Tore Mazzeo
Giuseppe Marco Calvino
2 poeti in 1
Corrao Editore, Trapani 2004
di
Marco Scalabrino
Immagino di chiamare Tore Mazzeo, Trapani
1925-2015, al numero di telefono 0923xxxxx, di fissare con lui un appuntamento
e di incontrarlo nella sua casa di via San Pietro 42, dove ha abitato per gran
parte della sua esistenza (sebbene negli ultimi suoi anni si fosse trasferito
in via Col. Romey 65).
Argomento il suo volume
titolato Giuseppe Marco Calvino, 2
poeti in 1, Corrao Editore, Trapani
2004, del quale, in un fausto pomeriggio
dell’estate 2005, giusto nella sua casa di via San Pietro, egli
ebbe a farmi graditissimo dono con affettuosa dedica, gli chiedo, fidando nella
sua compita disponibilità, di rispondere ad
alcune domande.
E, sebbene già un po’ stanco, Tore
sfoggia tutta la sua affabilità e annuisce.
Attacco, pertanto, senza indugi.
MS. Tore, prima di inoltrarci nel tema principe
della nostra odierna conversazione, dicci, per favore, qualcosa di te.
TM. Sono nato a Trapani nel 1925. Ho pubblicato:
Le crociere del paladino, romanzo, nel 1985; Pecus, racconto, nel 1992; Baddaronzuli,
poesie siciliane, voll. 1 e 2, rispettivamente nel 1993 e nel 2006; La cassata siciliana,
racconto, nel 1994; La storia o una storia, racconto, nel 1999; Racconti Trapanesi (verosimili), nel 2005.
MS. Constato che Tore ha poca voglia di parlare
di sé, della sua vita privata, e passo, quindi, alla prima domanda. Chi fu
Giuseppe Marco Calvino?
TM. Le biografie esistenti di Giuseppe Marco Calvino sono tutte
brevi, frettolose e lacunose. L’assenza di una biografia svolta con compiutezza
potrebbe far pensare che nella sua vita vi potesse essere qualcosa da
nascondere, oppure che dai più egli venisse considerato un poetastro, dedito
soltanto a luridi versi per il sollazzo della plebaglia e, per questo motivo,
non valeva la pena di occuparsene. Come appureremo, nulla di tutto ciò! Di
certo, egli nacque a Trapani il 6 ottobre 1785.
MS. E i genitori chi furono?
TM. Giuseppe
Calvino e Anna Patrico, i suoi genitori, furono modesti ortolani che, con il lavoro
e con la parsimonia, via via accumularono tanto da lasciargli in eredità un
vistoso patrimonio per cui egli poté, non tiranneggiato dal bisogno, coltivare
gli studi.
MS. Il padre si chiamava Giuseppe anche lui?
TM. Proprio così! Fu un galantuomo di stampo
antico, non sfornito di mente e orgoglioso delle glorie cittadine, fra le quali
il celebre pittore Giuseppe Errante, del quale fu amico.
MS. E la madre?
TM. La madre, Anna Patrico, fu donna
caritatevole e di santissimi costumi, dalla quale Giuseppe Marco ereditò il
sentimento di alleviare le sofferenze ai poveri.
MS. Si diceva degli studi; con che esiti vi
attese?
TM. Sin
dalla più tenera età egli manifestò una grande facilità di apprendimento e una
non comune versatilità nello studio sia delle materie letterarie, italiano e
latino, che della filosofia e della giurisprudenza, tanto che a nove anni
scrisse la sua prima poesia, un sonetto dal titolo Le falsità del mondo (oggi conservato fra i manoscritti
della Biblioteca Fardelliana di Trapani), e a dieci tradusse, in quartine di
settenari, il primo capitolo delle Lamentazioni
di Geremia.
MS. Che notizie ci sono pervenute circa la sua
vita?
TM. Visse sostanzialmente a Trapani ma, in età
matura, fece brevi soggiorni a Palermo e a Catania, dove pubblicò Ifigenia in Aulide, e, probabilmente, a
Siracusa, a Messina e a Roma. Nel suo girovagare per le stradine della nostra città, fatto di
incontri e di visite alle botteghe artigiane, destava, con il suo carattere
gioviale, simpatia e amicizia e tali sentimenti egli onorava, donando, agli
astanti suoi ammiratori, composizioni poetiche scherzose e scurrili, che
suscitavano risa e allegria.
MS. Tu come lo hai “conosciuto”?
