DIALOGO NEL BOSCO
Atto unico
Il poeta pecoraio futurista Giardina entra e si colloca
al centro della scena rivolto al pubblico. Si illumina alla sua sinistra
(destra per il pubblico) un busto con il volto che indica Virgilio.
Voce fuori campo:
“Mi esalto ricordando la Collina
virgiliana
E il mare…
dalla terra ferma interna al mare d’Aspra
…agitato stasera calmo dorato
come immenso feudo di grano senza vento!
Spreparato affondo da selvaggio pecoraio
in questo oceano che liricamente corre e sconfina
la fantasia.
Qui altro colore altra aria altro stile di vita”.
“A spettacoli di sogno, a miracolose realtà,
assisterò in alto sulle cime”.
Si spegne la luce alla sua sinistra e si illumina alla sua destra (sinistra per il pubblico) un busto con il volto che indica Marinetti.
Voce fuori campo:
“Mare mare
mare inquinato salato deserto ubriaco”.
(Rivolto alla
statua di Virgilio):
L’uno
m’incanta,
(rivolto alla
statua di Marinetti, accendendosi la luce)
l’altro
m’appassiona.
(rivolto verso il pubblico):
E
io?
Alla fine del
Preludio entra il Coro.
Mentre il Coro
canta, entra con fruscio di vesti Virgilio e va a collocarsi sopra un altare
rialzato nel lato sinistro (guardando il pubblico) del palcoscenico. A seguire
entra, impettito, Marinetti e va a collocarsi, sul lato opposto, in cima ad una scalinata che assomiglia al
crestato dorso di un’iguana preistorica. Al termine del Coro:
Virgilio:
Se ti chiedo – cos’è un
fiore? –
mi rispondi, nel Duemila:
- E’ un fungo alto
nel cielo che
ricopre la terra di
morte -.
Se ti chiedo – cos’è
un bosco un’ara un
fonte? –
mi rispondi:
- E’ una fabbrica
d’acciaio! -.
Se ti chiedo – cos’è
un mito
il mistero il vento
il mare? –
mi rispondi: - Non
lo so.
Marinetti:
E’ un altro tempo, ormai,
che noi viviamo,
un’altra era.
Del presente gioiamo
senza rammarichi,
l’orgoglio nostro.
Respiriamo benzene,
non lamenti.
Cantiamo
il tempo nostro
senza rimpianti d’Arcadie.
Virgilio:
Anch’io vorrei. Ma
posso cantare se
paura ho nel cuore?
Sotto cieli neri di morte
all’ombra delle querce,
viburni siamo.
Marinetti:
Viva la scienza!
Ché ci dà la luce.
Beati i
frutti
strappati
all’ignoranza.
Viva il sapere.
Ché ci dà potenza.
Virgilio:
Nell’immensità non vi era
terra, non vi
era cielo,
non vi era
mare. L’uomo,
chi l’ha inventato?
Coro:
Ti dissero primitivo,
o uomo rintanato nei covili,
quadrupede all’impiedi,
lanciavi la fionda,
spartivi l’eredità col cielo;
ma senza congegni di morte
tu eri incivile.
Virgilio:
Sicilia dei canilupi
alla distesa
abbaiano nelle
notti illuni
le volpi
ci guastano le
vigne.
Il mio poeta,
il poeta
pecoraio lo sa.
Marinetti:
Dire della
Sicilia sempre bene
O sempre male
È un cattivo servizio
Anche in
poesia.
Lo sa il poeta
incoronato di alluminio
che è il mio
poeta.
Ai polsi gli
scalpitano cavalli.
Virgilio:
In certe notti
di scirocco
in Sicilia
si sente
il grido dei morti.
Marinetti:
Ma non è vero.
Virgilio:
Latomie violentate,
cremose colate di cemento.
E sì ch’è vero.
Marinetti:
Latomie e autostrade,
non c’è nesso.
Virgilio:
Sono un
superstite del tempo
Sicaniche
memorie
Ibridescenze
Giare per
culle-morti.
Bracieri
accesi
Nelle sere
d’inverno.
Ignoro per un
attimo la storia
Per cantare le
pustole
Di sicula
terra.
Coro:
Comiso
Scansata al
pericolo
Trafitta dai
missili nel cuore.
Vivamente si
spera
Non sia subito
sera...
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