Per una più agevole lettura, si ripropone in una nuova disposizione grafica l'intervento di Antonella Folgheretti pubblicato ieri.
Le foto sono state scattate all'interno dell'aula comunale di Misilmeri in diverse occasioni.
La rivolta del "Sette e mezzo" a Misilmeri
di
Antonella Folgheretti
Scrisse Gaetano Falzone che, in Sicilia, dopo il "Sette e mezzo vi è la mafia". E la riflessione è certamente degna di nota.
La rivolta del 1866, iniziata a Palermo per protesta contro le vessazioni del governo piemontese da quegli stessi capibanda che appoggiarono nel 1860 l´impresa garibaldina, presto coinvolse le squadre dei contadini del comprensorio, circa quattromila uomini. Siciliani ampiamente convinti che il nuovo Regno non aveva mantenuto le promesse iniziali, ma, anzi, le aveva dimenticate.
Una volta entrati in città, nella notte tra il 15 ed il 16 settembre 1866, i rivoltosi rapidamente riuscirono a sollevare l´intera popolazione. La ribellione fu imponente: fonti governative parlano di 35-40 mila uomini in armi. Ma è chiaro che non fu una sommossa del tutto spontanea, piuttosto una rivolta organizzata favorita dalla situazione economica disastrosa e dallo scoppio della terza guerra d´indipendenza che stava mostrando la debolezza del governo savoiardo in seguito alle sconfitte di Custoza e di Lissa.
Nella rivolta del 1866 insorsero contemporaneamente sia l´opposizione di estrema destra, nobili e clero, che quella di estrema sinistra. Indicativo è il fatto che la giunta rivoluzionaria aveva un presidente borbonico, il principe di Linguaglossa, e un segretario mazziniano, Francesco Bonafede.
Per sette giorni e mezzo - dal 16 al 23 settembre - Palermo resterà in mano ai rivoltosi. E solo in seguito all´impiego di 40.000 soldati e soprattutto dei bombardamenti a tappeto, la rivolta verrà sedata. Si conteranno, alla fine, migliaia di morti e migliaia di prigionieri. E in una terra ricca di emarginati, poveri ed oppressi l´esito della vicenda spingerà molti a passare al brigantaggio.
La scintilla della rivolta fu a Palermo, poi il fuoco raggiunse Monreale, dove venne fatta fuori un´intera compagnia di granatieri; quindi toccò a Boccadifalco, con lo sterminio di un reparto di carabinieri "piemontesi", e a Misilmeri, dove, alla fine di una giornata campale, tra saccheggi, incendi, eccidi, si contarono i cadaveri di trentuno tra carabinieri e guardie di pubblica sicurezza. Un trentaduesimo morto si ebbe tre giorni dopo.
Scrive il "Giornale di Sicilia" il 24 settembre 1866: "A Misilmeri si commisero atrocità senza esempio e senza riscontro negli annali della più efferata barbaria".
Un anno durissimo, il 1866.
A guidarli, i banditi Domenico Giordano e Giovanbattista Plescia. Nei giorni immediatamente precedenti, i carabinieri, in tre distinti episodi, avevano fatto fuoco contro inermi cittadini: tre i morti misilmeresi, Giuseppe Amato, Domenico Bono e Nicolò Costa.
In piazza Comitato gli insorti raggiunsero, aiutati dal sagrestano dell´arcipretura, un certo Lo Gerfo, il campanile della chiesa madre. Il comandante dei carabinieri, il maresciallo d´alloggio a cavallo Girolamo Grimaldi, rifiutò dapprima di trattare con i ribelli. I colpi dei fucili, sottratti dagli insorti alla guardia nazionale di Misilmeri, raggiunsero l´obiettivo. I membri delle forze dell´ordine verranno raggiunti uno ad uno, seviziati, decapitati sommariamente. Alcuni, però, riuscirono a fuggire.
