Dal catalogo della mostra
Renzo Collura (1920-1989):
IN NOME DEL PADRE: PERCHÉ NO?
di
Athos Collura
Nel 2013 si è tenuta presso il Museo del Castello Visconteo di Pavia la mostra antologica che ripercorreva i miei cicli tematici e le ricerche stilistiche fino alla mia ultima stagione creativa. Ne scrivo unicamente per poter manifestare, pubblicamente, tutta la mia gratitudine per l’evento che, oggi, Pavia presenta presso lo splendido e prestigioso spazio espositivo del Broletto.
L’amico Philippe Daverio, visitando allora la mostra, mi suggerì di presentare, nella stessa città di Pavia, recettiva e quanto mai sensibile alle ricerche culturali, le mie stesse “radici”. Fu un’esortazione all’azzardo di presentare non già i miei acerbi esercizi juvenilis, quanto la mia appartenenza di sangue al mondo artistico. Questo si traduceva semplicemente nella rivelazione della figura di mio padre, il pittore Renzo Collura. Grazie all’acuta intelligenza e lungimiranza della direttrice dei Civici Musei di Pavia, la dottoressa Susanna Zatti, è nata l’idea di questo evento che ripercorre il tempo della storia di padre in figlio. È amore filiale, certamente. È amore per la pittura, naturalmente.
Ma è anche amore per la libertà e per l’impegno sociale e individuale che sempre l’arte esprime. Credo che ciò abbia corrisposto, in qualche modo, al desiderio dell’Amministrazione Comunale di Pavia che, in questo ritorno dal figlio al padre, intende esaltare il valore universale della polis.
Debbo ancora esprimere un ringraziamento al Sistema Museale Pavese che ci ha accolto e che ci consente così di godere della prima mostra retrospettiva dedicata a mio padre Renzo.
Questa esposizione, perché no, viene finalmente a colmare una lacuna perpetrata da troppo tempo dalla sua terra natale.
IL MONDO MAGICO DELLE IMMAGINI
di
Philipe Daverio
La danza macabra continua anche oggi nello studio di Athos Collura, uno dei tanti siciliani rifugiati a Milano, dove oggi lavora. Suo padre Renzo è arrivato a Milano solo con le opere perché dalla Sicilia non si era mai mosso.
La sua terra l’ha raccontata però con quello spirito specifico che ritorna fino in fondo nella psicologia della danza macabra.
I siciliani sono per natura loro barocchi, macabri e pasticceri, con le loro architetture folli e le loro processioni inarrestabili.
E questo curioso Renzo Collura aveva lo stesso coraggio delle vere danze macabre, perché anche lui ci rimette, nel teschio, l’immagine forte del prelato e del giudice e dell’uomo di potere, e lo vive come un confronto, quello della morte, con l’altra parte dell’esistenza: la vita e il suo peccato.
Nell’inferno inventato dal figlio ricompaiono le scene create dal padre: il carabiniere, il suonatore di trombette, il teschio e il battitore di tamburo.
E attorno a questo confessionale è nato un piccolo miracolo, perché i quadri fuggiti dalla Sicilia hanno fatto ricongiungere il padre e il figlio, e la tonalità cromatica dell’uno e dell’altro risultano analoghe in maniera imbarazzante.
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