La stanza del mare
Quattro televisori quattro in una stanza, accesi frontalmente alle quattro pareti, se ti poni al centro ne riesci a vedere tre, al quarto darai le spalle, per vederlo ti devi girare, su ogni televisore la stessa scena con quattro personaggi diversi: sono di spalle mentre esplorano il mare che si vede e si sente col ritmico sciabordio dell'onde davanti ai loro occhi.
Tu li guardi, ma loro ti danno le spalle perché stanno guardando il mare: siamo in Turchia e queste quattro persone non hanno mai visto il mare.
Anche in Sicilia accadeva, pur essendo un'isola.
Mentre guardano e ti stanno dando le spalle tu, superato il primo impatto di attesa e quasi di disappunto per tanto sgarbo e un po' di monotonia da parte del regista, tu cerchi di immedesimarti in loro pensando cosa potrebbero pensare all'inedita vista del mare.
Dalla sagoma e dall'abbigliamento cerchi di immaginare queste quattro persone.
Ti crei un'aspettativa dell'identità e della loro reazione.
Finalmente si girano, lentamente, e tutto quello che hai pensato al posto loro lo trovi confermato o disconfermato dall'espressione del volto, dallo sguardo.
Tre aggettivi possibili: pieno rilassato raggiante.
Ma soltanto tre, e il quarto?
Ti giri verso il quarto schermo e un volto rude dal dolcissimo sguardo si sta asciugando gli occhi con un fazzoletto bianco.
Cerchi conferme di emozioni e pensieri negli altri personaggi dopo che hanno visto il mare ma li trovi di nuovo di spalle perché sono sempre le stesse scene in una sequenza ciclica.
Le hai già viste.
Te ne vai.
Ma per gli altri visitatori dopo di te sarà la prima volta. Altri pensieri. Altre aspettative. Nuove scoperte. Non solo di chi guarda il mare per la prima volta.
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