O si pò o nun si pò,
lu cappiddruzzu pi san Calò;
lu cappiddruzzu ca vinninu* a tutti,
a lu me figliu lu miegliu di tutti
Si può fare o meno,
(si deve comprare)
il cappellino per la festa di San Calogero:
il cappellino che vendono a tutti,
a mio figlio (comprerò) il migliore.
dal minuto 6:02 al minuto 6:27
Se non troppo piccoli avrebbero compreso che si faceva loro una promessa: l'acquisto di un cappellino per la festa di San Calogero: i versi di Calamonaci probabilmente facevano riferimento ai festeggiamenti del san Calogero della vicina Sciacca ma certi costumi erano comuni anche a prescindere dal santo o dalla località.
Il cappellino, dunque, solitamente era una paglietta che veniva usata per ripararsi dal sole nei cocenti mesi estivi quando i ragazzi venivano impiegati per incombenze lavorative in paese o in campagna spesso faticose e ingrate.
Ma per la festa di San Calogero i pellegrini che dai diversi paesi limitrofi facevano il devozionale "viaggio" a piedi, con i muli o con i carretti, si acquistavano anche statuine del Santo nero, piccoli fiaschi detti nzira e bummuliddri, giocattoli artigianali e magari dolci o addirittura utensili e strumenti di lavoro nelle varie bancarelle dell'apposita fiera.
Altro che addormentarsi con la ninna nanna! Quei pochissimi versi, dilatati come eco dalla voce e dalle sonorità dei fratelli Macuso, son capaci di tirarsi dietro gallerie di ricordi, dai meno ai più recenti, fino ad arrivare a prosastici confronti.
Col tempo i muli e i carretti sono stati sostituiti dalle macchine a noleggio o proprie, facendo diradare la pratica del devozionale "viaggio" a piedi; agli antichi prodotti artigianali delle bancarelle si sono aggiunti quelli moderni e modernissimi, ma nella struttura fondamentale, che storici francesi hanno identificato con "lunga durata", quella del 18 giugno nel panorama delle feste agrigentine resta sempre la festa di San Calò. O si pò o nun si pò...
*
Nel testo cantato mi pare venga utilizzato il verbo "appenniri" nella frase "lu cappiddruzzu c'appenninu a tutti" nel senso, credo, di "far provare", "indossare", "calzare".
Ho preferito il verbo che fa riferimento all'acquisto e quindi al possesso piuttosto che all'estetica perché più logicamente conseguente alla preliminare condizione economicistica: "o si po o nun si po". Sa di sfida: nell'aleatorietà dei mezzi aspirare al meglio, per rabbia o convinzione.
Ph ©pierocarbone
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