Fu proprio Grimaldi, con due carabinieri, a fuggire per via Raffaello, abbandonando i suoi. Altri due carabinieri, di pattuglia a Gibilrossa, individuando il pericolo fuggirono verso Palermo. Un carabiniere venne salvato dalla fidanzata misilemrese, che lo nascose travestito in abiti femminili.
Un altro, invece, trovandosi fuori dalla caserma quando scoppiò la rivolta, tenterà la fuga per i lavatoi pubblici di via Generale Sucato. Intercettato e riconosciuto dalle donne, venne ucciso barbaramente a colpi di pietre e a morsi, all´interno dei lavatoi pubblici.
I carabinieri inserrati all´interno della caserma di via La Masa resisteranno per un´intera giornata. Poi isseranno bandiera bianca. Ma gli insorti non avranno pietà e, aperta la porta della caserma, cominceranno a sparare. Le salme giaceranno per ore e ore all´interno della caserma, mentre il popolo e i capibanda si daranno al saccheggio e alle rapine.
Verranno bruciati l´archivio comunale, i registri di estimo, lo stato civile.
Le teste di alcune delle vittime vennero fatte rotolare in piazza, altre montate su bastoni, portate in processione per le vie principali di Misilmeri. I corpi di due carabinieri vennero squartati, le membra appesa ai ganci di un macellaio.
Il macabro spettacolo venne acclamato dalla folla.
Il 21 settembre, a sera, i corpi verranno condotti in aperta campagna, in due fosse comuni scavate frettolosamente nei due punti opposti del paese: in contrada Blaschi, fondo La Rosa, e in contrada Incorvina, fondo Russitano. Senza funerali, né registrazione di atti di morte.
Su ventisette carabinieri allora presenti a Misilmeri, se ne erano salvati appena sei.
Ma alcuni fatti pongono dubbi: ad esempio, non intervenne la guardia nazionale, né la compagnia del LXX reggimento di fanteria di stanza allora a Misilmeri. Per ristabilire l´ordine, giunsero il paese le regie truppe, che occuparono la chiesa di Gesù e Maria. La rivolta venne sedata nel sangue.
Centinaia furono gli arresti.
Trentasette gli imputati, poi condannati, al processo.
I resti dei trentuno verranno seppelliti nel camposanto il 20 dicembre 1874 alle ore 10. Il monumento funebre, dalle linee austere, riporta una scritta: "Qui i prodi militari caduti nella reazione del Settembre 1866 riposano" e nel retro: "Il municipio di Misilmeri pose anno 1874"
L´ultima traslazione delle vittime della rivolta del "Sette e mezzo" a Misilmeri venne preceduta da cerimonia religiosa officiata nella Chiesa Madre, alla presenza delle autorità, dall´arciprete Balletta.
La mafia locale, si tramanda in paese, vi trovò l´occasione per recare un´ultima offesa ai caduti.
Il sindaco Sparti morirà suicida nel 1878, dopo avere fatto abbattere la chiesa della Madonna delle Grazie per far posto alla attuale via Generale Sucato.
I clericali e i mafiosi festeggeranno pubblicamente la sua dipartita.
In occasione del I Centenario dell´insurrezione, l´11 ottobre 1966, una lapide venne affissa all´interno della Caserma Bonsignore di Palermo a ricordare le vittime della rivolta del 1866 di tutta la provincia.
Altri morti, in quei giorni del 1866, si contarono a Ogliastro, oggi Bolognetta, dove i corpi di tre militari piemontesi, denudati e mutilati, furono trascinati per le strade; quattro carabinieri si suicidarono all´interno della locale caserma, gridando «Viva l'Italia», per non cadere vivi nelle mani dei ribelli siciliani. La Sicilia era insorta contro l'Italia dei Savoia, sei anni dopo l´annessione, con atrocità che ricordano la Vandea. Bibliografia Gaspare Pirrello "Barbagli di luce sulla rivolta del 1866 a Misilmeri", Tipografia Pezzino 1929 Giacomo Pagano "Avvenimenti del 1866: 7 giorni d´insurrezione a Palermo", 1867.
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