1
Non più personaggi tra personaggi di carta, dunque, in una acquiescente carrellata letteraria, ma persone ritornate miracolosamente in vita ad animare i luoghi che erano stati teatro a volte festoso a volte doloroso della loro vicenda umana.
Era accaduto alcuni giorni fa con i figli del bambino baciato da Mussolini alla stazione di cui si racconta nel libro, ora è Eduardo Chiarelli che dice "era mio padre il ragazzo che guidava il padre cieco per riportarlo a casa".
Il ricordo, il ricordare, non è mero esercizio sentimentale ma si rivela venato di nuove consapevolezze e di inaspettate malinconie, e tuttavia per non essere banalizzate o strumentalizzate da allotrie considerazioni, Eduardo le ha fatte precedere da alcune precisazioni epistolari (quello che scrive è così traboccante di sentimento e di voglia di integrare la verità letteraria con la verità storica molto prossima a quella familiare da far diventare documento anche l'ortografia utilizzata da un racalmutese emigrato in Portogallo che, con il dialetto nel cuore, parla e scrive correntemente il portoghese):
1. Ciao Piero, sono arrivati finalmente dall'America i documenti che stavo aspettando . Inutile dire che nonostante le loro condizioni non siano le migliori, ho appreso con grande emozione molte altre cose che non sapevo su mio Nonno , cosí, insieme a quello che io avendolo conosciuto ricordavo, ai racconti di mia Nonna ancora viva (abita in via regina Elena di fronte alla villa delle palme di cui l'altro giorno hai parlato ) e alle testimonianze di mio Padre e dei miei zii, "M'urdivu quattru palori", quando vuoi ti mando il tutto per dargli un'occhiata. Un abbraccio e buona giornata. Eduardo.
2. Sono contento ti sia piaciuto. Leggendo uno dei fogli potrai constatare, che lui in guerra non avrebbe dovuto andarci, perché aveva giá tre fratelli al fronte, due in Spagna, ad aiutare Franco, ed un altro in Abissinia. Quando puoi vai a vedere su google, la storia della 27divisione fanteria Brescia e del suo annientamento. Infatti essendo uno dei pochissimi superstiti fú aggregato al 20 fanteria.
3. Il mio proposito non é stato quello di farne un eroe o un martire , perché non é stato di certo l'unico ad aver sofferto a quei tempi , ma é pur vero che non possiamo banalizzare il dolore solo perché si é in tanti a sentirlo.
4. Nel caso volessi pubblicarlo, ti prego soltanto di ribadire, al fine di evitare inutili malintesi, che non si tratta di una critica né di un rimprovero nei confronti di Sciascia; per il resto puoi pubblicare anche i documenti, per confermare la veridicitá di quanto ho scritto. Eduardo
3
"A LORO NON PESA"
di
Eduardo Chiarelli.
A mio Nonno
di
Eduardo Chiarelli.
A mio Nonno
"A loro non pesa
l'aver fatto di guardia al padre per le taverne, il padre che vomita vino e
osceni pensieri.
C´é un ragazzo che
questo servizio lo fá anzi ogni sera, il padre é pensionato per infortunio,
dopo l´ave Maria comincia il giro delle taverne.
Crede
nell´istruzione il padre. Nell´istruzione e nel vino.
Dice - per me ormai
é finita, io della mia vita ormai non ho che il bicchiere, é per il tuo bene
che ti trascino a scuola, almeno ti pigli un pezzo di carta e vai a fare il
carabiniere."
Questo é uno spezzone
tratto dalle “Cronache scolastiche” scritte dal mio Illustre concittadino
Leonardo Sciascia, nel periodo in cui insegnó presso la scuola elementare del
nostro paese.
Di questo esempio e
di altri ancora si é servito lo scrittore, per descrivere la dura e cruda
realtá Siciliana, che in quegl´anni che seguirono la guerra, invece di tingersi
di speranza come accadeva altrove, continuava piú nera della pece.