TM. Le voci di questo poeta, io le ho sentite
nei lunghi silenzi notturni della mia casa solitaria. Allora, per smettere la
mestizia, al mattino mi recavo in Biblioteca come se andassi in casa di un
amico poeta, da lui invitato a guardare le sue carte.
MS. Lo
definisci un amico; questo “affetto” ti ha, perciò, spinto a scriverne?
TM. Una
pubblicazione organica sulla sua vita e sulla sua attività di poeta non è stata
mai fatta. C’è stato, fino ad oggi, solo l’entusiasmo di alcuni suoi
estimatori, fra l’altro ormai spento. La verità è che
il poeta Calvino non è mai stato studiato a fondo e che molte citazioni e molte
critiche sulle sue opere contengono gravi inesattezze.
MS. Con
che spirito e con quali intenti ti sei accostato al Poeta?
TM. Con
umiltà; allontanando da me la pretenziosa idea di dovere fare un saggio
letterario e con i soli intenti di farmi promotore di una necessaria opera di
divulgazione letteraria.
MS. Descrivici
un po’ fisicamente l’uomo Giuseppe Marco Calvino.
TM. La
riproduzione del suo ritratto, olio su tela, custodito presso la Biblioteca Fardelliana,
è in copertina del mio volume; essa rispecchia fedelmente la descrizione
fattane nel 1912 da Giovanni Predieri: “A Trapani, nella Cattedrale di San
Lorenzo, nella navata sinistra poco distante dall’ingresso, spicca un busto
rappresentante un uomo paffuto e ancor giovane, dalle folte fedine ricciute
come i capelli; il quale arieggerebbe in buona parte la figura del Byron, se un
aspetto più franco e sicuro e una posa più balda non gli togliesse
quell’espressione di dolce mestizia che è tutta propria del cantore di Aroldo”.
MS. Una
persona gioviale, quindi?
TM. Sì;
ebbe carattere simpatico e fu colto e intelligente. Nicolò Rodolico lo definì epicureo. Ma, precisa, nell’età in cui egli vive,
quella dei Borboni, la filosofia di Epicuro non è sempre né vile né disonesta
giacché “sorgendo in tempi di corruzione, essa è spesso il mite raccoglimento
del savio che, stanco di resistere a lungo, depone da sé il cumulo delle
memorie per camminare con minori ostacoli nella via della vita.
Egli gode e ride, ma spesso quel suo sorriso è quello della satira civile, lo sdegno delle tristi condizioni che l’attorniano. Il Calvino usa sovente la frase scurrile qual mezzo e non fine”.
Egli gode e ride, ma spesso quel suo sorriso è quello della satira civile, lo sdegno delle tristi condizioni che l’attorniano. Il Calvino usa sovente la frase scurrile qual mezzo e non fine”.
MS. Godette, dunque, della considerazione e
della stima dei suoi concittadini?
TM. Sì! Tanto da conquistare,
nelle elezioni amministrative del 1813, il primo posto fra gli eletti e da
occupare diverse cariche pubbliche: consigliere degli ospizi, deputato di
salute, consigliere della Provincia.
MS. Ebbe, così, anche una veste di uomo politico?
TM. Sotto il profilo politico,
Calvino condivise ed elogiò il comportamento del popolo trapanese, perché –
scrive Carlo Guida, che fu anche sindaco della città – nei moti insurrezionali
del 1821, seppe resistere alle tentazioni della propaganda sovversiva dei
Carbonari. Da buon pacifista, Giuseppe Marco Calvino rifuggiva dalle beghe
della politica e, ciò malgrado, si interessava ai problemi dei suoi
concittadini, specie quelli più indigenti e teneva a collaborare con le
istituzioni di beneficenza ed ospedaliere.
MS. Com’era all’epoca la città di Trapani?
TM. Trapani, all’epoca (in pratica l’odierno centro storico), contava circa 25 mila abitanti e
abbondava di botteghe artigiane: orafi, argentieri, corallai, scultori,
pittori, ma anche sarti, barbieri, calzolai, ebanisti … era una città ricca e industriosa: le saline, la pesca, la lavorazione del corallo, le
tonnare contribuivano a determinare quella ricchezza.
MS. E Giuseppe
Marco come vi viveva?
TM. Egli vi trascorreva la sua
doppia vita di poeta serio nella sua casa e di poeta epicureo all’esterno; era
come si suol dire a Trapani: spassu di fora e trivulu di casa.
MS. Si sa con esattezza dove
abitò?
