lunedì 7 luglio 2014

I COMUNISTI E LA MADONNA DEL MONTE

Pannello con l'effige della Madonna del Monte 
dipinta dal maestro palermitano Attilio Guccione, 
scoperto nel 1988, in occasione del cinquantenario dell'incoronazione.



Negli Anni Settanta del secolo scorso, in piena guerra fredda, Eugenio Napoleone Messana, insegnante, democristiano della prima ora che si vantava come cattolico praticante di avere nella pancia un tumulo di ostie consacrate, ma convertitosi negli Anni Cinquanta al comunismo per una ripicca locale, in paese scendeva quasi ogni anno per le ferie estive dall’Emilia Romagna, dove si era trasferito, ma se c'erano elezioni veniva di proposito a comiziare nella sua Racalmuto. 

Me lo ricordo. Aveva i baffi. Calvo. Rotondetto. Cappello a larghe tese alla Humphrey Bogart. Sciarpa rossa. Sorridente, ma di un sorriso memore di tante battaglie che aveva combattuto e qualche volta vinto trascinando con sé folle di consensi. Era stato sindaco. La sua presenza, insomma, per i comunisti locali, era una chiamata alle armi. 
Cessata l'eco del guerresco inno dell'Internazionale "bandiera rossa che trionferà...", esordiva nei comizi portando col pugno chiuso “il saluto dei compagni dell’Emilia rossa”, dopodiché, nel bel mezzo del comizio, per alcuni anni si è lasciato andare all’immancabile confessione: 

 “Ogni anno a luglio, quando penso alla Festa del Monte e sono lontano dalla mia Racalmuto mi rivuddri lu sangu di li vini (mi ribolle il sangue nelle vene)", e si premeva significativamente il polso della mano sinistra stringendolo fra il pollice e l’indice della mano destra, tra gli applausi liberatori, naturalmente, del pubblico, rosso.
La Piazzetta, dov'era posizionato il palchetto elettorale, era sempre gremita.

Nel 1978, poco prima di morire, il Messana scriverà la prima versione del testo della Recita in dialetto siciliano La vinuta di la Madonna di lu Munti che, prima dell'introduzione della Contessa e degli altri personaggi femminili avvenuta negli anni successivi, così si concludeva:

VIVA MARIA MATRI E RIGINA
CA A RACARMUTU SI VOSI RISTARI.



Di seguito, si presentano per la prima volta l'Incipit e l'epilogo della recita nella versione originaria dattiloscritta. Non esiste una versione autografa completa in quanto man mano che il Messana andava scrivendo le varie scene le affidava a un ragazzo che le dattilografava per cui alcuni errori di battitura non sono attribuibili all'autore.




domenica 6 luglio 2014

I BORBONI PALADINI DELLA SICILIA?

Il Governo borbonico si schiera in favore dei proprietari delle miniere di zolfo contro la Compagnia Taix et Aycard che aveva pattuito un prezzo e poi non lo aveva rispettato.










Dalle nostre parti.

Non racalmutesi commerciano lo zolfo delle miniere racalmutesi








Link correlato:

http://www.rotaryragusa.it/borboni11.html

venerdì 4 luglio 2014

LA MADONNA DEL MONTE E SANTA ROSALIA A RACALMUTO

Così scrivevo nel 2003 a partire da alcuni indizi linguistici e citando "infantili" versi popolari. 

Senza volere scalfire tuttavia l'importanza della festa attuale pur alludendo ad altre devozioni  più arcaiche. 





Nell’economia della festa esterna che progressivamente si è venuta strutturando, il Dramma ottocentesco di Padre Bonaventura Caruselli, tradotto e rimaneggiato da autori a noi più coevi, apre i festeggiamenti.
 Va fatto notare che la rappresentazione della venuta della Madonna viene indicata col termine “triunfu”, forse conservando memoria di altri “triunfi”.




A tal proposito, una digressione: nella festa esterna della Madonna del Monte sono confluiti versi popolari e frammenti di riti spuri, non bene amalgamati con l’insieme in cui sono inseriti, se è vero che i bambini nelle “piccole processioni” di maggio, andando di casa in casa, continuavano a cantare fino a non molto tempo fa


“Lu canazzu, lu canazzu ci dicìa 
Va maritati, va maritati, Rusalia,
- Sugnu beddra, sugnu beddra maritata,
cu Gesuzzu, cu Gesuzzu sugnu spusata". 

alludendo alle tentazioni del diavolo nei confronti della Santuzza, sennonché l’effigie che portavano in processione non era quella di Santa Rosalia bensì quella della Madonna del Monte.