Una scena
innegabilmente teatrale, anzi cinematografica visto che il noto regista Giuseppe
Tornatore, facendola diventare addirittura ilarante, l´há inserita in un suo
famoso film.
Si dá il caso, che
il bambino era mio Padre e il cieco mio Nonno.
La livella come la
chiama Totó, há finito ormai per mettere il grande Scrittore e l´analfabeta
sullo stesso piano, e a loro, poco importa ormai quello che sono stati in vita,
ma visto che la cosa mi riguarda, ho sentito il dovere di scrivere, come só e
come posso, non una critica e nemmeno un rimprovero, ma appena quello che
vuol´essere un piccolo tributo a mio Nonno Eduardo, di cui porto il nome.
Impresa non facile e
delicata, perché per poter scrivere su qualcuno ci si dovrebbe mettere le sue scarpe
( quando ce le ha) e percorrere la sua stessa strada, cosa che in parte ho
fatto quando ero bambino, avendogli fatto anch´io da guida.
La 27 Divisione di
Fanteria Brescia era stata decimata, e lui unico sopravvissuto di un´intera
compagnia di Fucilieri d´assalto aveva insieme ad altri sventurati vagato per
giorni nel deserto, per tentar raggiungere la frontiera Tunisina e sfuggire
cosí all´esercito del Generale Montgomery.
Scalzo, affamato,
logorato dalla stanchezza e dalla dissenteria, era stato costretto a bere l´acqua dei radiatori dei carri armati che
incontrava abbandonati lungo il cammino.
Há! Se avesse
saputo, mille volte meglio se si fosse arreso agl´Inglesi , questi gli
avrebbero garantito come prigioniero di guerra, se non tutti, almeno una parte
dei diritti sanciti dalla convenzione di Ginevra.
Per non parlare poi
dei campi di prigionia Americani, dove si diceva, che i prigionieri Italiani
erano trattati cosí bene, da suscitare le invidie dei propri soldati Americani di
colore.
Invece sopraggiunto l´8 Settembre, rifiutandosi di combattere al fianco dei
Tedeschi , fino al giorno prima loro
alleati, divenne insieme ad altri commilitoni, loro nemico, anzi peggio.
Considerati infidi e traditori furono
declassati da prigionieri di guerra a “ Internati militari” categoria questa,
inventata dal proprio Hitler affinché i prigionieri Italiani non godessero di
nessun diritto, al punto che nemmeno la croce rossa internazionale , poteva
proteggerli. I Tedeschi dunque potevano farne quel che volevano.
Di l´Africa si vidi
la Sicilia , cantava quando era ancora a Tripoli, forse con la vana speranza
che la giovane sposa “mia Nonna” dall´altra sponda lo udisse.
Dal campo di
Prigionia tedesco invece, non cantava piú, Berlino era troppo lontana dal paese. Pativa la fame, e con appena la divisa coloniale addosso anche il freddo.
Mia Nonna non ricevendo
sue notizie, non sapeva se era vivo o morto, cosí era ritornata dalla Mamma, e
aveva tinto com foglie di Sorbo i suoi vestiti piú chiari.
Ma era vivo, e il
desiderio di riabbracciare la moglie, e di comprare la Moto Guzzi quando fosse ritornato a casa lo mantenevano
in vita.
Finalmente la guerra
finí e un bel giorno i Russi, dopo averlo liberato lo lasciarono partire. Era
stato prigioniero dal 13 Settembre 1943, al 25 Maggio 1945. Quasi tre mesi duró
l´Odissea per raggiungere il paese , facendo la maggior parte del percorso a
piedi e di notte , perché nonostante la guerra fosse ormai terminata, era
pericoloso andare in giro con la divisa del Regio Esercito e senza documenti. Si
rischiava d´esser messi al muro, magari da antifascisti che fino a qualche giorno
prima avevano indossato la camicia nera.
