Mio
padre parlava in dialetto. Mia madre parlava in dialetto. A casa mia tutti
parlavano in dialetto. E non solo a casa
mia. Tutto avveniva in dialetto. Per tanti, della mia generazione, è stata una
strada in salita quella di affrancarsi dal dialetto.
Con
l’italiano si aveva accesso in società, si studiava, ci si laureava e magari si
cambiava stato sociale. Anch’io, come tanti.
Eppure…
ora, in età matura, lontano da quella condizione linguistica e sociale
iniziale, mi accorgo di non avere mai
rinnegato la lingua in cui ho espresso i primi vagiti. Anzi, l’ho coltivata di nascosto a me stesso,
senza darvi tanta importanza: in coincidenza dei miei studi che mi avrebbero
portato a dire “e so legger di greco e di latino”, a quattordici anni, ho
composto la mia prima poesia in siciliano e praticamente non ho smesso più.
Da
allora, spaziando, ho scritto in italiano e letto poesie anche in altre lingue
europee, eppertanto sono io stesso ora a chiedermi come mai il ricorso al
dialetto avvertito come un continuum.
Non lo so. Né cerco teorie in risposta.
The Poet sings for all. Cover |
Ma
noto che è una domanda a cui non si può fare a meno di rispondere in qualche
modo. Il poeta Vincenzo De Simone, ai primi del Novecento del secolo scorso,
emigrato a Milano dove si è affermato professionalmente come medico,
utilizzando il dialetto siciliano, diceva di farlo perché vi sentiva la vuci
/ di tutti li me’ nanni e li nannavi, / di tutti li me’ vivi e li me’ morti.
Un modo come un altro per sentirsi meno lontano dalla sua Villarosa in
provincia di Enna da cui era andato via. Il dialetto lombardo gli sarà sembrato
ostico e freddo come le nebbie padane. A me, che non mi sono allontanato dalla
Sicilia, ritorna suggestiva l’altra risposta quando dichiara di amare il
dialetto per lu so meli, per il suo
miele.
Non
so se una dolce suggestione possa valere quanto una motivazione culturale e
storica, per quanto mi riguarda so di avvertire il bisogno spirituale di
esprimere i sogni e le malinconie della vita adulta con i suoni della stessa
lingua utilizzata nell’infanzia. Non so per quali ragioni l’abbiano fatto in
passato poeti come Giovani Meli e Ignazio Buttitta, so che l’hanno fatto
egregiamente e a loro guardo come un modello: addirittura mi sarebbe piaciuto
sprofondarmi nelle meditazioni quasimodiane immerso in una musicalità più familiare.
Omaggio del libro ai fratelli Mancuso Selinunte, 26 luglio 2014 |
Comunque,
mi fa piacere di essere in compagnia di chi apprezza l’espressività dialettale
e cerca di non lasciarla ingabbiata nell’involucro linguistico originario ma
attraverso le traduzioni la incammina in felici viaggi verso mete lontane. Come
fa ad esempio Gaetano Cipolla con le sue translazioni dal siciliano in inglese
per un pubblico soprattutto americano. Ma
è anche vero che mi è accaduto il contrario, e viene da chiedersene la ragione:
perché mai il bisogno o il piacere di risentire nel proprio dialetto ciò che
Bécquer ha sentito e scritto in spagnolo?
Forse per assaporare nel miele della propria lingua la “dolcezza” che è stata
ammannita in un’altra.
¿Qué es poesìa? dices mientras clavas
en mi pupila tu pupila azul...
Nzocch’è puisia? Tu m’addumanni…
Nzocch’è puisia? Tu m’addumanni
mentri spunni
ss’uocchi
tò cilesti nni li mia…
Diversi
i suoni, identica la domanda: suoni particolari per esprimere sentimenti
universali. È nella stessa varietà la ragione del travaso da una lingua in
un’altra? Forse. Nel dubbio, una certezza: variando percezione sensoriale, è
una ricchezza ritrovarsi, per non averlo mai in fondo rinnegato, uno strumento linguistico in cui far
risuonare spartiti di musiche altrui. Altrimenti afoni. O dissonanti.
Palermo,
12 marzo 2014
Traduzione di Gaetano Cipolla
Lingua dei padri e musica senza tempo dei fratelli Mancuso
Una bella pagina che conferma dell'ampio raggio in cui spazia la sua attività. Tanti complimenti e tanti auguri per i futuri certi successi.
RispondiEliminaGrazie.
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