A Trapani andai...
Renzo Cremona
cartoline da trapani
di Marco Scalabrino
“Il mio libro Il canone del tè – rievoca Renzo Cremona, nella intervista rilasciata a Ornella Fulco che per sommi capi a più riprese richiameremo – si era classificato secondo alla XIV edizione del premio letterario “Erice Anteka”; invitato alla cerimonia di premiazione, salii a Erice Vetta in cabinovia. In quell’occasione ripartii l’indomani e non ebbi altro modo di vedere la città di Trapani se non dall’alto.”
Correva l’autunno 2008; il seme della sua avventura trapanese era stato, però, già sparso.
“Nel 2010 – prosegue Cremona – fui contattato da Ornella Fulco e Stefania La Via per la rassegna letteraria Terrazza d’Autore. Quella che si verificò tra me e i luoghi, tra me e le persone di Trapani che ho incontrato sulla mia strada, e che questa strada mi hanno aiutato a percorrere, è stata un’alchimia che non si manifesta tutti i giorni: l’intesa è stata immediata; sembrava che ci conoscessimo da anni. Percorrendo i luoghi e lasciandomi guidare dalla loro mano, a poco a poco, mi sono innamorato della città e l’amore da cui mi sono sentito circondato e la calorosa accoglienza che le persone mi stavano tributando hanno generato una sorta di corto circuito dentro di me.
E così i luoghi, le memorie e gli amici – perché tali stavano ormai diventando alcune delle persone che ho conosciuto a Trapani – si sono uniti in un mondo di parole che, fin dal mio ritorno a casa, ha preso la forma degli episodi che poi sono diventati le cartoline.
Oltre a luglio per la rassegna Terrazza d’Autore, nel 2010 sono tornato a settembre, ad ottobre e a dicembre con il recital “Neve” a Palazzo De Filippi.
Ancora due volte nel 2012 e poi quest’anno [nel 2014] per la grandiosa messa in scena di cartoline tenutasi a Valderice a luglio, che ha visto la collaborazione di numerosissime persone, tra le quali, oltre a Ornella Fulco e a Stefania La Via, Giovanni Barbera, Giancarlo Figuccio e Matteo Gagliano, nonché Vito Curatolo e Francesco Iovino, per alcuni loro scatti dei luoghi di cui parlo, Tonino Perrera, per alcune foto storiche di Trapani, Enzo Toscano, per la musica appositamente composta per il brano la città, e Marco Scalabrino, per la collaborazione al testo i misteri”.
Con dedica in apertura a Pasquale Ales, a Ornella Fulco, a Stefania La Via e a don Liborio Palmeri per avergli fatto scoprire e amare Trapani, e ringraziamenti in calce al traduttore in dialetto siciliano, cartoline da trapani, Edizioni EVA, Venafro (IS), sono state stampate nel 2013.
Inventata da Emanuel Alexander Herrmann, la prima cartolina del mondo fu emessa dalle Poste dell’Impero Austro-Ungarico il 1º ottobre 1869; si trattava di un cartoncino colore avorio: un lato era destinato all’indirizzo del destinatario e al francobollo, l’altro conteneva il messaggio. Nel 1870, il francese Bernardeau de Sillé-le-Guillaume ebbe per primo l’idea di ornare di figure le cartoline e, nel 1872, grazie all’idea del tedesco Franz Borich, per la prima volta le cartoline illustrate vennero utilizzate per propagandare le bellezze turistiche di un paese, per la precisione la Svizzera.
Il 23 giugno 1873 anche l’Italia introdusse la “Cartolina postale di Stato” e nel 1891 Dominique Piazza, un altro francese, ideò le cartoline illustrate con fotografie. Dopo decenni e decenni di straordinario successo, la rivoluzione nei mezzi di comunicazione ha portato, dagli inizi del XXI secolo, un drastico cambiamento nella funzione della cartolina e, soppiantato dal cellulare e dalle e-mail, il suo uso cominciò a decadere.
E allora perché, oggi, “cartoline”?
