e Ignazio Buttitta, dei quali si richiamano riassuntive
tracce.
Quanto al primo, oltre ad
averne curato svariate riedizioni, gli studi sono confluiti nel 2006, a sessant’anni
dalla scomparsa, nel volume sopra fioriva
la ginestra. alessio di giovanni e la sicilia della zolfare.
“È naturale che l’anno 1896 e il Maju sicilianu siano considerati come i segni dell’esordio letterario di Alessio Di Giovanni. Un duplice esordio, poiché dell’esordio annuncia sia la nascita d’un poeta d’ottima tempra, come pure quella d’un geniale poeta dialettale. Ma c’è di più: quell’opus primum apre la stagione del rinnovamento della poesia dialettale siciliana in Sicilia.”
E prosegue:
“È naturale che l’anno 1896 e il Maju sicilianu siano considerati come i segni dell’esordio letterario di Alessio Di Giovanni. Un duplice esordio, poiché dell’esordio annuncia sia la nascita d’un poeta d’ottima tempra, come pure quella d’un geniale poeta dialettale. Ma c’è di più: quell’opus primum apre la stagione del rinnovamento della poesia dialettale siciliana in Sicilia.”
E prosegue:
“Quando Alessio Di Giovanni scrive le liriche di Maju sicilianu egli si è già convinto
che la poesia siciliana fosse chiamata
a compiere un salto di qualità, una svolta.”
Convinzione che porterà il
ventiquattrenne Alessio Di Giovanni, sempre nel 1896, a stilare il saggio
monografico saru platania e la poesia
dialettale in sicilia, in cui egli agogna quel “poeta nuovo” che manca
alla poesia dialettale siciliana. E
sono queste peraltro, in estrema sintesi, le fila che poi annodarono lui e gli
esponenti del rinnovamento della poesia
dialettale siciliana.
Nel 1922, assieme con Saru Platania, Vito Mercadante, Francesco
Trassari, Alessio Valore, Nino Pappalardo, Vanni Pucci, Alessio Di Giovanni
venne inserito da Luigi Natoli
nella antologia intitolata Musa siciliana, Editore R. Caddeo,
Milano, antologia che Salvatore Di Marco definì “una vera e propria opera
classica nella storia della poesia dialettale siciliana a cavallo tra fine
Ottocento e i primi due decenni del Novecento.”
“Per l’alto spessore culturale, per le doti umane, per avere illustrato
il nome di questa città e dei suoi Poeti”, l’Amministrazione Comunale di
Cianciana (AG), la città natale di Alessio
Di Giovanni, l’8 Ottobre 2005 concesse
la cittadinanza onoraria a Salvatore Di Marco.
“Le vicende
drammatiche del secondo dopoguerra siciliano – assevera Salvatore Di Marco sul pregevole
compendio di saggi su Ignazio Buttitta il
filo dell’aquilone del 2000 – imprimono una svolta alla sua poesia.”
Buttitta era naturaliter ben
provvisto di “capacità non comuni di comunicativa sul piano espressivo, mimico,
gestuale, che d’altronde egli gestiva con consumata padronanza ed efficacissimi
risultati. Cantore dell’uomo e della natura, la sua poesia piena di uccelli, di
pesci, di uomini, di terra illuminata dalla solarità del mare e del cielo di
Aspra, scorre vitalissima lungo tutto il Novecento.
Ignazio Buttitta supera il
mero populismo e si inserisce pleno
titulo nella storia contemporanea della poesia dialettale siciliana.”
E ci rammenta
una curiosità: nell’Ottobre del 1987, principalmente sulle colonne del Giornale
di Sicilia, divampò una polemica contro Franco Brevini, “incriminato” di avere
escluso Ignazio Buttitta dalla sua antologia Poeti dialettali del Novecento.
Sempre in tema di poeti, solo
a mo’ di esempio, altri cenni su Pietro Tamburello, Antonino Cremona, Aldo
Grienti.
“Pietro Tamburello – sostiene Salvatore Di Marco sul numero Luglio-Agosto 1998 del
periodico catanese arte e folklore di sicilia – la cui storia di poeta comincia nel
1926 con la nascita a Palermo di quel notissimo e controverso foglio dialettale
che fu il po’
t’ù cuntu … nonostante
avesse avuto un ruolo determinante tra i protagonisti della nuova poesia
siciliana (se nel 1929 era stato il segretario generale dell’Accademia di
Poesia Siciliana “G. Meli” presieduta da Giuseppe Ganci Battaglia, nel 1945
sarà il referente di Federico Di Maria nell’ambito della Società Scrittori e
Artisti e poi fonderà il gruppo alessio
di giovanni e nel 1954 sarà il direttore di ariu di sicilia) pubblicò poco e tardi i suoi versi
dialettali.
