Non senza senso, ripropongo un'antica presentazione in catalogo.
Può sembrare perfino ovvio: il senso dell'oggi in quello che siamo, in quello che facciamo, va ricercato sempre nel passato. Se c'è un passato.
E' un'arte, un metodo, sapersi costruire un passato adeguato.
Altrimenti si veleggia sul mare della superficialità nell'affannosa ricerca della cosiddetta visibilità, perseguita ad ogni costo, anche se immeritata o inconsistente. E' la malattia di sempre, di quelli che, come diceva Seneca, “hanno bisogno della scena”, “scaenam desiderant” (Epistulae ad Lucilium, lib. XV, ep.II).
Ma per mostrare cosa?
Per recitare quale parte?
Gabriella Patti, detto ora con sguardo retrospettivo, col suo versare poesia in pittura, ha dimostrato nel tempo di saper recitare la propria.
LA PITTURA DI GABRIELLA PATTI
Il laico colore del mondo che l’arte ci sa
dare.
“Ma da dove
cominciare?” è la domanda dell’adolescente Marianna Ucrìa alle prese con tele e
colori, “dal verde tutto nuovo e brillante della palma nana o dal verde
formicolante di azzurro della piana degli ulivi o dal verde striato di giallo
delle pendici di monte Catalfano?”.
Anche l’”astratta” Gabriella Patti,
siciliana come la protagonista evocata da Dacia Maraini nell’omonimo romanzo,
comincia pittoricamente dal colore di un
ente particolare (cristallo, nuvola, fondale marino) ma, come un pretesto, per smaterializzarlo,
per estenuarlo ed accedere ad un colore mentale, fino a prescindere dalla
stessa forma cui il colore originariamente ineriva. Ciò non stupisce se da
architetto ricade come molti pittori-architetti nell’area d’influenza di Paul
Klee con le sue svagate geometrie sottese al colore.
Con processo
inverso invece comincia non da un oggetto bensì da una suggestione poetica per
“materializzarla” in macchie, in atmosfere, per dirla con la sintetica espressione
di Paola Nicita, in “cromìe accese eppure evanescenti”.
Il verso di Ibn Hamdìs,
“ una boccetta rossa di rubino, con stimme di zafferano” le ha suggerito le
macchie variegatamente rossoaggrumato della composizione “Baratro fluorescente”
e “Il raggio verde” di Lucio Piccolo addirittura un trittico dove il poetico
verde, simbolico, dialoga con circoscritti azzurri e pastose tonalità
terrestri: “Ma il raggio che sembrò perduto/nel turbinio della terra/accese di
verde il profondo/di noi dove canta perenne/una favola, fu voce/che sentimmo
nei giorni, fiorì/di selve tremanti il mattino”. Un’intera mostra è
sintonizzata sulla silloge del “barone magico” di Calanovella Gioco a nascondere...
Cartolina invito di una personale di pittura del 2009 |
Neanche
l’iniziale tecnica dell’acquerello ha fatto indugiare Gabriella Patti sul
descrittivismo oleografico - siculo o non siculo non importa, con i soliti
limoni e peperoni ad esempio - o su solipsistici ripiegamenti consolatori. La
giovane pittrice siciliana piuttosto va
ad inserirsi in quella corrente di pittrici contemporanee che, secondo
l’analisi di Emanuela De Cecco e Gianni Romano in un recente studio, “si sono
fatte portatrici di messaggi più generali”.
Ma per la giovane Patti, si
capisce, la cui opera è in fieri, tale
linea di tendenza va proiettata nel futuro, che auspicabilmente sarà ricco di
validi inveramenti.
Intanto, la Patti svolge un’opera didascalica:
saturati come siamo dalle immagini, essa approda alla mistica del colore per
cercare in qualche modo di rifondare il mondo usurato delle percezioni visive e
ridare inizio al primordiale “e sia la luce. E la luce fu”.
E quindi anche il
colore, il laico colore del mondo che l’arte ci sa dare.
Palermo, 1 Ottobre 2001 Piero Carbone
Foto proprie
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