Cosa viene fuori dall'incontro di un genere musicale nuovo con il dialetto antico?
Roberto Sottile analizza i testi di alcune canzoni rap e ci fa scoprire che...
La canzone
TESTO DELLA CANZONE
Biggaspano, Marruggiati e pani duru (G. Mirasolo), 2011
Nna ggenerazioni cu lli spaḍḍi a
llu muru ca
pìgghia ṣṭṛati c’un-zi sapi runni
vannu
crisci a mmarruggiati e ppani duru
e ppi ttirari avanti me fra’
cci-aviri puru l’occhi nculu.
Quaṭṭṛu porci assittati
cosa ri pigghialli a mmasciḍḍati
sciacalli e strozzini autorizzati
e ppo un parlamu di li sbirri
sempri cchiù aṭṭṛezzati
çentu ncapu a un’a mmèttiri i
manganellati
e ssunnu chiḍḍi cu li figghi
assistimati chi
si cci ddiplomaru e ssu qquasi
laureati
e la manu americana pripara
l’attentati
beḍḍa maṭṛi l’Italia è ddi li laṭṛi
cci vulìssiru piṭṛati ferru e ffocu nta
li ṣṭṛati
su ttutt’implicati i preti porci e
mmagistrati
Fini Bberlusconi e Pprodi sunnu
andicappati
menṭṛi tutti l’aṭṛi na maniata i
scafazzati
e nniaṭṛi na ggenerazzioni...
Li polìtiçi corrotti sunnu chiḍḍi chi
cci-annu li mugghieri pulli e ssi nni
vannu a ffinocchi
mi rìçinu chi ll’erba è ccomu
l’eroina
ma su rricoverati pi la coca
all’aṭṛopina
e ssunnu tutti cchiù rrazzisti di
Bbossi
picchì pàganu nneru puru lli
portabborsi
bbicchirinu d’acqua e cchiàcchiara
pagata
picchì su qquacquaraquà e ccani di
bbancata
paganu li tassi l’operai
avi nna vita chi ṭṭṛavàgghiu e ccosi
ggiusti unn àiu vistu mai
ci vulìssiru tistati comu a
Mmaterazzi
e ccontinuannu ri stu passu
addivintamu tutti pazzi
e cchiḍḍi rricchi un ci crìrinu a li
scarsi
tirchi comu Maźźarò fannu castelli
e ppalazzi
rispàrmianu puru ll’ària chi
rrespìranu
veni la morti e ssi li pìgghia
ddoppu chi nnèscinu pazzi
tuttu um-mància mància ma un-
zunnu mai sazzi
ccà fannu lli sordi iucaturi e
ppaparazzi
ḍḍi quaṭṭṛu bbuttani c’allivìscinu
cazzi
a mafia la politica e ttutti li so
nṭṛallazzi.
Na ggenerazzioni…
Una generazione con le spalle almuro che
prende strade che non si sa dove
vanno
cresce a bastonate e pane duro
e per tirare avanti, fratello mio
devi avere gli occhi nel culo.
Quattro porci seduti
roba da prenderli a cazzotti
sciacalli e strozzini autorizzati
e ppoi non parliamo degli sbirri
sempre più attrezzati
cento sopra uno a prendere a
manganellate
e sono quelli con i figli assennati
che
si sono diplomati e sono quasi
laureati
e la mano americana prepara gli
attentati
mamma mia, l’Italia è dei ladri
ci vorrebbero sassate ferro e fuoco
per le strade
sono tutti implicati preti, porci e
magistrati
Fini Berlusconi e Prodi sono
handicappati
mentre tutti gli altri un pugno di
persone infime e insulse
E noi una generazione…
I politici corrotti sono quelli che
hanno le mogli sgualdrine e se ne
vanno coi finocchi
mi dicono che l’erba è come l’eroina
ma sono ricoverati per la coca
all’atropina
e sono tutti più razzisti di Bossi
perché pagano in nero anche i
portaborse
bicchiere d’acqua pronto e
chiacchiere remunerate
perché sono quacquaraquà e
persone disutili
pagano le tasse gli operai
è da una vita che lavoro e cose giuste
non ne ho viste mai
ci vorrebbero testate come a
Materazzi
e continuando di questo passo
diventiamo tutti pazzi
e quelli ricchi non hanno
considerazione per i poveri
tirchi come Mazarò fanno castelli e
palazzi
risparmiano anche l’aria che respirano
viene la morte e se li prende prima
che impazziscano
fanno guadagni illeciti ma non sono
mai sazi
qua fanno i soldi calciatori e
paparazzi
quelle quattro puttane che
resuscitano cazzi
la mafia la politica e ttutti li so
n..allazzi.