Sono tantissime le poesie di questo Autore palermitano apparse sul po’ t’ù cuntu tra il 1926 e il 1933
(anno in cui il periodico interruppe le pubblicazioni per riprenderle dal 1952
al 1972) e in altri fogli dell’epoca. Ma il periodo in cui Pietro Tamburello
portò a piena maturità espressiva la propria poesia nei temi, nella forma e nel
linguaggio tocca gli anni Quaranta e Cinquanta.” Il medesimo numero della
Rivista pubblica altresì il suo saggio su
rosi di ventu di Pietro
Tamburello: “Assai vicino alla lirica pura, Tamburello però ne semplifica il
modello e l’occulta sotto gli abiti della tradizione siciliana delle forme
rimate, del sonetto, dell’endecasillabo che risuona nelle composizioni a verso
libero, lo occulta tra le fioriture lessicali di un dialetto armonioso ed
antico. Da qui Tamburello ascende alle suggestioni della grande poesia francese.
E, fuori dalle scene mondane, ormai raffinato artefice della propria parola
poetica, giunto alle misure essenziali del dettato … ad ogni componimento
consegna ineccepibile forma, dove nulla è superfluo o casuale”.
La notizia
della scomparsa di Antonino Cremona (Agrigento 1931-2004) si diffuse
nell’Autunno tra gli amici e negli ambienti della poesia dialettale siciliana. Sedato
lo sgomento, acquisito il dato della ineluttabilità della morte, la prima
autorevole sentita testimonianza è stata la “Lettera per Antonino Cremona” di
Salvatore Di Marco, datata 10 Febbraio 2005. “Lettera”, pubblicata sul numero
78 de la nuova tribuna letteraria,
dalla quale riportiamo:
“Il fatto è che questa diceria della tua morte (e ti
prego di smentirla) risale al 25 Settembre dell’anno scorso con tanto di
necrologio sui giornali. Anch’io lessi a suo tempo, ma vai a fidarti dei
giornali! Io penso, infatti, che se tu fossi morto, la città di Agrigento ti
avrebbe in qualche modo commemorato. E invece, dal 25 Settembre 2004, ogni mattina
Agrigento si sveglia e dice al mondo: “Niente di nuovo, non è successo nulla di
rilevante”. Se muore un personaggio come Nino Cremona, poeta di razza e di
lunghe stagioni, filologo e scrittore, critico letterario e intellettuale di
pregio, Agrigento sicuramente avrebbe versato lacrime sincere. Un Personaggio
come te, caro Nino, non può morire nel silenzio generale, soprattutto in quello
crudele della tua terra. Perciò dico che se tu fossi veramente morto me
l’avresti comunicato.”
Antonino Cremona fu uno dei protagonisti del rinnovamento della poesia dialettale siciliana,
la cui storia, riscontra Salvatore Di Marco, “è interessante di idee e di
poeti, di mutazioni culturali e inquietudini sociali, di sperimentazioni e di
esiti anche importanti però rimasti sconosciuti a chi ha ritenuto che il solo
pannello solare capace di dare nuova energia alla letteratura siciliana
dialettale fosse quello esclusivo di Ignazio Buttitta, è ciò semplicemente
perché lo si trovava già collocato più in alto degli altri.”
Il convegno di
studi avente per tema l’opera di antonino
cremona e il novecento siciliano si è svolto il 27 Gennaio 2006 ad
Agrigento; tra i relatori: Sergio Spadaro, Giovanni Occhipinti, Antonio Liotta
e Salvatore Di Marco. L’anima girgentana
nella poesia dialettale siciliana di antonino cremona, pubblicata nel 2007 dalla associazione culturale “nino martoglio” grotte (ag),
fu la relazione di Salvatore Di Marco il quale, a quattro mani
con Sergio Spadaro, raccolse le lettere
per un poeta, carteggio su Antonino Cremona e altre carte.
“Pochi i versi, è vero –
si legge in un articolo firmato da Nicolò D’Agostino (pseudonimo di Salvatore
Di Marco, come pure suo pseudonimo è F. Martore Cuccia), pubblicato sul numero
di Aprile 1990 del mensile di letteratura dialettale giornale di poesia
siciliana – perché in effetti Aldo Grienti non fu poeta di lunga militanza nell’area
del dialetto siciliano, avendo trasferito, soprattutto negli anni Sessanta, nella
poesia in lingua italiana e principalmente nelle arti figurative, le proprie
vocazioni artistiche.
