Asceti, teologi e fior di filosofi
si sono cimentati a cogliere
si sono cimentati a cogliere
la forma e l'essenza
del velo di Maya,
come si può vedere dal seguente florilegio di citazioni.
Prima citazione
Con il sostantivo femminile sanscrito māyā (in devanāgarī माया) si indicano in quella lingua diverse dottrine filosofiche e religiose originarie dell'India nonché, come nome proprio, la madre di Gautama Buddha o uno dei nomi della dea Lakṣmī.
Il significato originario di māyā è quello di "creazione", ma ha successivamente acquisito il significato di "illusione".
Con l'espressione Velo di Maya, coniata da Arthur Schopenhauer nel suo Il mondo come volontà e rappresentazione, si intendono diversi concetti metafisici egnoseologici propri della religione e della cultura induista e ripresi successivamente anche da vari filosofi moderni. Arthur Schopenhauer nella propria filosofia sostiene che la vita è sogno sebbene questo "sognare" sia innato (quindi la nostra unica "realtà") e obbedisca a precise regole, valide per tutti e insite nei nostri schemi conoscitivi.
Questo «velo», di natura metafisica e illusoria, separando gli esseri individuali dalla conoscenza/percezione della realtà (se non sfocata e alterata), impedisce loro di ottenere moksha (cioè la liberazione spirituale) tenendoli così imprigionati nel saṃsāra, ovvero il continuo ciclo delle morti e delle rinascite.
Il significato originario di māyā è quello di "creazione", ma ha successivamente acquisito il significato di "illusione".
Seconda citazione
Il velo di Maya[modifica | modifica wikitesto]
Con l'espressione Velo di Maya, coniata da Arthur Schopenhauer nel suo Il mondo come volontà e rappresentazione, si intendono diversi concetti metafisici egnoseologici propri della religione e della cultura induista e ripresi successivamente anche da vari filosofi moderni. Arthur Schopenhauer nella propria filosofia sostiene che la vita è sogno sebbene questo "sognare" sia innato (quindi la nostra unica "realtà") e obbedisca a precise regole, valide per tutti e insite nei nostri schemi conoscitivi.
Questo «velo», di natura metafisica e illusoria, separando gli esseri individuali dalla conoscenza/percezione della realtà (se non sfocata e alterata), impedisce loro di ottenere moksha (cioè la liberazione spirituale) tenendoli così imprigionati nel saṃsāra, ovvero il continuo ciclo delle morti e delle rinascite.
Terza citazione
Commento di Smaragdos
Se anche sul web un commento è anonimo per comprensibile prudenza o, diciamo approssimativamente, per legittima difesa, e la causa che si vuol difendere o lo scopo che si vuol perseguire sono nobili e in coscienza ritenuti giusti, l'anonimato può essere comprensibile,
ma se è per vigliaccheria o per dare inopinatamente un avvertimento, diventa schermo dietro cui nascondersi per intimorire o colpire proditoriamente qualcuno.
In questo caso, l'anonimato perde ogni aura di giustificazione, molto più semplicemente bisogna mettere da parte asceti, teologi e filosofi vari e interessare almeno la polizia postale per strappare concretamente l'enigmatico velo di Maya.
Verrebbe anche da pensare: ma se uno crede di essere nel giusto e di avere ragione, perché vergognarsene fino al punto di annullarsi nell'indistinto e amorfo anonimato? Neanche gli attori, che pur sono finti, personaggi, semplici voci, recitano dietro le quinte.
Alcuni link a caso:
ph ©piero carbone
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