Forse il Caruselli sentirebbe il bisogno di giustificare “storicamente” anche questa tradizione, ma i racalmutesi, facendone a meno, hanno finito con l’identificare la devozione alla Madonna del Monte con l’attaccamento alla festa così com’è, intrisa di gesti e di leggenda, di piccole e grandi processioni; 
prummisioni,
cilii,
“cubàita”,
“ciciri calliàti”,
“firriòli”,
“di n-capu mari na navi vinìa”;


e ancora:
arrampicate equestri,
scalinate votive,
cortei in costumi d’epoca,
offerte,
contenziosi,
duelli:
dicono tutto ciò semplicemente “Festa del Monte”.

Se qualche vescovo ha voluto proibire l’ingresso dei cavalli in chiesa e i sacerdoti, pur con benevolenza, si lamentano di alcuni aspetti pagani, i racalmutesi dicono e fanno come i contadini della Gheldria (Olanda):

”Il curato ha il dovere di sconsigliarci la kermesse, però il dovere nostro è di andarci”.





da LA MADONNA DEL MONTE NEI RIFERIMENTI TESTUALI. Testi di vario genere sulla Madonna del Monte di Racalmuto e di alcuni caratteri di essi, 2003. 



Nelle foto: Edicola di Santa Rosalia in Piazza e Prummisioni con la devozionale Acchianata del signor Biagio Sintino.


Link correlato:
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/07/la-madonna-del-monte-attende-gli-atti.html
                                                                                  

mercoledì 2 luglio 2014

UNA BREVE TESTIMONIANZA PER DANILO DOLCI

Ho invitato Maria Lipari a fornirmi un testo scritto relativo alla sua testimonianza che ha  suscitato un momento di commozione nella sala gremita. Memore di garibaldine iniziative ed epiche battaglie sociali, rigorosamente non violente. Anche la commozione dopo tanto tempo può risultare  sigillo di autenticità di una esperienza vissuta accanto ad una grande figura carismatica come è stata quella di Danilo Dolci. 





..E CI ABBRACCIAMMO
di 
Maria Lipari


La sera del 27 giugno raggiunsi il Cinema De Seta per vedere il documentario IL DIO DELLE ZECCHE. 

Avevo un appuntamento con la mia storia, con i lunghi anni di esperienza con Danilo, al Borgo di Dio, dove organizzavo e partecipavo ai Seminari di studio e ai Convegni, in qualità di responsabile ARCI nel settore Cultura e Scuola. 

Avevo un appuntamento con Sereno, che avevo conosciuto neonato, negli anni ottanta. Entrambi sentivamo il bisogno di ritrovarci, anche con le sue bimbe! Al mio arrivo la sala era ancora vuota e così ci incontrammo tranquillamente, non senza commozione! Via via il pubblico prendeva posto e, dopo la presentazione dei registi, si diede inizio alla proiezione. 


Il film fu per me una rivelazione, e non solo per la qualità, ma per aver saputo della nascita di En, l'ultimo figlio di Danilo. 
Proprio En aveva fortemente voluto ricostruire la sua storia e cercare conferme alla sua identità, ritornando a Trappeto, da Stoccolma. 

Attraverso i ricordi e le testimonianze degli abitanti e degli amici di Danilo. 
Subito dopo la proiezione si prevedevano gli interventi. Io non ero subito pronta, un nodo alla gola mi impediva di alzarmi e parlare. Alla fine lentamente raggiunsi il palco e, dopo una breve testimonianza, mi avvicinai ad En, visibilmente emozionato, e ci abbracciammo. 
Non sapevo di avere anche un appuntamento con En! 

"Noi camminiamo ogni giorno verso luoghi e persone che ci aspettano da tempo"




Le foto sono prelevate del gruppo fb Il Dio delle zecche

martedì 1 luglio 2014

IL "PURGATORIO" DI AMBROISE

Voglio ricordare il critico per eccellenza di Leonardo Sciascia, Claude Ambroise, recentemente scomparso, con le sue stesse parole.

"Non c'è fantasia umana più commovente e convincente (si rilegga Dante) del Purgatorio nel farci sentire vicini i nostri morti, quasi venisse cancellata la barriera della morte."




Grenoble, 22 marzo 1990

Come un'ultima sigaretta
bruciarono le foglie secche;
come un amico si spense l’autunno.

Perpetua stagione di morte: e mi ritrovo
vivo, gremito di parole (...)
vivo come non mai, presso i miei morti.