Na ggenerazzioni…
la mafia, la politica e tutti i loro
intrallazzi.
Una generazione…
L'ANALISI DEL PROFESSORE ROBERTO SOTTILE
Nella
cultura musicale hip hop «grandissima importanza [è] attribuita al messaggio
trasmesso attraverso la musica, veicolo di inquietudini e di storie difficili,
manifesto pregnante del disagio giovanile. [...] Come nei ghetti americani,
così nelle periferie italiane i giovani rapper sentono l’esigenza di parlare
del proprio mondo, raccontare storie vissute tutti i giorni, esprimere la
rabbia provocata da realtà degradate, attraverso il potente mezzo della musica,
capace di dare risonanza collettiva al disagio e all’alienazione» (Scrausi
1996, p. 288).
[...] In questo contesto «diventa essenziale l’uso di un
linguaggio che rispecchi esattamente la realtà rappresentata» (ivi, p. 294).
«Tra gli elementi di novità rispetto alla canzone tradizionale spicca, naturalmente,
il ritmo. Dato che nella costruzione di un testo rap ci si ispira ai moduli
della discorsività parlata, il rapper gode di una libertà compositiva maggiore
di quella di cui dispongono cantautori e parolieri» con «l’adozione di un ritmo
fluente e ininterrotto che solo l’andamento magmatico di un parlato irrequieto
e privo di censure espressive può offrire. [...] Questa caratteristica viene
confermata anche dall’uso, che per esempio si attua nelle jam sessions, di
“rappare all’impronta” su basi ritmiche volutamente non originali» (ivi, p.
314). E così, nelle canzoni rap, dove le parole, più che cantate, sono
scaricate addosso a chi ascolta, «la rima [...] non ha lo stesso valore che ha
nella canzone tradizionale, risponde[ndo] a due esigenze precise.
La prima è
di natura stilistica: nella rima si condensa la carica aggressiva del testo.
[...] La seconda esigenza è di natura testuale. Il brano rap è un testo poetico
particolare: è come se, per l’orecchio, non andasse mai a capo. Per questo
aspetto può essere considerato una sorta di poema in prosa. [...]
Istruttivamente, nella stesura, spesso i versi vengono scritti tutti di
séguito, a volte anche senza punteggiatura, tanto da rendere difficile la
scansione metrica: sicché la rima garantisce il tasso necessario e sufficiente
di poeticità; ma soprattutto svolge una funzione connettiva. Stabilisce, cioè,
dei legami tra le varie parti del testo, che altrimenti risulterebbero disunite
o, al contrario, indistinte.
Naturalmente
la rima non è più collocata necessariamente in fine di verso [...]. Quando gli
autori effettuano una scansione metrica, non cercano la rima classica, ma la
rimalmezzo, la rima interna, l’assonanza, la consonanza» (ivi, pp. 315-316).
Queste
considerazioni, tratte da Versi
rock, chiariscono bene quali siano le
principali caratteristiche formali, oltre che tematiche, della cultura hip hop.
Il testo "Marruggiati e pani duru" di Biggaspano presenta una profonda coerenza tanto con le soluzioni formali
richiamate sopra, quanto con i temi del rap militante. Anche se la canzone è
eseguita su un riddim reggae, essa è stata originariamente concepita come una composizione rap.
E, inoltre, nel Meridione, a differenza che nel resto d’Italia, i rapper praticano
anche il reggae (dai salentini Sud Sound System agli Shakalab) e, pertanto,
sono diffusi molti esempi di “trasformazioni” di brani dall’uno all’altro
genere (come nel recente caso del remixing della canzone "Lu giru di li vili" della Dimora del Padrino ad opera dello stesso Biggaspano).
Il testo
presenta il “Paese reale”, vittima degli abusi di potere (e ppo un parlamu di li sbirri sempri cchiù atṭṛezzati
/ çentu ncapu a un’a mmèttiri i
manganellati), ma dotato di un forte senso civico (pàganu li tassi l’operai /
avi nna vita chi tṭṛavàgghiu e ccosi ggiusti unn àiu vistu mai), in antitesi con il mondo della politica e
delle istituzioni; esprime il profondo disagio di una generazione senza prospettive
e una violenta invettiva
contro il potere istituzionale, questo incarnato dalle forze di polizia e dai
politici corrotti, chiamati con i loro
nomi e, di volta in volta, apostrofati come porci, sciacalli, strozzini, handicappati.