TM. Sì. La sua abitazione era nella Rua Nuova,
l’attuale via Garibaldi al numero civico 56, giusto all’angolo della Scalinata
di San Domenico. Egli ne dà notizia nella poesia Avvisu a lu pubblicu fimmininu, nella quale invita le donne ad
andarlo a trovare perché lui le consolerà tutte, e pertanto è bene che loro conoscano il suo indirizzo: Abita giustu
all'angulu / ncentru di la Ranova / scinnuta san Duminicu / l'omu chi fa sta
prova.
MS. Ma
torniamo al libro; com’è articolato?
TM. Il volume, dedicato a mio padre: don Pippinu
’u pitturi, patrocinato dalla Associazione
per la Tutela delle Tradizioni Popolari del
Trapanese,
della quale sono socio, è stato tirato in 700 copie numerate in edizione
fuori commercio; consta di oltre duecento pagine ed è suddiviso in sei
capitoli, comprensivi di sei Letture e una appendice, a sua volta distribuita
su due parti.
MS. In
che contesto storico-letterario si mosse Giuseppe Marco Calvino?
TM. Siamo
agli inizi dell’Ottocento, epoca della poesia romantica nella quale
primeggiavano poeti come Byron, Keats, Shelley e, in Italia, Foscolo. A quel tempo Calvino era un giovane spigliato
e colto con la passione della letteratura e conosceva Giovanni Meli e Domenico
Tempio, le cui poesie erotiche circolavano già a Trapani. È pacifico ritenere
che questi ultimi due poeti ebbero una notevole influenza nella sua formazione
letteraria.
MS. E
del Calvino traduttore che ci dici?
TM. Ifigenia in Aulide, del 1819, è la sua
traduzione in lingua italiana della tragedia di Euripide. Le sue traduzioni non
furono apprezzate dai grecisti, il
cui giudizio viene generalmente espresso con le locuzioni: “eccessivamente
libere”, “dichiaratamente libere”, con l’aggiunta della notazione che esse
contenevano “omissioni e aggiunte non giustificate e diverse infedeltà”.
Gli idilli di Teocrito costituiscono, nondimeno, la sua traduzione più riuscita e Francesco Luigi Oddo asserì che Calvino tradusse in italiano e in siciliano con particolare entusiasmo artistico, anche se con scarso rigore filologico, e che più d’una volta l’esito, considerato per se stesso, costituisce un gioiello d’arte.
Gli idilli di Teocrito costituiscono, nondimeno, la sua traduzione più riuscita e Francesco Luigi Oddo asserì che Calvino tradusse in italiano e in siciliano con particolare entusiasmo artistico, anche se con scarso rigore filologico, e che più d’una volta l’esito, considerato per se stesso, costituisce un gioiello d’arte.
MS. La
sua fama però …
TM. Le
sue poesie dialettali, che mai aveva voluto pubblicare in vita, vennero
raccolte in giro fra la gente che le possedeva e furono stampate,
clandestinamente, attorno al 1900. Quel libro, del quale non si conosce la
tiratura e non è dato sapere dove stampato perché “acefale”, dal titolo Poesie scherzevoli, gli procurò subito la fama di poeta
pornografico, tanto che “nella
tradizione più popolare, quello delle poesie dialettali, per così dire
pornografiche, è pressoché il solo Calvino”. Fama ingiusta, tenuto conto
degli altri suoi molteplici lavori.
MS. Che
sono?
TM. Le elegie del 1808, Le odi varie del 1818,
Ifigenia in Aulide del 1819, Poesie
diverse del 1825, Le rime del
1826, Il calzolaio di Alessandria della
paglia, commedia in tre atti del 1832,
Le novelle bernesche e La
Batracumiumachia del 1827, Gli idilli
di Teocrito del 1830, Le odi di
Anacreonte prima della morte.
Le rime, fra le sue opere più corpose, pubblicate per le Edizioni Mannone e Solina di Trapani, occupano due tomi: il primo è composto da canzoni, odi, cantiche, sonetti e poesie di impronta arcadica; il secondo accoglie vari argomenti leggeri, alcuni esposti in maniera scherzosa o caricaturale, altri in maniera lirica.
Le rime, fra le sue opere più corpose, pubblicate per le Edizioni Mannone e Solina di Trapani, occupano due tomi: il primo è composto da canzoni, odi, cantiche, sonetti e poesie di impronta arcadica; il secondo accoglie vari argomenti leggeri, alcuni esposti in maniera scherzosa o caricaturale, altri in maniera lirica.
