sabato 23 novembre 2019

QUI NACQUE LA SCUOLA POETICA SICILIANA "PIR MEU CORI ALLIGRARI...". Palazzo dei Normanni, Corte di Federico II (Ma che lingua parliamo?)

«Pir meu cori alligrari»

Si tratta dell'unico testo dei poeti della scuola siciliana giunto sino a noi nella forma originale, senza cioè le correzioni apportate dai copisti toscani, dunque al valore letterario si aggiunge quello propriamente storico-linguistico che ci permette di apprezzare le notevoli differenze rispetto al "canone" fissato dalla tradizione manoscritta. La canzone contiene tutti gli elementi propri della lirica amorosa di derivazione provenzale, con il lamento del poeta che soffre a causa dell'amore non corrisposto dalla dama e la sua devozione e assoluta fedeltà alla donna, mentre interessante è il paragone tra Stefano Protonotaro che ammira la bellezza di lei e la tigre che, secondo i bestiari medievali, ammirava la propria immagine riflessa allo specchio scordandosi di tutto il resto. 
Componimento di Stefano Protonotaro




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Pir meu cori alligrari,
chi multu longiamenti
senza alligranza e joi d’amuri è statu,
mi ritornu in cantari,
ca forsi levimenti
da dimuranza turniria in usatu
di lu troppu taciri;
e quandu l’omu ha rasuni di diri,
ben di’cantari e mustrari alligranza,
ca senza dimustranza
joi siria sempri di pocu valuri:
dunca ben di’ cantar onni amaduri.

E si pir ben amari
cantau jujusamenti
omu chi avissi in alcun tempu amatu,
ben lu diviria fari
plui dilittusamenti
eu, chi son di tal donna inamuratu,
dundi è dulci placiri,
preju e valenza e jujusu pariri
e di billizzi cutant’abundanza
chi illu m’è pir simblanza,
quandu eu la guardu, sintir la dulzuri
chi fa la tigra in illu miraturi;

chi si vidi livari
multu crudilimenti
sua nuritura, chi ill’ha nutricatu:
e sì bonu li pari
mirarsi dulcimenti
dintru unu speclu chi li esti amustratu,
chi l’ublïa siguiri.
Cusì m’e dulci mia donna vidiri:
ca ’n lei guardandu met[t]u in ublïanza
tutta autra mia intindanza,
sì chi istanti mi feri sou amuri
d’un colpu chi inavanza tutisuri.

Di chi eu putia sanari
multu leg[g]eramenti,
sulu chi fussi a la mia donna a gratu
m’eu sirviri e pinari;
m’eu duttu fortimenti
chi, quandu si rimembra di sou statu,
nu·lli dia displaciri.
Ma si quistu putissi adiviniri,
ch’Amori la ferissi di la lanza
chi mi fer’e mi lanza,
ben crederia guarir di mei doluri,
ca sintiramu engualimenti arduri.

Purrïami laudari
d’Amori bonamenti
com’omu da lui beni ammiritatu;
ma beni è da blasmari
Amur virasimenti
quandu illu dà favur da l’unu latu
e l’autru fa languiri:
chi si l’amanti nun sa suffiriri,
disia d’amari e perdi sua speranza.
Ma eu suf[f]ru in usanza,
ca ho vistu adess’a bon suffirituri
vinciri prova et aquistari unuri.

E si pir suffiriri
ni per amar lïalmenti e timiri
omu acquistau d’amur gran beninanza,
dig[i]u avir confurtanza
eu, chi amu e timu e servi[vi] a tutturi
cilatamenti plu[i] chi autru amaduri.

Per rallegrare il mio cuore, che è stato molto a lungo senza allegria e gioia d'amore, torno a cantare, poiché forse per il troppo tacere potrei facilmente prendere questa abitudine [di restare in silenzio]; e quando uno ha motivo di parlare, deve certo cantare e mostrare la sua allegria, in quanto la gioia sarebbe sempre di poco valore se non la si dimostrasse: dunque ogni amante deve cantare.





E se qualcuno che ha amato in qualunque tempo, per il fatto di aver ben amato ha cantato gioiosamente, ben più felicemente lo dovrei fare io, che sono innamorato di una donna tale per cui in essa vi è dolce piacevolezza, pregio e valore e un aspetto gioioso e una tale abbondanza di bellezza che, quando io la guardo, mi sembra di provare la dolcezza che prova la tigre [quando guarda se stessa] in uno specchio;




la quale si vede sottrarre molto crudelmente i suoi piccoli, che essa ha nutrito: e pure le sembra così piacevole ammirarsi dolcemente in uno specchio che le viene mostrato, che si dimentica di inseguirli. Altrettanto dolce è per me vedere la mia donna: infatti guardando lei io mi dimentico di qualunque altro pensiero, in modo tale che il suo amore mi colpisce subito con un colpo che aumenta di continuo.





