Voglio ricordare il critico per eccellenza di Leonardo Sciascia, Claude Ambroise, recentemente scomparso, con le sue stesse parole.
"Non c'è fantasia umana più commovente e convincente (si rilegga Dante) del Purgatorio nel farci sentire vicini i nostri morti, quasi venisse cancellata la barriera della morte."
Grenoble, 22 marzo 1990
Come un'ultima sigaretta
bruciarono le foglie secche;
come un amico si spense l’autunno.
Perpetua stagione di
morte: e mi ritrovo
vivo, gremito di parole
(...)
vivo come non mai,
presso i miei morti.
Recito
con cadenza di Leonardo la parte del vivo e ricongiungo lui alla
catena
dei suoi morti a Racalmuto. Guardo l’icona: testa dello scrittore con
il
suo paese. Quel segno che in natura non
esiste e cioè la linea, ebbe a
scrivere
Sciascia a proposito di Nicolo D'Alessandro. La purezza del dise-
gno,
i tratti che delineano e alleggeriscono le case di Racalmuto nella loro
compattezza,
diventano lineamenti di chi scrisse Le
Parrocchie di Regalpe-
tra, donando agli zolfatari e ai
salinari, ai contadini, ai ragazzi, - e anche
ai
galantuomini e ai preti - di un paese siciliano, un libro che fosse il loro
libro.
L'incisione, restituendoci i tratti di un amico lo restituisce giustamente
al
suo paese nella fedeltà ad una battuta: un giorno che gli si chiedeva quale
differenza
ci sarebbe stata per lui se non fosse mai uscito da Racalmuto e
se
non fosse diventato qualcuno, Sciascia rispose che sempre sarebbe stato
qualcuno
poiché a Racalmuto la gente lo conosceva e tutti l’avrebbero
sempre
riconosciuto, come avviene in paese dove non sei uno, ma qualcuno
sempre.
Agli
uomini di tenace concetto che ci sono
a Racalmuto è dedicato
Morte dell'inquisitore dove rivive Fra
Diego La Matina. Costante in Sciascia
l’orrore
per ogni forma d'inquisizione (anche quella che riguarda gli
momenti
di una vita). Goticamente, come l'incubo, ai margini del a cam-
gna,
tornano gli inquisitori di Domenico Faro. Dalla sua contrada è assente
Fra
Diego. In qualche chiazza di nero più dense distinguo la sua grotta. Il
personaggio
storico ormai sta in Morte dell'inquisitore che colma il suo vuoto
lasciato
dal libro bruciato dell'eretico e per cui, pur di ritrovarlo, il suo biografo
si sarebbe volentieri dato al diavolo. Tant'è che chi scrive di un eretico diventa o è già eretico lui
stesso.
Nel
darci a contemplare la terra di Fra Diego che è anche la terra di
Leonardo
Sciascia, l’arte di Domenico Faro rivela una sua affinità con quella
dell'autore
delle Parrocchie: non più il rapporto
contingente con una terra
quale
preciso punto del nostro pianeta quasi al centro della Sicilia, ma una
relazione
privilegiata con la terra intesa come elemento dell’antica fisica e
percepita
nella sua sognante e pregnante materialità. II fascino della materia
terra
in Leonardo Sciascia e in Domenico Faro. E qui viene da pensare
insieme
a L'antimonio e a La zolfara abbandonata. Ma qualcosa mi colpisce
in
Faro: la terra di Fra Diego è anch'essa una terra abbandonata dagli
uomini
(e ci fanno ritorno non uomini). Di lì la singolare espressione di quel
senso
di morte che si prova in un luogo nel momento in cui un uomo l’ha
appena
lasciato. II momento si dilata, dura il tempo del lutto dei vivi; per
qualcuno
un'intera vita.
Non
c'è fantasia umana più commovente e convincente (si rilegga
Dante)
del purgatorio nel farci sentire vicini i nostri morti, quasi venisse
cancellata
la barriera della morte. Sul culto delle anime del purgatorio
radicato
nella coscienza popolare, Sciascia è tornato a varie riprese; tra gli
ultimi
testi in Porte aperte dove, ai
margini di una silografia popolare, evoca
la
confusione tra anime dei corpi decollati e anime del purgatorio. Nei
cultori
di letteratura, probabilmente si è trasferito qualcosa del culto delle
anime
dei defunti, quasi fossero necessari commemorazioni e convegni alla
Salvezza
accademica e editoriale degli scrittori. Giansenisticamente i francesi
condannano
al purgatoire tutti i grandi
scrittori subito dopo la morte.
Il
Purgatorio che a loro spetta è un periodo di tempo non breve di disinteresse,
di
(provvisoria) dimenticanza. E dice Pascal: Tra
Ie pene del purgatorio
quella più grande è l'incertezza del
giudizio. Egli, s'intende, parla del
purgatorio
vero, ma a maggior ragione varrà la sua opinione per il purgatorio
dei
letterati.
A
meno che non si debba pensare come Candido Munafò:
… che la morte è terribile non per il non
esserci più ma, al contrario, per
l'esserci ancora e in balia dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di
coloro che restano...
Chi
si trova tra i vivi che hanno conosciuto Leonardo Sciascia non
Claude
Ambroise
A Racalmuto in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria (1990) |
Foto proprie.
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