Raccontava aver
pagato il pescatore che gli aveva fatto attraversare lo stretto di Messina, con mezza dozzina di patate, raccolte in un
campo qualche giorno prima e che non aveva mangiato nonostante la gran fame,
perché sapeva ne avrebbe avuto bisogno , quando sarebbe giunto a Reggio
Calabria.
Arrivó in paese che era ancora giorno, ma aspettó che
calasse la notte per uscire allo scoperto e attraversare le poche vie che lo
separavano dalla sua casa. Piangeva per l´emozione e per la vergogna d´esser
quasi nudo, perché poco o nulla rimaneva ormai della divisa, batté alla porta ma
non c´era nessuno, capí e andó in casa della suocera. Non gli aprirono subito
perché non lo riconobbero, e come avrebbero potuto , sporco e lacero com´era,
magrissimo e con la barba lunga.
Ancora oggi mia
Nonna racconta cosí: aveva appena vent´ottanni, ma pariva lu viecchiu di la
pesti!
E cosi dopo molto,
troppo tempo, dormí in un letto, con sua moglie.
I giorni che si
seguirono li passó pensando, se quegli stracci grigio verde che tra fronte e
prigionia si era tenuto addosso per sette lunghi anni, gli davano diritto ad un
risarcimento, qualcosa che lo aiutasse a ricominciare una nuova vita, perché
tutto quello che avevano dentro la piccola casa presa in affitto, erano appena:
il lettone, un tavolo con quattro sedie dù lanceddri e un vacili.
Si recó cosí al Distretto
Militare di Agrigento chiese di parlare con qualcuno, e fú ricevuto da un
Ufficiale che aveva combattuto in Albânia, questi dopo aver pazientemente
ascoltato la sua storia e rimanendo impressionato per via delle quattro campagne
di guerra a cui aveva partecipato, guardandolo paternamente gli disse di
ringraziare Dio e i Santi d´esser ritornato vivo e intero, e di pensare a tutti
quelli che non ce l´avevano fatta, alle decine di migliaia che non erano
ritornati dalla Rússia, e a quelli di Cefalonia, passati per le armi dai
tedeschi, perché come lui, dopo l´armistizio non avevano piú voluto combattere.
Le parole dell´anziano ufficiale, in parte lo delusero, perché vide che la
Patria per cui tanto aveva sofferto, non riconosceva il suo sacrificio, ma al
contempo gli fece ammettere che in fondo era stato fortunato.
Al ritorno, sul
treno incontró dei compaesani, reduci di guerra e disoccupati pure loro, erano
andati in cittá per raccogliere mozziconi di sigarette da terra, per farne
trinciato e ricavarne qualche “Am lira”, questo lo impressionó.
Lui un mestiere ce
l´aveva, con appena sei anni, invece di mandarlo a scuola, gli avevano dato un
martello per rompere pietre di sale. Sarebbe andato in miniera perché era un “
Pirriaturi” come suo Padre , e suo Nonno.
E lavorando in
miniera passarono cinque anni, in quel período erano nati due figli tra cui mio
Padre ed un terzo era in arrivo. Ma “la pirrera” non offriva nessun futuro né a
lui né alla sua famiglia, per cui aveva cominciato a sbrigare le carte per
raggiungere il fratello Alfonso in Canada.
Era il 6 Settembre
del 1950, e come ogni giorno si trovava a lavorare giú in miniera alla fioca luce di una lampada ad acetilene, era
stanco, e per di piú non si era sentito bene in quegl´ultimi giorni, ma ció non
aveva importanza, se voleva portare a casa un pezzo di pane, quel giorno doveva
caricare con esplosivo tutti i buchi che si era preso a cottimo.
Lavorava
velocemente , metteva l´esplosivo nel buco , calcava con un palo di legno poi
metteva un tappo, e comprimeva con il palo di ferro, l´ordine era sempre quella,
prima quello di legno e poi quello di ferro, non poteva e non doveva sbagliare.
