domenica 18 agosto 2013

SCIASCIA E LA NOCE. IERI




Da Racalmuto alla «Noce»: i luoghi di Sciascia

Monsig. Vescovo di Siracusa concede 40 giarni d'indulgenza a chi reciterà un Ave Maria inanzi o dietro dietro la chiesa di Nostra Signora del Refugio. Anno D.NI 1701.

Questa iscrizione, sormontata da una Vergine col Bambino, si legge sulla mattonella di maiolica murata nella casa di campagna del volterrino Leonardo Sciascia, alla "Noce", una ridente contrada di ulivi e ulivi e di vigneti distante da Racalmuto (Ag) appena cinque chilometri.

II pellegrinaggio, in realtà, c'e stato, anzi una vera processione di variopinto popolo, ma non per recitare "un Ave Maria innanzi o dietro la chiesa di Nostra Signora del Refugio" bensì per andare a bussare alla porta dello scrittore che tale processione in verità non ha mai disdegnato.


Altri schisti, di zolfo rilucente, provenienti dalle vicine miniere, avevano ravvivato la sua fantasia di ragazzo:
quelli che incielavano una fantasmagorica grotta nei pressi della sua casa di campagna, trasfiguratasi col tempo in favolistico ricordo. Apparteneva ai Matrona, possidenti blasonati, che nelramministrare il paese hanno ben meritato dotandolo del mattatoio e di un teatro; il loro gusto di vivere, la loro signorile eleganza, Seiascia.non cesserà di ammirare.


«Tutto sommato» ha scritto riconoscente «devo ai Matrona questo mio rifugio in campagna: poiché mio nonno, loro fedelissimo elettore, volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra nella stessa contrada, edificandovi una casetta».


Accanto a quella atavica, in gesso, troppo piccola, lo scrittore ne farà costruire un'altra, più grande, dal prospetto sobrio, arredata con semplicità: al pianterreno, accanto al camino, un filiforme salottino di vimini per accogliere ospiti e visitatori, stampe d'autore alle pareti, il bastoniere affollatissimo dietro la porta (preziosi e ricercatissimi, i bastoni), una credenza a vetri carica di libri, la sua foto in compagnia di Borges. Al piano superiore. Le altre stanze e lo studio ancora più severamente arredato.

La casa è nell'alto e 1'intornia la campagna, fiorente una volta di aristocratiche palme e magnolie, siepi di rose e d'oleandro, corbezzoli e giuggioli, nobilitata dall'ottocentesca villa dei Matrona, ora, molto democraticamente, ammantata di vigneti ad est, verso Canicattì, e ad ovest, verso Porto Empedocle, dove all'orizzonte, nei giorni di sereno, luccica il mare. Fuori dalla finestra dello studio, dunque, il verde: riposante, sonoro; dentro, gli attutiti echi del mondo con le sue polemiche, il ronzio del condizionatore, libri, e il ticchettio cadenzato della macchina per scrivere.

Per raggiungere questa raccolta "postazione", dov'egli dalla abituale dimora palermitana arrivava sempre in taxi, non era difficile, ma per scrupolo Sciascia stesso ne darà puntuale - e amorevole - indicazione all'ennesimo visitatore: 



«... venendo da Palermo, dopo la stazione ferroviaria di Aragona Caldare, bisogna prendere la strada per Favara e, quasi subito dopo, quella per Caltanissetta. A sette-otto chilometri un a tabella dice "viadotto Noce", bisogna rallentare per imboccare una stradetta sulla destra (c'e un segnale d'incrocio e una freccina che ormai illegibilmente dice "Noce"): e a 500 metri, sulla sinistra, c'e un cancello da cui si entra e si sale alla casa (bianca e rossa, piuttosto brutta) che sta in cima alla collinetta»


(cit. in G. Dioguardi, Ricordo di Leonardo Sciascia, Rovello 1993).