La canzone
del rapper Biggaspano, in quanto «cantastorie di fine millennio» (secondo la (auto)definizione
di Frankie Hi-nrg, cfr. Scrausi 1996, p. 299), trae spunto dall’attualità, a
partire dalla quale viene
sviluppato il tema della corruzione (morale, ancor più che istituzionale) del
sistema politico. Il rapporto con l’attualità è nel (probabile) riferimento
allo “scandalo Marrazzo” (li polìtiçi corrotti sunnu chiḍḍi chi / ..si nni vannu a ffinocchi), a quello delle “olgettine” (ḍḍi quaṭṭṛu bbuttani c’allivìscinu
cazzi), alla testata di Zidane sul petto di Materazzi, in occasione dei
mondiali di calcio del 2006 (cci
vulìssiru tistati comu a Mmaterazzi).
L’indignazione
contro la corruzione è amplificata dalla violenza verbale e dal turpiloquio che
costituiscono
la cifra espressiva del rap militante, mentre non manca un “passaggio” sulla
liberalizzazione
delle droghe
leggere, altro topos della cultura hip hop (cfr. Scrausi 1996, pp. 352-353).
Sul piano
formale, la canzone, prevalentemente in rima baciata, presenta anche molte rime
interne che
servono a
dare ulteriore coesione al testo che viene cantato “tutto d’un fiato” (cosa ri pigghialli a
mmasciḍḍati
/ sciacalli e strozzini autorizzati). Ma si noti,
soprattutto, come la rima interna venga usata, a
mo’ di
rinforzo, quando in punta di verso non è presente una forma in rima con quella
del verso precedente: e la manu americana pripara l’attentati //
beḍḍa maṭṛi l’Italia è di li laṭṛi); si noti anche il gioco
omonimico laṭṛi ‘ladri’ / l’aṭṛi ‘gli altri’ (anche se le due
forme sono poste a una certa distanza l’una dall’altra). Non mancano,
poi, esempi di assonanza (puru :
nculu; diplomaru : manu) e consonanza (sunnu: annu; sunnu : fannu).
Tra le
figure retoriche, spiccano le numerosissime iperboli (cci-aviri puru l’occhi nculu ... çentu ncapu a unu ... e ssunnu tutti cchiù rrazzisti di Bbossi ... avi
nna vita chi ṭṭṛavàgghiu ... rispàrmianu puru ll’ària chi rrespìranu), la prosopopea (veni la morti e ssi li pìgghia), la similitudine (tirchi comu Maźźarò), la metafora (ḍḍi
quaṭṭṛu bbuttani c’allivìscinu cazzi).
Riguardo al
lessico, il titolo trae spunto dal proverbio napoletano mazze e panelle fanne e figlie belle,
panelle senza mazze fanne e figlie pazze, e
“traduce” il nome di un brano dei Chief e Soci, Feat. La Famiglia (1997).
La forma pulli, unico disfemismo diatopicamente marcato, è un francesismo sette-ottocentesco col valore di ‘sgualdrina’ (< francese poule). Interessanti sono anche le locuzioni maniata i scafazzati, che “fonde” un arcaismo con un giovanilesimo (cfr. 4.4.1.), e cani di bbancata; la forma, con apocope, me fra’ (già discussa al § 4.4.5.) e la parola quacquaraquà, che, pur dotata di una forte connotazione isolana, se posta in relazione con la nota “categorizzazione antropologica” di Leonardo Sciascia (Il giorno della civetta), trova un precedente in una “vecchia” canzone dei Bisca 99 Posse, «Onu. Fao, Unicef, quaqqquaracquacqua» (Cildren ov babilon, 1995).
La forma pulli, unico disfemismo diatopicamente marcato, è un francesismo sette-ottocentesco col valore di ‘sgualdrina’ (< francese poule). Interessanti sono anche le locuzioni maniata i scafazzati, che “fonde” un arcaismo con un giovanilesimo (cfr. 4.4.1.), e cani di bbancata; la forma, con apocope, me fra’ (già discussa al § 4.4.5.) e la parola quacquaraquà, che, pur dotata di una forte connotazione isolana, se posta in relazione con la nota “categorizzazione antropologica” di Leonardo Sciascia (Il giorno della civetta), trova un precedente in una “vecchia” canzone dei Bisca 99 Posse, «Onu. Fao, Unicef, quaqqquaracquacqua» (Cildren ov babilon, 1995).
ROBERTO SOTTILE, Il dialetto nella canzone italiana degli ultimi venti anni.
Data pubblicazione: Settembre 2013;
Editore: Aracne;
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