Ma era stanco, la
luce troppo debole, il capomastro gli faceva fretta, e il sudore che gli scorreva
dalla fronte impastandosi con la polvere di sale gli bruciava gli occhi, ma
doveva continuare, sennó ne lui né la sua famiglia avrebbero mangiato quella
sera.
Con la fretta, invece
di afferrare il palo di legno per comprimere l´esplosivo, prese quello di
ferro, e questi battendo direttamente sulla polvere nera la fece scoppiare.
L´esplosione lo
colpí al petto e al viso, e fú quella fiammata, l´ultima cosa che i suoi occhi
videro prima di spegnersi per sempre.
Destino crudele il
suo, che aveva affrontato quasi a mani nude i mezzi corazzati inglesi a Tobruk a El Alamein e a Fuka, era
sopravvissuto alle cannonate , e alla dura prigionia in Germania, ma aveva
finito per perdere quello che é forse il bene piú prezioso, in tempo di pace, e
a pochi passi da casa.
Non avrebbe mai
visto né il figlio che sarebbe nato due mesi dopo , e neppure gli altri che sarebbero nati negl´anni a seguire, non
avrebbe mai piú visto niente e nessuno.
Addio Canada e Addio moto, la” pruvulata”gli aveva tolto
tutto, e lui questo non lo avrebbe mai accettato.
L´esplosione non gli
fece perdere i sensi, e il dolore provocato dalle ustioni e dalle schegge di
sale conficcate nella carne, lo sentí tutto.
I medici
dell´ospedale locale si limitarono a fasciargli il viso senza neppure
pulirglielo, e ad imbottirlo di morfina.
Molti anni dopo, un
oculista, dopo un´accurata visita gli disse che se avessero voluto un occhio almeno
gli e lo avrebbero potuto salvare .
Le persone piú
anziane ancora oggi raccontano che la notizia si sparse in un baleno e tutto il
paese si precipitó all´ospedale, per
verificare che non ci fosse un familiare coinvolto nell´incidente, perché allora
non c´era famiglia che non avesse
qualcuno che non lavorasse in miniera.
Accorse anche mia
Nonna, piccola disperata e incinta di sette mesi di mio zio Carmelo.
Ma come succede
spesso: alla tragedia si aggiunse anche la beffa, mio Nonno non aveva diritto a
nulla, perché in quella maledetta miniera, era come se non ci fosse mai stato.
Fú solo dopo una
lunga battaglia giuridica che riusci ad avere una piccola pensione d´invaliditá
, nel frattempo lui e la sua famiglia avevano vissuto esclusivamente grazie all´aiuto
di genitori e suoceri .
Mi piacerebbe
concludere che con il tempo, circondato dalla sposa e da sei Figli che
sarebbero stati i suoi occhi si fosse si fosse rassegnato, purtroppo non fú
cosí, fino alla sua morte avvenuta nel 1979, fú una persona non facile e
tormentata .
La nascita di un figlio o di un nipote che sono motivo di felicitá e di allegria nelle famiglie, a lui lo facevano bestemmiare e stramaledire la sorte, perché non poteva vederli.
La nascita di un figlio o di un nipote che sono motivo di felicitá e di allegria nelle famiglie, a lui lo facevano bestemmiare e stramaledire la sorte, perché non poteva vederli.
Ma era capace anche
di gesti, come quello che ancora oggi mi piace raccontare ai miei figli, ed é
cosí che voglio ricordarlo.
Il giorno in cui mio Padre fece conoscere la
fidanzata ai suoi genitori, mio Nonno, dopo
aver chiesto il consenso al futuro consuocero, sfioró delicatamente con la
punta delle dita il viso della mia Mamma,
e sorridendo disse: É bella!
P. S. Quando mio
Padre compí quatordici anni, mio Nonno gli compró la Benelli, perché la Moto
Guzzi purtroppo era molto piú cara. Aveva in parte realizzato cosí un suo
antico sogno.