MS. Noi trapanesi conosciamo,
almeno per sentito dire, L’industria
trapanese; di che si tratta?
TM. L’industria
trapanese, composta nel 1825, inclusa
in Poesie diverse, palesa il suo grande amore per la sua
città, ma è anche la prova più convincente che Calvino fu un vero poeta.
Dedicata a Francesco Di Paola Avolio, pur essendo un carme didascalico, ha “un taglio
moderno che ne fa un’opera d’arte raffinata, tecnicamente pregevole e
realistica, specie nella descrizione dell’impianto della tonnara e delle
operazioni della mattanza, che denotano uno studio preventivo serio e
approfondito”.
MS. E La Batracumiumachia
cos’è?
TM. La
Batracumiumachia, ovvero La guerra
tra li surci e li giurani, è la traduzione in siciliano dell’omonimo
poemetto, attributo ad Omero.
MS. Ce
la vuoi illustrare un po’?
TM. D’accordo!
Ma solo pochi cenni circa la singolarità dei nomi dei topi e delle rane:
Rubbamuddichi, Sautapignati, Abbuffagargi, Scavacaciu, Alliccalomu, Limarruni, Scialafangu, Liccapiatta, Passapirtusa, Scorciaprisutti, Disiaciarudarrustu, Vuciazzaru, Carcalimu, Simmulara, Porriquagghiu, Accuccapani, Arrobbasosizzuni, Cannulicchiu;
le loro reciproche armi:
scorci di favi pri gammali, pri pettabottu na piddazza dura di gattazza, pri sarvari la panza ci fannu di cannuzzi l’armatura, pri scutu di la cernia lu viddicu, l’asta è n’agugghia di causetta, l’elmu lu cumminaru di scorci di nuci, lu giaccu fattu è di larghi pampini di gira, pri lancia un juncu virdi, li fogghi di li cavuli pri scutu, un babbaluciu ‘ntesta;
e le esilaranti scene della loro scaramuccia:
La prima Alliccalomu capitau, /
chi Strillaforti cu na botta dritta /
la panza cu lu ficatu pirciau;
cu l’affilata sua forti zagagghia /
Giraloru a lu gran Sautapignati / c
u lu cori la vita ci va tagghia;
Passapirtusa pri risposta /
abbìa na mola nta cozzu e cuddaru;
ci sbuturau la panza, e a facci all’aria /
sburiddatu arristau nfinu, chi affunna;
Mangiaprisutti si vitti e 'un si vitti /
chi Godilacqua dui pitrati appizza /
dui pitrati chi foru dui saitti;
Carcalimu pri annurvari a chiddu /
na manata di zoddari ci abbìa;
sauta Rubbamuddichi / chi un gran pitruni ci sgangau l’ossu pizzidru.
Ma solo pochi cenni circa la singolarità dei nomi dei topi e delle rane:
Rubbamuddichi, Sautapignati, Abbuffagargi, Scavacaciu, Alliccalomu, Limarruni, Scialafangu, Liccapiatta, Passapirtusa, Scorciaprisutti, Disiaciarudarrustu, Vuciazzaru, Carcalimu, Simmulara, Porriquagghiu, Accuccapani, Arrobbasosizzuni, Cannulicchiu;
le loro reciproche armi:
scorci di favi pri gammali, pri pettabottu na piddazza dura di gattazza, pri sarvari la panza ci fannu di cannuzzi l’armatura, pri scutu di la cernia lu viddicu, l’asta è n’agugghia di causetta, l’elmu lu cumminaru di scorci di nuci, lu giaccu fattu è di larghi pampini di gira, pri lancia un juncu virdi, li fogghi di li cavuli pri scutu, un babbaluciu ‘ntesta;
e le esilaranti scene della loro scaramuccia:
La prima Alliccalomu capitau, /
chi Strillaforti cu na botta dritta /
la panza cu lu ficatu pirciau;
cu l’affilata sua forti zagagghia /
Giraloru a lu gran Sautapignati / c
u lu cori la vita ci va tagghia;
Passapirtusa pri risposta /
abbìa na mola nta cozzu e cuddaru;
ci sbuturau la panza, e a facci all’aria /
sburiddatu arristau nfinu, chi affunna;
Mangiaprisutti si vitti e 'un si vitti /
chi Godilacqua dui pitrati appizza /
dui pitrati chi foru dui saitti;
Carcalimu pri annurvari a chiddu /
na manata di zoddari ci abbìa;
sauta Rubbamuddichi / chi un gran pitruni ci sgangau l’ossu pizzidru.