Renzo Cremona non si fa cogliere impreparato ed esplicita compiutamente i motivi della scelta di tale denominazione: “La cartolina ha una dote che altri mezzi non manifestano: permette il tempo della riflessione, riporta alla lentezza, alla possibilità di concederci il lusso di pensare e quindi di porre una distanza tra quello che abbiamo vissuto e il modo in cui tutto questo viene filtrato dal nostro universo personale. E le mie “cartoline” sono appunto “filtrate”, “seppiate”, hanno una preponderanza di tempi passati, ormai immodificabili; sono qualcosa che noi abbiamo scelto rispetto a qualcos’altro e su cui scriviamo qualcosa che è nostro”.
Volumetto di ventidue testi distribuiti su cinquanta pagine circa, veste editoriale spartana, nessun prologo, cartoline da trapani sono il raffinato racconto lirico di un innamoramento.
Usiamo invero, per comodità e per approssimazione, la locuzione “racconto lirico” pur essendo consci di punzecchiare così Renzo Cremona, il quale non indugerà in proposito a pronunciarsi.
Ribatte egli, infatti, nella citata intervista: “Il dissolvimento dei confini tra prosa e poesia risponde a una mia esigenza molto forte. Ho cominciato scrivendo in versi e poi mi sono reso conto che non rispondevano alla ripercussione interiore che io avevo delle parole. Con Cronache dal centro della notte e Tutti senza nome è venuto fuori questo genere poetico particolare, che ha certamente dei precursori”.
Atteso che, cogliendo il destro offertoci da questa lettura, ci soffermeremo succintamente su taluni dei luoghi esplorati, reperendone stringati rimandi al mito, alla storia, alla dislocazione, nonché indicandone ulteriori confacenti notazioni, mentre per altri ci limiteremo a riferirne unicamente emblematici stralci, ci avvarremo, per l’esigenza di renderli immediatamente fruibili, della facoltà di scrivere in corsivo gli estratti che addurremo a supporto del nostro argomentare.
Non ometteremo altresì di rimarcare (lo faremo in prosieguo, condensandole assieme) le prerogative della partitura scrittoria di Renzo Cremona, per le intriganti formulazioni, le ricercate invenzioni, i felicissimi esiti lirici e sintattici, che magistralmente egli crea e schiera.
La raccolta si apre col testo la città.
Comune di circa 70.000 abitanti, capoluogo dell’omonima provincia, porto commerciale sul Mediterraneo, Trapani, la sua economia si basa oggi sulle attività legate al commercio e al turismo, sulla pesca (già quella del tonno, con la mattanza), sull’estrazione e sulla esportazione del marmo. Posizionata nella parte occidentale della Sicilia, nel promontorio dell’antica Drepanum in latino, dal greco Δρέπανον, falce, data la forma della penisola sulla quale insiste, è denominata “città tra due mari”.
Renzo Cremona ne allestisce una tersa, schematica icona:
monti alle spalle … palpebre rivolte a ponente … la città si risveglia quasi penultima. le vie si dispiegano verticali, salgono impazienti verso l’acqua … si fanno viaggi incagliati nel ricordo delle darsene, i viali strumenti del crepuscolo per infiltrarsi all’improvviso … nello sguardo dei passanti. fissando tenace nella memoria i luoghi dove finiscono le date ... sta la città ad attendere. aspetta di vedere il mare ed oscilla protendendosi come due scintillanti corna di lumaca assetate di mondo …
e con vivissimo acume, nella splendida figurazione sta in basso ... la città … eppure è in alto che guarda, ne recepisce e rilancia l’ansia del riscatto.
Un elemento distintivo della sua scrittura prorompe: in tutta la silloge, nomi e titoli compresi, Renzo Cremona non usa mai le iniziali maiuscole delle parole. Mai; nemmeno dopo il punto fermo.
Tappa obbligata per tutte le navi che solcavano il Mare Nostrum, mercé il suo attivo porto commerciale il sale trapanese raggiungeva ogni mercato del Mediterraneo.
