martedì 1 luglio 2014

IL "PURGATORIO" DI AMBROISE

Voglio ricordare il critico per eccellenza di Leonardo Sciascia, Claude Ambroise, recentemente scomparso, con le sue stesse parole.

"Non c'è fantasia umana più commovente e convincente (si rilegga Dante) del Purgatorio nel farci sentire vicini i nostri morti, quasi venisse cancellata la barriera della morte."




Grenoble, 22 marzo 1990

Come un'ultima sigaretta
bruciarono le foglie secche;
come un amico si spense l’autunno.

Perpetua stagione di morte: e mi ritrovo
vivo, gremito di parole (...)
vivo come non mai, presso i miei morti.

Recito con cadenza di Leonardo la parte del vivo e ricongiungo lui alla
catena dei suoi morti a Racalmuto. Guardo l’icona: testa dello scrittore con
il suo paese. Quel segno che in natura non esiste e cioè la linea, ebbe a
scrivere Sciascia a proposito di Nicolo D'Alessandro. La purezza del dise-
gno, i tratti che delineano e alleggeriscono le case di Racalmuto nella loro
compattezza, diventano lineamenti di chi scrisse Le Parrocchie di Regalpe-
tra, donando agli zolfatari e ai salinari, ai contadini, ai ragazzi, - e anche
ai galantuomini e ai preti - di un paese siciliano, un libro che fosse il loro
libro. L'incisione, restituendoci i tratti di un amico lo restituisce giustamente
al suo paese nella fedeltà ad una battuta: un giorno che gli si chiedeva quale
differenza ci sarebbe stata per lui se non fosse mai uscito da Racalmuto e
se non fosse diventato qualcuno, Sciascia rispose che sempre sarebbe stato
qualcuno poiché a Racalmuto la gente lo conosceva e tutti l’avrebbero
sempre riconosciuto, come avviene in paese dove non sei uno, ma qualcuno
sempre.

Agli uomini di tenace concetto che ci sono a Racalmuto è dedicato
Morte dell'inquisitore dove rivive Fra Diego La Matina. Costante in Sciascia
l’orrore per ogni forma d'inquisizione (anche quella che riguarda gli
momenti di una vita). Goticamente, come l'incubo, ai margini del a cam-
gna, tornano gli inquisitori di Domenico Faro. Dalla sua contrada è assente
Fra Diego. In qualche chiazza di nero più dense distinguo la sua grotta. Il
personaggio storico ormai sta in Morte dell'inquisitore che colma il suo vuoto
lasciato dal libro bruciato dell'eretico e per cui, pur di ritrovarlo, il suo biografo si sarebbe volentieri dato al diavolo. Tant'è che chi scrive  di un eretico diventa o è già eretico lui stesso.




Nel darci a contemplare la terra di Fra Diego che è anche la terra di
Leonardo Sciascia, l’arte di Domenico Faro rivela una sua affinità con quella
dell'autore delle Parrocchie: non più il rapporto contingente con una terra
quale preciso punto del nostro pianeta quasi al centro della Sicilia, ma una
relazione privilegiata con la terra intesa come elemento dell’antica fisica e
percepita nella sua sognante e pregnante materialità. II fascino della materia
terra in Leonardo Sciascia e in Domenico Faro. E qui viene da pensare
insieme a L'antimonio e a La zolfara abbandonata. Ma qualcosa mi colpisce
in Faro: la terra di Fra Diego è anch'essa una terra abbandonata dagli
uomini (e ci fanno ritorno non uomini). Di lì la singolare espressione di quel
senso di morte che si prova in un luogo nel momento in cui un uomo l’ha
appena lasciato. II momento si dilata, dura il tempo del lutto dei vivi; per
qualcuno un'intera vita.

Non c'è fantasia umana più commovente e convincente (si rilegga
Dante) del purgatorio nel farci sentire vicini i nostri morti, quasi venisse
cancellata la barriera della morte. Sul culto delle anime del purgatorio
radicato nella coscienza popolare, Sciascia è tornato a varie riprese; tra gli
ultimi testi in Porte aperte dove, ai margini di una silografia popolare, evoca
la confusione tra anime dei corpi decollati e anime del purgatorio. Nei
cultori di letteratura, probabilmente si è trasferito qualcosa del culto delle
anime dei defunti, quasi fossero necessari commemorazioni e convegni alla
Salvezza accademica e editoriale degli scrittori. Giansenisticamente i francesi
condannano al purgatoire tutti i grandi scrittori subito dopo la morte.
Il Purgatorio che a loro spetta è un periodo di tempo non breve di disinteresse,
di (provvisoria) dimenticanza. E dice Pascal: Tra Ie pene del purgatorio
quella più grande è l'incertezza del giudizio. Egli, s'intende, parla del
purgatorio vero, ma a maggior ragione varrà la sua opinione per il purgatorio
dei letterati.                                                        

A meno che non si debba pensare come Candido Munafò:
… che la morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per
l'esserci ancora e in balia dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di
coloro che restano...
Chi si trova tra i vivi che hanno conosciuto Leonardo Sciascia non
 rileggerà  senza sgomento l'intera pagina di Candido.

                                                                                              Claude  Ambroise






A Racalmuto in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria (1990)


Foto proprie.

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