E io potrei guarire da esso molto facilmente, se solo alla mia donna fossero graditi il mio servizio e le mie pene [amorose]; ma io dubito molto che, quando si ricorda della sua condizione, le siano spiacevoli. Ma se potesse succedere questo, cioè che Amore la ferisse con la stessa lancia che mi ferisce e mi strazia, credo che guarirei certo dei miei dolori, poiché sentiremmo l'ardore [d'amore] in egual misura.




[In tal caso] Potrei lodare l'amore schiettamente, come uno che è da lui ben ricompensato; ma l'Amore è invece da biasimare fortemente quando esso dà il suo favore solo a uno dei due amanti, mentre fa soffrire l'altro: poiché se l'amante non sa sopportare, desidera amare e perde ogni speranza. Ma io sopporto per abitudine, in quanto ho visto sempre che se uno sopporta bene alla fine vince la prova e acquista onore.




E se sopportando e amando lealmente e temendo [di non esser ricambiato] qualcuno ha ottenuto grande premio d'amore, io devo confortarmi poiché vi amo, vi temo e vi servo ogni momento in modo nascosto, più che qualunque altro amante. 

Interpretazione complessiva

  • Metro: canzone formata da cinque stanze di dodici versi ciascuna (endecasillabi e settenari), con schema della rima abCabCdDEeFF, e un congedo di sei versi (rima dDEeFF, corrispondente alla sirima). Le stanze 1-2 e 5-6 sono capfinidas (amaduri / amarisuffirituri / suffiriri).
  • La lingua è il volgare siciliano (unico esempio della scuola giuntoci senza le correzioni dei copisti), come risulta soprattutto dalle terminazioni in -i (v. 1, "alligrari"; v. 2, "longiamenti"; v. 11 "valuri", ecc.) e in -u (v. 1, "meu"; v. 2, "multu"; v. 7 "lu troppu", ecc.). Sono presenti anche provenzalismi (v. 3, "joi"; v. 6, "dimuranza"; v. 19, "placiri" da plazer) e francesismi (v. 22, "m’è pir simblanza", da il me semble; v. 36, "tutisuri" da totes hores, "sempre").
  • La lirica è un lamento d'amore del poeta, che ama fedelmente una donna di condizione sociale superiore ma non è ricambiato, dunque descrive la gioia del sentimento provato e, al contempo, la pena di non essere corrisposto. Stefano riprende alcuni temi tipici della poesia trobadorica, come la corrispondenza tra gioia d'amore e canto (chi ama ed è felice non può fare a meno di esprimerlo in versi), il lungo silenzio rotto dall'espressione poetica, l'assoluta fedeltà alla donna e la speranza di "vincere la prova" sopportando con devozione le sofferenze amorose, infine la segretezza del sentimento (l'uomo ama e serve la donna cilatamenti, di nascosto, per non danneggiare la sua reputazione con le chiacchiere dei malparlieri). Al v. 42 l'autore ipotizza che la dama non lo corrisponda per riguardo al proprio statu, alla più alta condizione sociale, il che rispecchia la tipica situazione della lirica provenzale (il cavaliere-poeta che ama e serve una donna nobile, spesso la moglie del proprio signore).
  • Il paragone tra il poeta e la tigre (vv. 24-31) si spiega alla luce dei bestiari medievali, in cui si suggeriva ai cacciatori di usare degli specchi per distrarre la tigre e indurla ad ammirare la propria immagine riflessa affinché dimenticasse di proteggere la propria prole, proprio come Stefano che ammira la bellezza della donna e dimentica ogni altro pensiero (il motivo ricorre anche in una canzone del poeta provenzale Rigaut de Barbezilh, fine XII sec.). Anche Giacomo da Lentini ammira l'immagine dipinta della donna amata nella canzonetta Meravigliosamente (► VAI AL TESTO).













Foto ph ©piero carbone (18 novembre 2019)

Testo dal sito indicato attraverso il link

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1 commento:

  1. Amo il dialetto, amo il mio dialetto siciliano! Mi piace parlarlo anche in casa, nonostante io vivi al Nord! Blog interessante. mi sono unita ai lettori.
    Caoticamente Silenziosa è il mio, appena aperto quindi povero di contenuti. passa se ti va!
    Buona serata!

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