Probabilmente impiantate dai Fenici, le saline di Trapani e le strutture elevate per la lavorazione del sale, fusesi nei secoli con il paesaggio naturale, hanno dato vita a un ambiente unico e suggestivo. Costituite nel 1995 in riserva naturale regionale e questa affidata in gestione al WWF Italia, con le sue peculiarità botaniche, la sua ricchezza faunistica, il suo patrimonio di storia e lavoro, le saline si estendono per quasi 1.000 ettari nel territorio dei comuni di Trapani e di Paceco.
Ben visibili da Erice, affacciandosi verso le Egadi, da esse Renzo Cremona trae impulso per il secondo testo:
sugli allargamenti di sale si arriva via cielo, ma anche attraverso il mare, il che è la stessa cosa quando i colori non sanno esattamente come pronunciarsi e rendersi distinti gli uni dagli altri. linee che si formano su laghi di biancore … i cristalli del cloruro ammaliati dai bagliori del sodio ... un mulino di quando in quando … lì la natura sembra tacere dietro un cenno di imbarazzo salmastro.
non ne parlano più neanche i documenti. si pensava … che fosse già stato demolito e qualcuno ne ha persino messo in dubbio l’esistenza. allora sono state le maree dello sgomento a dettare legge, era la prima nave all’orizzonte a far crescere aguzzi i rovi della paura. si costruì in fretta, tanto eravamo sicuri che la minaccia provenisse dal mare. ci chiediamo … dove sia mai finita quella paura. fatichiamo ancora oggi ad attingere memoria di quei tempi.
Ecco delineato, in essenziali incisive pennellate, il terzo frammento di questa suite: il bastione dell’impossibile.
In fondo alla via XXX Gennaio con angolo in via Ammiraglio Staiti, eretto dagli Spagnoli nel XVI secolo, sorge maestoso il Bastione dell’Impossibile. Il nome deriva – secondo Mario Serraino – dal fatto che la sua imponenza rendeva impossibile un’agevole penetrazione dentro il recinto urbano delle forze ostili, ponendo un robusto argine alle incursioni dei pirati.
Il passo: eravamo sicuri che la minaccia provenisse dal mare, richiama alla mente l’espressione “Mamma li Turchi!” Il grido Mamma li Turchi ha origine dal fatto che, dal 1400 al 1600 circa, le popolazioni rivierasche dell’Italia meridionale sono state periodicamente “visitate” dai pirati ottomani, che depredavano le città, commettevano ogni sorta di razzie, saccheggi, stupri e barbarie e catturavano indifferentemente uomini e donne che poi avrebbero rivenduto come schiavi. Allorquando da terra venivano avvistate le navi ottomane, veniva lanciato questo grido di allarme, che da allora è diventato sinonimo di pericolo imminente. Con “Turchi” – attesta Giuseppe Di Marzo, in Cu’ avi rinari, fa varchi e navi! Echi dialettali della vecchia Trapani del 2003 – si etichettavano indistintamente tutti i maghrebini, nostri dirimpettai, di pelle scura.
E dunque, un tempo che non è più, che non è mito ma ne assume il sigillo nelle pagine di Renzo Cremona, torna a rivivere e nell’oggi, più che a una storia del passato ripetuta, assomiglia alla ri-creazione di un’epoca favolistica: ci chiediamo … dove sia mai finita quella paura … se sia davvero esistita.
Innegabilmente, quando venne a Trapani la prima volta e verosimilmente anche quando vi mise piede la seconda, Renzo Cremona non se ne sognava lontanamente gli sviluppi. E allora, fatte salve le nostre spicce osservazioni, qual è stata, è lecito domandarsi, la genesi delle varie “cartoline”?
Attingiamo, daccapo, a detta esauriente intervista: “Certo i luoghi fisici – afferma egli – sono stati il punto di partenza delle “cartoline”; per cui alcuni posti li ho raccontati effettivamente per quello che ci ho vissuto quando li ho visti; altri per storie che ho immaginato avrebbero potuto essersi svolte in quella cornice; altre volte, invece, sono state le parole ispiratemi dai luoghi ad avere creato un loro spazio e ad avere preso la forma di un luogo trapanese”.
