«È del poeta il fin la meraviglia...»
scriveva Giambattista Marino, per far intendere a quale stratosferico cielo dovesse innalzarsi la poesia barocca, e guai ai poeti zavorrati che non fossero riusciti a trasvolare a simili altezze:
chi non sa far stupir, vada alla striglia!
parlo dell'eccellente e non del goffo.
Un tale compito non era assegnato soltanto alla poesia e ai poeti ma a tutte le arti e agli artisti in genere, in modo particolare si direbbe agli scultori e agli architetti perché quei voli avrebbero dovuto intraprendere con pietre, marmi e altri materiali ottusi e pesanti. Pietre leggere. Ricami pesanti. Plastiche forme. Stupire, meravigliare, volare: ci sono riusciti!
E' la sensazione che si prova appena si salgono gli scalini e si varca il vestibolo della Chiesa del Gesù a Palermo universalmente nota come Casa Professa, la chiesa dei Gesuiti a Ballarò.
O entrando nella cappella del Santissimo Crocifisso attigua all'arcinoto Duomo di Monreale e conosciuta col nome del vescovo spagnolo che l'ha voluta realizzare, mons. Giovanni Roano.
O trovandosi di colpo, tra una rampa di scale e l'altra, di fronte alla fontana di Palazzo Mirto, sempre a Palermo, dalle parti della Kalsa.
Per tre volte uno si trova a constatare la verità del Marino; meraviglia, stupore: con leggerezza. E ogni volta una forte sensazione all'altezza dello stomaco e un'altra provata con gli occhi, guardando, direi subendo, quel mare di ricami di pietre e di marmi, tanto da fare annivulàri l'uocchi. E uno per liberarsi da quel grumo inaspettato di sensazioni visive e di meraviglia ha bisogno di esclamare nella lingua, per sé, più immediata al mondo:
m'annivolanu l'uocchi!
Le nuvole negli occhi, ammassate, che si sfilacciano, pettinate dal vento. Forme che si dissolvono in altre forme. E gli occhi che seguono cirri e plumbei addensamenti: l'uocchi annivòlanu! Sensazioni strane. Fantasticamenti. Nubi, non nebbie, nubi di bellezza.
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