Recito con cadenza di Leonardo la parte del vivo e ricongiungo lui alla
catena dei suoi morti a Racalmuto. Guardo l’icona: testa dello scrittore con
il suo paese. Quel segno che in natura non esiste e cioè la linea, ebbe a
scrivere Sciascia a proposito di Nicolo D'Alessandro. La purezza del dise-
gno, i tratti che delineano e alleggeriscono le case di Racalmuto nella loro
compattezza, diventano lineamenti di chi scrisse Le Parrocchie di Regalpe-
tra, donando agli zolfatari e ai salinari, ai contadini, ai ragazzi, - e anche
ai galantuomini e ai preti - di un paese siciliano, un libro che fosse il loro
libro. L'incisione, restituendoci i tratti di un amico lo restituisce giustamente
al suo paese nella fedeltà ad una battuta: un giorno che gli si chiedeva quale
differenza ci sarebbe stata per lui se non fosse mai uscito da Racalmuto e
se non fosse diventato qualcuno, Sciascia rispose che sempre sarebbe stato
qualcuno poiché a Racalmuto la gente lo conosceva e tutti l’avrebbero
sempre riconosciuto, come avviene in paese dove non sei uno, ma qualcuno
sempre.

Agli uomini di tenace concetto che ci sono a Racalmuto è dedicato
Morte dell'inquisitore dove rivive Fra Diego La Matina. Costante in Sciascia
l’orrore per ogni forma d'inquisizione (anche quella che riguarda gli
momenti di una vita). Goticamente, come l'incubo, ai margini del a cam-
gna, tornano gli inquisitori di Domenico Faro. Dalla sua contrada è assente
Fra Diego. In qualche chiazza di nero più dense distinguo la sua grotta. Il
personaggio storico ormai sta in Morte dell'inquisitore che colma il suo vuoto
lasciato dal libro bruciato dell'eretico e per cui, pur di ritrovarlo, il suo biografo si sarebbe volentieri dato al diavolo. Tant'è che chi scrive  di un eretico diventa o è già eretico lui stesso.




Nel darci a contemplare la terra di Fra Diego che è anche la terra di
Leonardo Sciascia, l’arte di Domenico Faro rivela una sua affinità con quella
dell'autore delle Parrocchie: non più il rapporto contingente con una terra
quale preciso punto del nostro pianeta quasi al centro della Sicilia, ma una
relazione privilegiata con la terra intesa come elemento dell’antica fisica e
percepita nella sua sognante e pregnante materialità. II fascino della materia
terra in Leonardo Sciascia e in Domenico Faro. E qui viene da pensare
insieme a L'antimonio e a La zolfara abbandonata. Ma qualcosa mi colpisce
in Faro: la terra di Fra Diego è anch'essa una terra abbandonata dagli
uomini (e ci fanno ritorno non uomini). Di lì la singolare espressione di quel
senso di morte che si prova in un luogo nel momento in cui un uomo l’ha
appena lasciato. II momento si dilata, dura il tempo del lutto dei vivi; per
qualcuno un'intera vita.

Non c'è fantasia umana più commovente e convincente (si rilegga
Dante) del purgatorio nel farci sentire vicini i nostri morti, quasi venisse
cancellata la barriera della morte. Sul culto delle anime del purgatorio
radicato nella coscienza popolare, Sciascia è tornato a varie riprese; tra gli
ultimi testi in Porte aperte dove, ai margini di una silografia popolare, evoca
la confusione tra anime dei corpi decollati e anime del purgatorio. Nei
cultori di letteratura, probabilmente si è trasferito qualcosa del culto delle
anime dei defunti, quasi fossero necessari commemorazioni e convegni alla
Salvezza accademica e editoriale degli scrittori. Giansenisticamente i francesi
condannano al purgatoire tutti i grandi scrittori subito dopo la morte.
Il Purgatorio che a loro spetta è un periodo di tempo non breve di disinteresse,
di (provvisoria) dimenticanza. E dice Pascal: Tra Ie pene del purgatorio
quella più grande è l'incertezza del giudizio. Egli, s'intende, parla del
purgatorio vero, ma a maggior ragione varrà la sua opinione per il purgatorio
dei letterati.                                                        

A meno che non si debba pensare come Candido Munafò:
… che la morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per
l'esserci ancora e in balia dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di
coloro che restano...
Chi si trova tra i vivi che hanno conosciuto Leonardo Sciascia non
 rileggerà  senza sgomento l'intera pagina di Candido.

                                                                                              Claude  Ambroise






A Racalmuto in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria (1990)


Foto proprie.

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