“Durante una passeggiata serale con i miei amici trapanesi mi fu indicato – rammenta Cremona – un edificio diroccato ai margini di viale Regina Margherita; mi fu suggerito che i lacerti di quella casa avrebbero potuto forse ispirarmi. Così è stato. Un episodio frutto della compenetrazione di mondi verificatisi e mondi mai verificatisi che solo la parola permette; ma un episodio assolutamente reale nell’universalità della storia che descrive. Senza quella “scala interrotta”, senza quei muri che solo lì esistono e solo lì hanno ragione d’essere, la “cartolina” non sarebbe stata trapanese, ma di qualsiasi altro luogo.”
E, sentiamo doverosamente di aggiungere, la scala interrotta (in questa circostanza, peraltro, la cartolina abdica alla propria specificità in favore della lettera), nella trasfigurazione concepitane e realizzatane da Renzo Cremona, è assurto a uno fra i testi più belli, riusciti, vibranti di tutta la silloge!
ti ho scritto una lettera. per farlo, ho chiesto a quello di me che non comprende cosa sia la vergogna di allacciare le parole al sangue e di farle addormentare sulla carta. ti ho scritto una lettera e l’ho ripiegata. per farlo, ho chiesto a quello di me che ti conosce di usare … parole che non possono essere fraintese. ti ho scritto una lettera e ho accarezzato l’indirizzo prima di abbandonarla. per farlo, ho chiesto a quello di me che sa dove abiti di non perdere la speranza e di farsi strada tra le macerie e le bombe. ti ho scritto una lettera e l’ho consegnata. per farlo, ho chiesto a quello di me che sa camminare di raggiungerti nella casa dove i giorni ti hanno ricoperto di oblio. ti ho scritto una lettera e sono, alla fine, qui sulla tua soglia. per farlo, ho chiesto a quello di me che non ha paura del tuo silenzio di fartela avere, di scordare i gradini, di salire le scale. ho preso tutti i miei anni in un abbraccio, questa lettera.
Benché essa non la prima in ordine di apparizione nella raccolta, la badia nuova in via garibaldi è la prima “cartolina” che Renzo Cremona ha scritto.
“Una sera di luglio del 2010 – confessa egli nella plurimenzionata intervista – monsignor Liborio Palmeri propose di visitare questa bellissima chiesa. Accettammo. Si era svolto un matrimonio e l’impresario addetto al trasporto dei fiori stava sgomberando. La moglie lo attendeva seduta su una delle panche del fondo. Il caldo della giornata non si era ancora placato del tutto. Quello che racconto è quello che è successo, né più né meno. La scrissi sui monti di Asiago, qualche giorno dopo il mio ritorno al Nord.”
entrammo. stavano delle donne, accanto alle loro presenze residue, sedute davanti agli inginocchiatoi. la moglie, ricoperta dalla colla di un pomeriggio madido di traspirazioni, aspettava su una sedia. scaturiva … un senso di gradinate e di febbre che stentava a rimanere in equilibrio. la calura bolliva sulla sommità delle sopracciglia.
Si fa largo e s’impone un aspetto di primo acchito poco percettibile. Renzo Cremona si esprime sovente usando le forme dei verbi alla prima persona plurale (anche col soggetto sottinteso), con ciò palesando un ammirevole senso di appartenenza, di comunione affettiva e spirituale alla comunità della quale discetta: entrammo; eravamo sicuri; fatichiamo ancora oggi; eravamo finiti impigliati; guardavamo le case; noi nuotavamo sul fondale. Egli mostra di compenetrarsi, di ricomprendersi in quella comunità come fosse uno di loro (uno di noi, per meglio dire), un trapanese e ne condivide tempo, spazio, emozioni: fummo dietro alla torre; noi eravamo fermi; noi non sapevamo i nostri veri nomi; eravamo morbidi; vedevamo l’incendio; fummo in un attimo zattere; raccoglievamo foto; ci fermammo a guardare; tacemmo e ci affidammo agli occhi; guardavamo altrove; noi imparammo lì a prenderci cura di noi stessi; constatammo la loro presenza; ci interrogammo sul senso delle barche; constatammo la loro presenza coatta; preferimmo rimanere sul bordo dei nostri occhi.