Molti andavano dritti alia Noce, solo qualcuno meno frettoloso si soffermava, di passaggio, in paese, a visitare i luoghi sciasciani, quelli descritti nelle Parrocchie di Regalpetra dove Sciascia è nato e cresciuto, dove è andato a scuola, ha insegnato e passeggiato: imprescindibili dalla sua formazione umana e intellettuale, dai suoi esordi letterari;
ha qui respirato la cultura degli uomini portata dallo scirocco che, per dirla con Malaparte, fete di formaggio. Comunque, a scanso della retorica dei luoghi, non il Castello chiaramontano né le chiese settecentesche né la sequela delle ondulate colline hanno ispirato oziosamente il giovane Sciascia poeta, quanto piuttosto i crucci e le sofferenze storiche ch'egli "leggeva" nei volti e nel passato della sua gente.

In una premonitrice poesia intitolata Ad un paese lasciato rivela:

Mi è riposo il ricordo dei tuoi giorni grigi, 
 delle tue vecchie case che strozzano strade, 
 della piazza grande piena di silenziosi uomini neri. 
Tra questi uomini ho appreso grevi leggende 
di terra e di zolfo, oscure storie squarciate 
dalla tragica luce bianca dell'acetilene. 
E 1'acetilene della luna nelle tue notti caime, 
nella piazza Ie chiese ingramagliate d'ombra;
e cupo il passo degli zolfatari, come se Ie strade

coprissero cavi sepolcri, prof ondi luoghi di morte. 

Cosi scriveva nel '52, poco più che trentenne; nel '59 si sarebbe trasferito a Caltanissetta e avrebbe lasciato definitivamente il paese: vi sarebbe ritornato, è vero, ma sempre più raramente/ man mano che la prodigiosa avventura letteraria ne dilatava gli interessi e lo proiettava tra Palermo e Roma, Milano e Parigi. Rifugiandosi alla Noce, durante i riposanti ritorni, si sarebbe sottratto all'angustia del paese ma anche al suo concreto vivere. II paese di cui parlerà negli ultimi anni sarà un paese fantasticato, un tema letterario, una sorta d'archivio da cui trarre suggestioni e spunti. Alla compattezza e organicità delle originarie Parrocchie, allo scandaglio storico di Morte dell'Inquisitore, seguiranno schegge affettuose della memoria e reminiscenze linguistiche in Kermesse e Occhio di copra.

L'effettivo riavvicinamento al "borgo natio" avverrà di riflesso, sull'onda della fama, delle dichiarazioni d'amore rese pubblicamente quasi a sanare una voluta appartenenza, la identificazione tout court. I racalmutesi ricominceranno a percepirlo come una presenza viva e familiare, come uno di loro, anche se le sue apparizioni in paese e i suoi passeggi saranno legati all'ufficialità e rappresenteranno rari avvenimenti.

Alla sua morte, materializzeranno la sua immagine in una statua di bronzo che lo immortala mentre passeggia, collocandola nel corso principale, di fronte alla Matrice, persona fra persone, monumento tra monumenti. 
E tra le polemiche, ovviamente, di chi riterrà eccessiva quella presenza e di. chi la intenderà come un risarcimento per la lunga assenza.



Piero Carbone, Da Racalmuto alla "Noce": i luoghi di Sciascia, "La Nuova Tribuna Letteraria, anno VIII, n. 49, Gennaio-Marzo 1998.


Una precisazione. 

Quando mi arrivò la rivista e lessi all'ottava riga "volterrino" invece di "volterriano" come avrei voluto, per quel diminuitivo che poteva apparire sminuente e poco rispettoso, mi venne un brivido pensando alle reprimende che ne potevano provenire, ma me ne feci una ragione e dormii sonni tranquilli perché in fondo lo stesso Sciascia nella fase della maturità contemperò la vulgata del suo laico e razionale volterrianesimo con esplicite precisazioni e buone dosi di sentire pascaliano.

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