martedì 1 maggio 2018

L'ANTENATO DEL MESE DI MAGGIO. Ce lo racconta Nino Russo


Ringrazio l'amico Nino Russo
 per la disponibilità  a condividere anche con i frequentatori del blog
 Archivio e Pensamenti le sue chicche linguistiche 
che attingono alla sua grande cultura e rimandano alle nostre radici. P. C.

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CHICCHE PALERMITANE
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Il Primo Maggio 
di 
NINO RUSSO

Nino Russo, al centro,
 con gli amici dell'Associazione Parco e Castello di Maredolce
al Teatro Brancaccio di Palermo (novembre 2017)


Intanto, perché maggio si chiama così?
Perché in latino il nome del mese era MAIUS, nome che è rimasto, con la perdita della “s” finale, nel nostro dialetto - noi diciamo U MIS’ ‘I MAIU. E perché i romani lo chiamavano MAIUS? Perché era il mese sacro a MAIA, dea della fecondità e della rinascita primaverile della natura. Il giorno esatto della festa era il Primo Maggio.

Quel giorno i sacerdoti sacrificavano a Maia una scrofa gravida come segno augurale della fertilità della terra.
Il porco era chiamato MAIALIS perché animale sacro a MAIA, e la cosa è arrivata fino a noi, che chiamiamo il suino in due modi: porco e maiale.

La religione cristiana avrebbe poi attribuito il maiale a sant’Antonio abate.

A Palermo e in Sicilia si credeva un tempo che il Primo Maggio uscisse dall’inferno una legione di diavoli, che infestavano l’aria provocando con il battito delle loro ali un gran vento.
Con questa credenza superstiziosa i palermitani, i siciliani, si spiegavano lo strano fenomeno per cui il Primo Maggio fa puntualmente brutto tempo e c’è un vento fastidioso.
A Palermo le donne non preparavano il consueto pane di casa perché, dicevano, i diavoli lo facevano ammuffire e lo riempivano di papule.

A Bompietro, paese dell’entroterra palermitano, noto tradizionalmente per le sue buone salsicce, gli abitanti mangiavano aglio per appestare l’aria e fare fuggire i diavoli che non tollerano, come si sa, l’odore dell’aglio.

A Palermo il Primo Maggio del 1746 si cominciò per disposizione del Senato a lastricare il Cassaro da Porta Nuova ai Quattro Canti.
Nacque allora il detto AMMOLA I BALATI RU CASSARU, cioè leviga le basole che lastricano il Cassaro. Si diceva dei disoccupati e dei perdigiorno che vi passeggiavano oziosamente.
ph ©piero carbone

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