Cos’è la poesia?, ci si chiede da sempre.
È la scansione in versi?
È il metro?
È l’argomento?
È …?
Per quanto la definizione sostanzialmente sfuggente, se ne riportano talune autorevoli: “La poesia è magia. Il poeta è un sacerdote di riti misteriosi”, Stephane Mallarmé; “La poesia non deve dire ma essere”, Archibald McLeish; “La poesia è un perfetto universo di parole”, Anonimo.
“Mi è capitato – considera Renzo Cremona –, dopo alcune letture pubbliche, che le persone che avevano acquistato un mio libro si meravigliassero di non trovare le parole disposte in versi. Io rispondo che il ritmo, le pause, la “musica” del testo, questo è ciò che “fa poesia”, non l’uso delle maiuscole o di altri elementi puramente visivi della pagina scritta; trovo che questa forma risponda meglio ai ritmi con cui si distribuiscono le parole nella mia scrittura”.
Di certo non azzardiamo aggiungere alcunché e, nel caso in esame come in altri, facciamo nostri gli assunti di Benedetto Croce: “Della Poesia non se ne può dire niente tranne che riconoscerla” e di Thomas Stearns Eliot: “La poesia può comunicare anche prima di essere capita”.
caletta san liberale e torre di ligny, due delle tappe/cartoline, si situano a un tiro di schioppo l’una dall’altra:
la notte si era affacciata con reti di umidità dal mare. le voci … avevano bordi pericolanti come tetti di edifici in procinto di crollare. il vento si portava via qualche parola … mangiandosi la coda dei nostri discorsi. l’orlo delle onde … si disarticolava sfasciandosi come chiglie immaginarie contro qualche scoglio della mezzanotte.
c’è un camminamento alle estreme regioni della città che porta i passi a sfiorare i confini. il mare lo cinge da entrambi i lati infiltrandosi con urla di salsedine. il pensiero ultimo della terra che abbandona se stessa.
Là dove la città si assottiglia, sugli scogli che formano la prosecuzione della stretta lingua di terra della città antica, tra il mar Tirreno e il canale di Sicilia, sorge la Torre di Ligny. Venne eretta nel 1671, durante la dominazione spagnola della Sicilia, su ordine del generale belga Claude Lamoral, principe di Ligne, a difesa della città dalle incursioni dei corsari barbareschi.
dall’alto vedevamo l’incendio che era stato fatto … il silenzio nero della terra offesa. mentre le cabine salivano … si faceva ... la vista più larga, gli occhi … sempre più spalancati.
Inaugurata l’8 luglio 2005, la funivia Trapani-Erice collega il capoluogo con Erice, sull’omonimo monte a 751 metri sul livello del mare.
Ci si riallaccia, così, ai primordi di questa avventura. Ma stavolta Renzo Cremona, lungo il tragitto, fra un pilone e l’altro, ha suo malgrado modo di constatare le devastanti conseguenze della piaga degli incendi estivi. Nonostante ciò, che meraviglia, che magnificenza, che estatico spettacolo della Natura il panorama mozzafiato che si schiude a beneficio di chiunque, trapanesi e non, mediante la cabinovia per erice vetta o con altri mezzi, raggiunga Erice vetta!
Il percorso guidato di Renzo Cremona alla scoperta della città e dei suoi dintorni non ammette tregua e non conosce distanze e, dopo Erice vetta, i suoi occhi catturano altri seducenti scatti: il baglio; il sanatorio abbandonato; le mura di tramontana; bastione conca; la scala tra le mura di tramontana e via libertà; porta ossuna.
Il seguito della recensione in un prossimo post
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