Le 6572 ettare del territorio racalmutese si estendono, a detta degli storici, su una superficie “a forma di una grande foglia di fico”; ma i fichi a cui faccio riferimento, sempre a proposito di storia racalmutese, non sono un’immagine, bensì i gustosi frutti che maturano d’estate.
In particolare, i fichi del Raffo e del Saraceno, due contrade amene di Racalmuto, di cui era ghiotto Alfonso Bencivegna, un emigrante che aveva fatto fortuna all’estero: ogni anno ritornava in paese per rivedere i suoi parenti e farsi memorabili scorpacciate di gelsi e fichi. L’ho conosciuto, siamo diventati amici; molto simpatico. Per farlo felice, lo conducevo almeno un paio di volte nel giardino dei miei zii, in contrada Raffo.
Sotto un albero, «sai - mi ha detto - ho comprato casa».
Era quella cosiddetta di “Donnarèlio”, don Aurelio Ajola, notaio; una casa signorile con due palme slanciate che ingentilivano il prospetto e intorniata da un ricco giardino; l’avevo sempre guardata con curiosità: era costeggiata da una fila di casette per la servitù. Della “Pantellerisa” sopravviveva ancora il ricordo in paese, la criàta forastiera di colore olivastro che assumeva tabacco.
Mi ci recai subito e varcato il cancelletto in ferro, che era aperto, vidi il vialetto che conduceva al portone d’ingresso disseminato di carte. “Non è possibile!” esclamai, e invece quelle carte, imbrattate di calce e cemento, erano documenti, atti, incartamenti legali, lettere, minutari e imbreviature notarili, pressoché irriconoscibili. Chiestane la ragione ai muratori, risposero che erano cartacce inutili, tutt’al più avevano vi avevano strappato i “franchibulla”, le marche da bollo con la scritta “Regno d’Italia” e i timbri a secco “Regno delle Due Sicilie”.
«Ma queste sono niente», aggiunsero, «proprio stamattina ne abbiamo scaricato un camioncino pieno in campagna».
Mi precipitai nei posti indicati e con avidità, con furia, raccolsi da terra strani frutti di carta stagionata. Alcuni integri, altri malandati e maleodoranti.
In Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Whitaker, Coppola editore 2006
Foto di Lillo Privitera (San Fratello, estate 2009). Vista dal terrazzino di casa Mangione.
Davanti a quelle palme e a quel cancello tante volte mi sono soffermato, quasi preso dalla curiosità per i misteri che si custodivano in quella casa con porte e finestre sempre chiusi. L'episodio che Lei racconta dice dell'inciviltà e della incultura non tanto della gente ma delle istituzioni che permettono questi scempi. e' dolorosa constatazione dell'inutilità della vita, della corsa ad ostacoli per arrivare al niente.Quel notaio aveva un nome ed un'attività importanti che lo elevavano al di sopra della gente comune, era lo Stato, era la Giustizia (come diceva mio padre) morto non vale più niente, non è più stato, non è più Giustizia ed il suo nome va cancellato assieme alle sue opere. Va portato in campagna per dare fuoco e procurare cenere da spargere sui campi. Meno male che vi sono però persone come Lei, impegnate a salvaguardare quel che è possibile salvaguardare e pronto a spronare la gente e cercare comunque di convincerla che è possibile migliorare.
RispondiEliminaUno scatto, una foto, un paese S.Fratello ferito a morte da un evento distruttivo, una chiesa che non esiste più....campane che non suonano più....Ricordi e luoghi della mia vita...conforto del cuore in momenti di malinconia.....
RispondiEliminaDolce passato e giorni lontani....
Profumi e sapori di un'estate nella casa natia ......
Grazie per i "densi" commenti.
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