ZÀCCANU
di
Nino Russo
Sono contento di poter esaudire la richiesta di ( per me) Totò Nangano, mio amico, mio medico e mio cugino per non lontana ascendenza paterna.
Caro Totò, ZÀCCANU ( pronunziato con la Z sorda, come fosse scritto TSÀCCANU ) è la variante siciliana dell’antico vocabolo italiano ZÀCCARO ( anch’esso pronunziato con la Z sorda ), la cui versione moderna è il femminile ZÀCCHERA ( pure qui la Z è sorda, TS! ). Da ZÀCCHERA, il verbo “inzaccherare” - “inzaccherarsi”
L’etimologia del termine rimanda al longobardo ZAHHAR, il cui significato-base era LACRIMA ed anche schizzo di fango finito addosso agli abiti e alle scarpe, e successivamente un luogo dove c’era mota, fango liquido per presenza di molta acqua. Venne da ultimo chiamato ZÀCCANU il luogo melmoso dove si radunavano le pecore prima della mungitura, e pure l’insieme di grumi di fango e sterco che restavano attaccati al loro vello.
A Maredolce |
ZÀCCANU era altresì un corso d’acqua non limpido per presenza di fanghiglia. ZÀCCANU era quello che in italiano si chiama “pozzanghera”. ZÀCCANU era ancora quello che tua madre diceva che avevi fatto sul pavimento di casa, quando in inverno - adolescente sventato - entravi senza esserti nettate le suole impantanate delle scarpe. “ Bravo! Facisti ‘u bellu zaccanu! Quannu trasi rintra, t’ha stuiari i pìari!” Ti l’è rittu cchiossà ri na vùata!....” .
Quanto ai corsi d’acqua di cui parli, la cui scaturigine erano le sorgive ed il laghetto sotto la chiesa di San Ciro, sulla balza di monte Grifone - io appartengo all’ultima generazione di brancaccioti che si è dissetata in quelle acque fredde e cristalline e che ha fatto il bagno in quel lago; tua madre vi ha lavato la lana dei materassi quando è andata sposa, come mia madre e le mie zie - ricordi perfettamente la loro topografia.
Monte Grifone visto dal Castello di Maredolce |
Il più imponente di quei corsi - della portata di 14 zappe! - era capace di portarsi via una lavandaia mingherlina che vi fosse caduta dentro. Attraversava “SUPRA U CIUMI” tutta la via Conte Federico a partire dalla piazza dei Signori, dove c’era una grande vasca circolare dalla quale si diramavano le condotte che portavano l’acqua fino agli orti di Torrelunga e Romagnolo. Il corso raggiungeva in tempi lontani da noi il ponte dell’Ammiraglio, mettendo in moto la quindicina di mulini che scandivano il suo percorso lungo tutta la via Brancaccio.
In quello sopravvissuto in via San Ciro, dietro la statua di San Gaetano ed il busto di Puglisi, veniva macinato salgemma delle Madonie. Quand'ero ragazzino, ricordo che lo vendeva insieme ad altre merci una seconda cugina di mio padre, "' 'a za Carmela 'a Salara". La ricordo con affetto.
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