MS. Ma,
gli storici e i letterati come hanno valutato il poeta Giuseppe Marco Calvino?
TM. Gli storici hanno trattato il
“fenomeno” come un poeta del suo tempo e soprattutto dei suoi luoghi; la maggioranza dei letterati e dei saggisti
che si sono occupati di Calvino
ritiene che sia stato un buon poeta che suo malgrado, lui inconsapevole, abbia
acquisito la fama con la pubblicazione postuma delle Poesie scherzevoli. A tale fama, in certo senso negativa, ha contribuito non poco l’avergli,
nei primi anni del ’900, intitolata [a Trapani] la strada dei postriboli,
esistenti fino agli anni Cinquanta, nel centro storico della città
vecchia.
MS. E i suoi contemporanei che
considerazione ne ebbero?
TM. Benché fosse popolarissimo,
cittadino stimato tanto da ricoprire svariate cariche pubbliche, benché fosse
conosciuto a Palermo, Catania, Messina, Agrigento e Siracusa, benché tenesse
corrispondenza con molti intellettuali italiani, e abbia lasciato poesie,
traduzioni, saggi, novelle, testi teatrali che si trovano in parecchie
biblioteche pubbliche e private, cioè un campionario di varia letteratura che poteva stimolare la
curiosità dei concittadini letterati, Calvino è stato tuttavia ignorato dai
letterati trapanesi suoi coevi e non se ne conoscono le ragioni a meno che esse
non siano da ricercare nelle lubriche sue Poesie
scherzevoli.
Per lo più i suoi contemporanei hanno silenziosamente manifestato indifferenza o fastidio, oppure hanno accolto, da persone dai modi garbati, consigli o preghiere affinché assumessero nei riguardi del nostro poeta atteggiamenti di agnosticismo di buona maniera.
Per lo più i suoi contemporanei hanno silenziosamente manifestato indifferenza o fastidio, oppure hanno accolto, da persone dai modi garbati, consigli o preghiere affinché assumessero nei riguardi del nostro poeta atteggiamenti di agnosticismo di buona maniera.
MS. Di recente, però, mi risulta che vi siano
poi stati dei giudizi più distaccati, più sereni. É vero? Ce ne puoi citare
alcuni?
TM. Certamente.
Quelli qualificati di Nicola Lamia nel 1971, di Francesco Luigi Oddo nel 1972 e di Virgilio Titone nel 1990.
Nicola Lamia affermò che “sull’arte di Calvino i giudizi entusiastici sono numerosi e tutti autorevoli, mentre le critiche alla sua opera sono esclusivamente di carattere moralistico e pedantesco”; Francesco Luigi Oddo attestò che “le sue opere ebbero lettori e critici al Nord d’Italia forse ancor più e prima che nel regno di Napoli.
Egli verseggiò in Italiano con notevole senso d’arte, con sobria eleganza, come testimoniano odi, canzonette e cantiche.
I modi tecnici ed espressivi sono quelli del Neoclassicismo”; e Virgilio Titone sostenne che il Calvino è stato “non solo un poeta, ma anche una testimonianza storica dei costumi, delle idee, della cultura del suo tempo” e centrò il vero merito del Poeta, che è quello di possedere una assoluta padronanza della lingua materna e “la capacità di farla aderire alla parlata immediata e spontanea; di fare propri modi di dire, voci, costrutti, locuzioni che correvano e ancora oggi corrono sulla bocca dei siciliani, specialmente dei trapanesi della marina e del monte”.
Quelli qualificati di Nicola Lamia nel 1971, di Francesco Luigi Oddo nel 1972 e di Virgilio Titone nel 1990.
Nicola Lamia affermò che “sull’arte di Calvino i giudizi entusiastici sono numerosi e tutti autorevoli, mentre le critiche alla sua opera sono esclusivamente di carattere moralistico e pedantesco”; Francesco Luigi Oddo attestò che “le sue opere ebbero lettori e critici al Nord d’Italia forse ancor più e prima che nel regno di Napoli.
Egli verseggiò in Italiano con notevole senso d’arte, con sobria eleganza, come testimoniano odi, canzonette e cantiche.