Ma questo non inficia il valore letterario della sua
opera di poeta dialettale. Aldo Grienti – prosegue D’Agostino – era “generazionalmente”
nuovo, rispetto alla poesia dialettale degli anni Trenta-Quaranta, e praticò subito
un suo modo di fare poesia prima ancora che il vecchio, che la tradizione, lo
contagiassero.”
Approssimandoci al
traguardo di questa essenziale escussione, ulteriori stringate notizie su Salvatore
Di Marco.
S’è fatto cenno, più
volte, al giornale di poesia siciliana. Di questo periodico, come pure della
RIVISTA ITALIANA DI LETTERATURA DIALETTALE, entrambi editi in Palermo, Salvatore
Di Marco è stato il fondatore e ne ha
sempre tenuto la direzione.
Il citato numero zero del po’ t’ù cuntu, nell’articolo non firmato
in prima pagina, dà notizia del Convegno (poi tenutosi nei giorni 18 e 19 Marzo
1988 presso la sede della Fondazione Culturale “Chiazzese”) sul tema Vito Mercadante: l’uomo, il poeta. Relatori Rita Verdirame, Antonino Verzera, Salvatore
Camilleri, Nicola Mineo, Giuseppe Carlo Marino e Salvatore Di Marco.
E Salvatore Di Marco è stato, insieme a Natale
Tedesco, Lucrezia Lorenzini, Nicola Mineo ed altri, tra i relatori al Primo
Convegno Regionale di Poesia Dialettale Siciliana svoltosi a Barcellona Pozzo
di Gotto nei giorni 29 e 30 Ottobre 1988, organizzato dalla Corda Fratres, che ha visto in aggiunta la
presenza di oltre venti poeti provenienti da tutte e nove le province
dell’Isola.
Assieme con Giuseppe
Giovanni Battaglia, Sebastiano Burgaretta, Salvatore Cagliola, Salvatore
Camilleri, Giuseppe Cavarra, Nino De Vita, Salvatore Di Pietro, Paola Fedele,
Andrea Genovese, Rino Giacone, Alfio Inserra, Augusto Manna, Giuseppe Mazzola
Barreca, Renato Pennisi, Stefano Puglisi, Michele Sarrica, Pietro Tamburello,
Carlo Trovato, Salvatore Di Marco è inserito nella antologia della poesia
contemporanea in dialetto siciliano a cura di Corrado Di Pietro, LINGUA LIPPUSA, del 1992.
Con Salvo Zarcone e Francesco Leone, è stato uno dei relatori
al convegno di studi organizzato nel 2005 in occasione del quarantennale della
morte del poeta di Castellammare del Golfo (TP) Castrenze Navarra, manifestazione
che ha ottenuto il patrocinio di quella Amministrazione Comunale, che del Navarra,
a cura di Francesco Leone, ha promosso la pubblicazione della ANTOLOGIA delle opere in versi siciliani e in prosa.
E, giusto nel 2005, ha avuto luogo a Trapani un convegno
stavolta su Salvatore Di Marco, i cui relatori sono stati Dino Grammatico per
la poesia in Italiano, Francesco Leone per la poesia in dialetto e Gioacchino
Aldo Ruggeri per un breve profilo del Nostro.
Tra le tantissime
notevoli realizzazioni, riteniamo opportuno menzionare: la storia incompiuta di francesco lanza, monografia critica
con prefazione di Giuseppe Cottone del 1991, e il
cantiere sulla lingua madre, del 2007, che raccoglie gli atti degli
incontri dedicati alla letteratura in dialetto tenutisi, tra il 27 Gennaio e il
10 Maggio 2006, nel salone delle conferenze della Biblioteca Museo “Luigi
Pirandello” di Agrigento.
Beninteso, abbiamo soltanto schematizzato le “cose” più importanti
afferenti al monumentale opus di
Salvatore Di Marco, il quale tra editoriali, prefazioni, articoli, eccetera, ha
scritto – fra gli altri su Alfio Inserra, Carmelo Lauretta e Flora Restivo – migliaia
di pezzi e ha attraversato da protagonista, sia nella veste di poeta che in
quella di letterato, gli ultimi cinquant’anni della storia letteraria
siciliana.
Ma non è finita: Salvatore Di Marco si dichiara tuttora impegnato a continuare
per il futuro il proprio lavoro.
Bravissimo! (R:A.)
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