Questa foto l´ho fatta durante il servizio militare 25 anni fá. Il blindato é uno di quelli che ha combattuto nella campagna d´Africa. Nota la scritta nel basamento che dice: Africa Settentrionale.
Questa foto l´ho fatta durante il servizio militare 25 anni fá. Il blindato é uno di quelli che ha combattuto nella campagna d´Africa. Nota la scritta nel basamento che dice: Africa Settentrionale.
Link correlato
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2014/11/tanya-e-charlie-eredi-di-carte-e-ricordi.html
Mie le foto 1, 2 e 3
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2014/11/tanya-e-charlie-eredi-di-carte-e-ricordi.html
Mie le foto 1, 2 e 3
Il Paese natio con i suoi abitanti sono arterie vitali per i ricordi e la memoria . Qui un esempio di cosa possa essere estratto dal sentimento e dalla nostalgia. Continua a ricordare Eduardo ,continua ad archiviare e pensare Piero.
RispondiEliminaGrazie per l'incitamento. E' vero, bisogna fare come i rabdomanti: "sentire" l'acqua delle sorgive anche quando a prima vista non si vede, indicarla o farla affiorare e offrirla. Tutti abbiamo sete di qualcosa.
RispondiEliminaMa é una storia bellissima. Certo triste per l´evolversi, un miscuglio di fortune e sfortune che in quell´epoca appartenevano un pó a tutti... povertá, fatiche, sogni e imprecazioni . Come sempre leggendoti sei un pozzo di emozioni. Grazie Eduardo.
RispondiEliminaI vostri commenti, sono la conferma, che non tutto é perduto, e che forse vale ancora la pena credere e cercare, quello che metaforicamente Piero chiama " Acqua di sorgiva".
RispondiEliminauna storia da brivido, che sembra faccia toccare con mano il passato che fu e che per certi aspetti ritorna sempre a contraddistinguerci, una storia che fa anche molta rabbia ed al tempo stesso tenerezza, raccontata in maniera, scorrevole ed egregia da chi quello che scrive ce lo ha impresso nel cuore prima che sul foglio... grazie Eduardo...
RispondiEliminaLa memoria è la prova della nostra esistenza.
RispondiEliminaTu, Eduardo, riesci a trasmettere, con i tuoi ricordi, l'amore e la passione per la storia dei luoghi e delle persone che fanno parte del nostro stesso essere.
Grazie.
Una scoperta Edoardo .... sono rimasto a bocca aperta e in parte per tanti versi ho ripercorso la strada di mia papà classe 1917 e delle sue peripezie dalla leva del 1938 al rimpatrio dopo Russia e Germania del fine 1945 ... con tutte le perizie simili e la stessa triste dolcezza dei tuoi ricordi... Non lo colse la "mina" ma Halzaimer gli ha regalato ulteriori 6/7 anni di calvario sino alla morte 20 anni dopo tuo padre... Grazie di cuore Edoardo
RispondiEliminaBellissimo racconto di vita vera triste e piena di miseria .
RispondiEliminaTi ammiro Edoardo le tue ricerche sono minuziose proprie di una persona ricca di sensibilità .
Una ricerca delle tue radici
Ciao caro Edoardo sei un Ragazzo speciale.
Che dire mi e' sembrato di tornare a leggere pagine piene di verismo e di incrollabile fede e maledizione tipiche se non uniche della nostra terra. Ingiusta la sorte di tuo nonno.....quattro campagne e la prigionia illeso e perdere la vista così giovane lavorando sotto il peso di quell ingiustizia sociale tanto drammatica e presente in quegli anni cosi tormentati .....
RispondiEliminastoria toccante , scrivi con un grande rispetto su due generazioni passate, e ne puoi andar fiero dei tuoi avi , e questo rispetto che tu ai verso di loro sara un grande esempio x i tuoi figli , ti ringrazio Dino
RispondiElimina