I modi tecnici ed espressivi sono quelli del Neoclassicismo”; e Virgilio Titone sostenne che il Calvino è stato “non solo un poeta, ma anche una testimonianza storica dei costumi, delle idee, della cultura del suo tempo” e centrò il vero merito del Poeta, che è quello di possedere una assoluta padronanza della lingua materna e “la capacità di farla aderire alla parlata immediata e spontanea; di fare propri modi di dire, voci, costrutti, locuzioni che correvano e ancora oggi corrono sulla bocca dei siciliani, specialmente dei trapanesi della marina e del monte”.
MS. Ti
va di illustrarci, per sommi capi, gli aspetti salienti della sua opera?
TM. Il Calvino era un poeta che praticava due
distinte forme d’espressione: era cioè un poeta arcadico per gli scritti che
dava alle stampe ed era, nel contempo, un poeta lubrico allorquando, per il suo
diletto e per quello degli amici, descriveva con eccessi scene reali e anche
mitologiche nelle quali si compiaceva di verseggiare su specifiche parti
anatomiche o su situazioni e atti lussuriosi. Due personalità artistiche: una
sorta di Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
MS. Ah! Ecco, dunque, si spiega,
il perché del sottotitolo dell’opera: 2 poeti in 1.
TM. Esattamente!
MS. Dove
sono consultabili i lavori di Giuseppe Marco Calvino?
TM. Presso
la Biblioteca Fardelliana di Trapani sono custoditi taluni manoscritti,
dettagliatamente elencati, nel 1978, dall’allora direttore Salvatore Fugaldi.
MS. Ho
sentito della collocazione di una targa ...
TM. Sì;
un gruppo di cittadini trapanesi, che ha a cuore la storia e la cultura della
città, ha espresso il desiderio che davanti alla sua dimora si posi una targa
di marmo che riporti la dicitura: “Casa d’abitazione del poeta Giuseppe Marco
Calvino”.
MS. Qualche
ulteriore utile notazione?
TM. Giuseppe Marco Calvino fu membro di alcune
Accademie: della trapanese Accademia della Civetta, dell’Accademia tiberina,
dell’Accademia dell’Arcadia, alla quale era iscritto con lo pseudonimo di
Taliso Smirnense e, aspetto da non trascurare, ebbe una grande passione per il teatro.
MS. Mi hai anticipato! Te ne
avrei giusto chiesto.
TM. Calvino scrisse opere per il
teatro e si dilettava a dare consigli di recitazione agli attori. Fu uno dei
primi a capire che il teatro dovesse avere fini di educazione sociale. Giuseppe Malato rileva che Calvino mostrò “per il teatro
una grande passione, che tenne viva per tutta la vita”, e Francesco Luigi Oddo attesta che la figura
del Calvino, in quella Trapani del primo Ottocento, fu legata a una lunga
battaglia per la costruzione del teatro Ferdinandeo, poi Garibaldi.
MS. In
chiusura, un accenno alle Poesie
scherzevoli.
TM. Le
Poesie scherzevoli erano, sì,
scherzose ma anzitutto erano audacemente scurrili, come quelle del catanese
Domenico Tempio.
Ho visionato tre volumi di tre differenti proprietari; tutti e tre, compreso quello esistente presso la Biblioteca Fardelliana, sono privi della prima pagina, cioè di quella pagina che avrebbe dovuto recare la completa intestazione: autore, titolo, luogo e data di edizione, generalità o ditta dell’editore. Ne deduco che i libri, dopo la stampa, sono stati resi acefali per renderne anonima la tipografia, onde evitare possibili eventuali interventi della censura.
Ho visionato tre volumi di tre differenti proprietari; tutti e tre, compreso quello esistente presso la Biblioteca Fardelliana, sono privi della prima pagina, cioè di quella pagina che avrebbe dovuto recare la completa intestazione: autore, titolo, luogo e data di edizione, generalità o ditta dell’editore. Ne deduco che i libri, dopo la stampa, sono stati resi acefali per renderne anonima la tipografia, onde evitare possibili eventuali interventi della censura.
MS. Come e quando morì Calvino?
TM. Calvino morì a 47 anni, il 21
Aprile 1833, per una infezione tifoidea.
MS. Se ne conosce il luogo della
sepoltura?
TM. Venne seppellito in un
piccolo camposanto del convento dell’Itria.
Nel 1884, la figlia Anna fece erigere un monumento funebre che è allocato nella navata sinistra della Cattedrale di Trapani, poco distante dall’ingresso.
Dei resti mortali del poeta, però, all’interno della Cattedrale di Trapani, non v’è traccia e c’è ragione di temere che Calvino sia rimasto senza tomba e che di lui più nulla rimanga se non la già dispersa polvere dei secoli.
