Nota pubblicata su facebook il 4 aprile 2016
SULLE DIMISSIONI DEL PROF. DI GRADO: MOTIVAZIONI SU MOTIVAZIONI
“Anche questo è un punto da rivedere, forse cambiando lo Statuto. Così come bisognerebbe rivedere il Comitato scientifico vigilanza di cui parla lo statuto. Ma cosa c’è da vigilare? In questi anni in realtà ha fatto tutto il consiglio d’amministrazione, prendendo tutte le decisioni”.
Nella tempestiva intervista a “Malgrado tutto” di oggi, a pochissime ore dalle sue dimissioni lanciate sulla sua pagina facebook, il prof. Antonio Di Grado, nel ragionare sulle sue dimissioni dimostra, mi dispiace dirlo, idee alquanto confuse.
A proposito degli incarichi a vita voluti dallo stesso Sciascia, dopo venticinque anni si accorge che questo “è un punto da rivedere”, addirittura si dovrebbe “cambiare lo statuto”. Ma nello statuto si sono rispettate le intenzioni di Sciascia secondo lettera dattiloscritta del 6 settembre 1989? Alcuni componenti del suddetto comitato non hanno mai preso parte attiva all’organizzazione e vigilanza volute da Sciascia. Non bisognava forse intervenire già qualche anno fa?
In una delle poche riunioni a cui ho partecipato in qualità di membro di diritto del consiglio di amministrazione, in quanto assessore pro tempore alla Cultura, era il 2007, lamentai assenze varie. Un problema? Macché! Fui preso per insolente (sic!).
Di quell’insolenza ne vado fiero ché insolenza non era ma scomoda presa di posizione. Ebbi a dire che andava onorata la designazione di Sciascia con la presenza e la partecipazione mentre con l’assenza non la si onorava. Proponevo addirittura la decadenza degli assenteisti, come dovrebbe risultare dai verbali. Fu impertinenza?
Il prof Di Grado sostiene che si dovrebbe rivedere il Comitato scientifico di organizzazione e vigilanza voluto da Sciascia, ma perché mai alcuni membri del suddetto comitato di vigilanza nonché il direttore letterario, designato nella sua persona, si sono travasati nel consiglio di amministrazione: il professore Di Grado e altri vigilavano loro stessi?
“In questi anni in realtà ha fatto tutto il consiglio di amministrazione, prendendo tutte le decisioni”. E allora? Erano sempre loro! Con chi prendersela? Bisognava rispettare le volontà di Sciascia, sì: quello era ed è il vero Statuto.
Infine, si lamenta di non aver potuto, per impedimenti vari, organizzare alcune eventi culturali che avrebbe voluto proficuamente organizzare, però se erano altri a far notare i problemi anche nell’organizzazione delle attività culturali, non è più d’accordo, e lamenta che sulla sua bacheca fb “ci sono tizi di Racalmuto che parlano di vecchi problemi...”.
Avendone parlato anch’io, rientro nel novero dei “tizi”?
Ma sti problemi, tizi a parte, c’erano o non c’erano?
Se non c’erano e mai ci sono stati, perché, “a la squagliata di la nivi”, siamo a questo punto?
Non si può ridurre tutto a una questione di soldi, ovvero di disponibilità finanziarie, sarebbe offensivo e fuorviante.
Niente da dire sulla poco chiara, grottesca e paradossale vicenda della sostituzione, nel Consiglio di amministrazione, del dimissionario consigliere-tesoriere di un anno fa?
Se i problemi c’erano, andavano affrontati, da qualsiasi parte venissero segnalati; se non c’erano, perché siamo arrivati a questo punto?
In tutti questi anni, da parte di tanti, a diverso titolo, e a volte “che titolo!”, paesani e non paesani, è stato più comodo, e talvolta redditizio in senso non strettamente pecuniario, il silenzio o l’avere additato i problemi? Chi è risultato amico o più simpatico?
E poi, diciamocelo chiaro e forte, alla Fondazione non hanno mai fatto difetto risorse, intelligenze, simpatie e consensi dal vasto mondo della cultura, dell’accademia, del giornalismo e della politica per programmare una proficua, lunga vita.
Forse si vuole dire che Sciascia ha sbagliato a volere radicare la Fondazione a Racalmuto, invece di Palermo, Milano o Parigi? Ma che criterio è codesto?
Forse bisognerebbe dire agli spagnoli di spostare il Teatro-Museo di Salvator Dalì dalla cittadina di Figueres in una grande città come Madrid? O bastano 44.289 abitanti a decretare il successo di una istituzione culturale come il Teatro-Museo di Dalì, appunto?
O forse se ne deve inferire che lo stesso Sciascia sarebbe stato altro e di più se non fosse stato di paese? di un piccolo paese agricolo, pastorale e minerario dell’entroterra agrigentino senza università, senza acquedotto, senza tante cose, degli Anni Venti, Trenta, Quaranta, Cinquanta, Sessanta, Settanta, Ottanta... del secolo scorso?
Non gli avranno conferito il Nobel perché era di paese?
Peccato, essere arrivati a questo punto! E ora? I nuovi problemi verrano risolti o dissolti?
P. S.
In una intervista a Radio radicale viene detto che una delle cause della marginalità della Fondazione sono state e sono le scarse e/o malagevoli vie di comunicazione per raggiungerla. Ma allora a che cosa doveva e dovrebbe servire la tanto conclamata "Strada degli scrittori"?
Se la meta non sono i paesi degli scrittori, che senso ha chiamarla così?
E dire che le risorse economiche impiegate per pubblicizzare Italia Italia e Sicilia Sicilia lo slogan "Strada degli scrittori", tanto caro al consigliere tesoriere della Fondazione "Sciascia" Felice Cavallaro, si potevano spendere per la bonifica e il potenziamento delle strade esistenti: quelle strade di cui Sciascia si serviva per andare a Palermo, a Milano, a Parigi.
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Caro Piero ,penso ci siamo persi qualcosa e le motivazioni delle dimissioni non credo siano,il ricambio generazionale o la "marginalità" del luogo dove insiste la Fondazione Leonardo Sciascia tra l'altro voluta fermamente da Leonardo come del resto chi la doveva dirigere.e neppure l'assenza di finanziamenti datosi che uno dei pochi rimasti se lo sono fatti scappare,ma da contrasti non esplicitati tra i componenti del Consiglio per stabilire chi fa cosa.Il Paese di Racalmuto è solo vittima in quella che nell'intervista lo stesso Professore definisce "teatro di faide,di lotte tra personaggi,tra cosche .." sarebbe stato il caso ,più onestamente, di esplicitare le criticità proprio per adempiere ad una volontà dello Scrittore.Insomma dallo studioso di Sciascia e sciasciano mi sarei aspettato una maggiore chiarezza di ragionamento. La stessa scelta di comunicarlo in un social e non nelle sedi opportune propende su questo.Insomma lo stile è quello del " buon intenditor ...poche parole".
RispondiEliminaCondivido.
RispondiEliminaIn particolare: - Il Paese di Racalmuto è solo vittima in quella che nell'intervista lo stesso Professore definisce "teatro di faide,di lotte tra personaggi,tra cosche .." sarebbe stato il caso ,più onestamente, di esplicitare le criticità...