Nel 1884, la figlia Anna fece erigere un monumento funebre che è allocato nella navata sinistra della Cattedrale di Trapani, poco distante dall’ingresso.
Dei resti mortali del poeta, però, all’interno della Cattedrale di Trapani, non v’è traccia e c’è ragione di temere che Calvino sia rimasto senza tomba e che di lui più nulla rimanga se non la già dispersa polvere dei secoli.
MS. Tore, ti chiedo, prima di lasciarci, una
considerazione conclusiva.
TM.
Giuseppe Marco Calvino morì nel 1833; nel
1933 ne ricorreva, pertanto, il centenario della morte. Alcuni cittadini
trapanesi desideravano non fare passare sotto silenzio tale ricorrenza.
“La celebrazione, però – testimonia Francesco Luigi Oddo – dovette trovare una insormontabile opposizione in una autorità locale, la quale addusse a motivo che Calvino era stato un rimatore volgarmente pornografico.”
“La celebrazione, però – testimonia Francesco Luigi Oddo – dovette trovare una insormontabile opposizione in una autorità locale, la quale addusse a motivo che Calvino era stato un rimatore volgarmente pornografico.”
MS. E, allora, non se ne fece nulla?
TM.
Non se ne fece nulla, eccetto un
articolo pubblicato sul settimanale Il
lunedì trapanese, con il titolo Onoriamo Giuseppe Marco Calvino e la
sigla CID, che fa pensare al barone Carlo Drago di Ferro.
Speriamo che sarà fatto di meglio in occasione del bicentenario.
Speriamo che sarà fatto di meglio in occasione del bicentenario.
Piccola Antologia Calviniana:
una ottava epicurea
e una selezione di terzine
dalla Batracumiumachia in tre
momenti:
l’incontro fra il topo e la
rana,
il passaggio in groppa alla
rana e il conseguente annegamento del topo,
il concilio degli Dei e la
scesa in campo delle truppe inviate dall’Olimpo.
Sciala mentri chi n’hai, sciala ssu cori
mentri chi ancora batti ‘ntra lu pettu;
si speri autri piaciri quannu mori,
guarda a mia, com’ammatula l’aspettu.
Godi dunca ssi spassi e ssi tesori
mentri chi poi gustarini l’effettu;
godili tutti, ‘un ni lassari nenti,
si li lassi, li lassi eternamenti.
1. Avvampatu, arraggiatu di la siti, /
un surci, chi scappatu appena avia /
di l’ugna di un gattazzu attacaliti, //
loccu loccu mischinu si ni jia /
ntra un lagu pri passarisi lu scantu; /
vivi, e li baffi ammoddu s’arricria. //
La testa affaccia di lu lippu ntantu /
na grossa giuranazza chiacchiaruna, /
lu smiccia e ci partìu cu lu so cantu: //
Oh tu, chi cca ti purtau la to furtuna, /
dimmi cui si’? Di quali razza scinni? /
rispunni a tonu a un Re di curuna. //
Re granni, e forti sugnu, si ‘un lu sai; /
a li Giurani Populi cumannu /
e quantu è ‘nfunnu e ‘nsummu assuggittai. //
Sugnu Arrobbamuddichi, semidei /
l’avi mei foru, ed è Rusicapani /
lu granni auturi di li jorna mei. //
Me matri, la rigina di li tani, /
figghia di lu gran re Scavaprisutti, /
nata e crisciuta ntra li marzapani. //
Dui cosi … pila … ma pri mia ssu travi: /
dui cosi fannu darmi a lu diavulu: /
lu Gattu e un cascittinu senza chiavi. //
Mi cerca notti e ghiornu e a lu strasattu /
mi lu viju scattiari pri darrè, /
né pozzu stari un mumentu distrattu.
un surci, chi scappatu appena avia /
di l’ugna di un gattazzu attacaliti, //
loccu loccu mischinu si ni jia /
ntra un lagu pri passarisi lu scantu; /
vivi, e li baffi ammoddu s’arricria. //
La testa affaccia di lu lippu ntantu /
na grossa giuranazza chiacchiaruna, /
lu smiccia e ci partìu cu lu so cantu: //
Oh tu, chi cca ti purtau la to furtuna, /
dimmi cui si’? Di quali razza scinni? /
rispunni a tonu a un Re di curuna. //
Re granni, e forti sugnu, si ‘un lu sai; /
a li Giurani Populi cumannu /
e quantu è ‘nfunnu e ‘nsummu assuggittai. //
Sugnu Arrobbamuddichi, semidei /
l’avi mei foru, ed è Rusicapani /
lu granni auturi di li jorna mei. //
Me matri, la rigina di li tani, /
figghia di lu gran re Scavaprisutti, /
nata e crisciuta ntra li marzapani. //
Dui cosi … pila … ma pri mia ssu travi: /
dui cosi fannu darmi a lu diavulu: /
lu Gattu e un cascittinu senza chiavi. //
Mi cerca notti e ghiornu e a lu strasattu /
mi lu viju scattiari pri darrè, /
né pozzu stari un mumentu distrattu.
2. Daja, curaggiu, un sautu, senza scantu;
/
Vossia si affuncia tanticchiedda ‘ngruppa /
e nun haja timuri, chì l’agguantu. //
Navigheremu cu lu ventu 'n puppa /
e a casa mia vossìa sarà sirvutu, /
si mi voli onurari, di na zuppa. //
Chi gran piaciri lu starìnni a moddu! /
Chi bellu friscu! Ma l'occhiu a la spiaggia, /
ma strittu aggrancicavasi a lu coddu. //
Oh comu ci passau lu squinci e linci /
quannu si vitti comu un puddicinu /
nzuppatu, e cchiù nun teni, e cchiù nun finci. //
Ammatula ziu ziu grida dd'armuzza. /
A la fini c'un repitu picchiusu, /
affrittu affrittu e l'occhi a bannidduzza //
dissi li quasareddi, attirantau, /
dui tri caucicchi, quattru cincu ziddari, /
fici ziu surdu surdu … ed aggragnau.
Vossia si affuncia tanticchiedda ‘ngruppa /
e nun haja timuri, chì l’agguantu. //
Navigheremu cu lu ventu 'n puppa /
e a casa mia vossìa sarà sirvutu, /
si mi voli onurari, di na zuppa. //
Chi gran piaciri lu starìnni a moddu! /
Chi bellu friscu! Ma l'occhiu a la spiaggia, /
ma strittu aggrancicavasi a lu coddu. //
Oh comu ci passau lu squinci e linci /
quannu si vitti comu un puddicinu /
nzuppatu, e cchiù nun teni, e cchiù nun finci. //
Ammatula ziu ziu grida dd'armuzza. /
A la fini c'un repitu picchiusu, /
affrittu affrittu e l'occhi a bannidduzza //
dissi li quasareddi, attirantau, /
dui tri caucicchi, quattru cincu ziddari, /
fici ziu surdu surdu … ed aggragnau.
3. Giovi
‘ncelu affacciatu a un finistrinu, /
ch’avia darrè l’arcova, si li guarda, /
ridi e a li Dei mannava un aguzinu. //
Poi ridennu: ora vaja chi s’av’a fari? /
Di vuiautri, o li Surci o li Giurani, /
chisti o chiddi cui pensa d’ajutari? //
Incaricarni poi di ssi pidocchi /
nun è cosa pri nui, chi ni fa onuri; /
sbattissiru ssi rusicafinocchi. //
Perciò si misi 'n tonu: Olà, picciotti, /
Chi si fa? Lu pistuni feti d'agghia. /
Finìu, dd'affritti cori sunnu cotti. //
E dittu fattu nta ddu 'nguirri 'nguarri /
di l'affritti Giurani ausiliari /
certi truppi mannau di spartisciarri. //
Ottu pedi e ‘nta dui c’è cuncirtata /
na tinagghedda, e tintu cui ci ‘ncappa. /
E poi, ch’è bella poi, dda caminata!
//
E ‘nzumma, pirchì alcunu nun li scanci /
e forsi
si smidudda e sfirnicia, /
li canuscemu tutti: eranu
Commento al post su facebook
RispondiEliminadi Flora Restivo:
E' stato un gran bel momento Si è fatto cultura in modo non pesante, ma estremamente gradevole nella sua profondità.
Conoscevo da tantissimo Tore Mazzeo, persona di grande eleganza, spirito e cultura che mi dimo strò sempre affetto e considerazione, ma, attraverso il suo lavoro, l'impegno di Scalabrino, l'apporto incisivo di Alberto Noto, in tanti hanno potuto conoscere anche la parte colta e profonda delle opere del poeta Calvino, da sempre nota ai più come poeta licenzioso.
Si etichetta sempre con troppa facilità.
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