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sabato 1 dicembre 2018

SOGNANDO IL LAGO DI MAREDOLCE CHE VERRÀ. Un valzer e tanti "sognatori"






Dal lago sgorgano note

Questo valzer nasce come idea musicale quale omaggio, augurio e auspicio per l'antico e futuro laghetto di Maredolce, pensando a non solitarie barchette contemplative, galleggianti sul riflesso di Monte Grifone come una volta, alle rincorse di immaginati aironi, ai volteggi nel cielo delle rondini tra l'acque dolci del lago, l'agdal: il giardino di aranci e limoni, e il Palazzo paradisiaco di Giafar. E goderne ancora. Anche questo è Palermo. 

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Sarà Agdal

Sarà sarà sarà Agdaal
L’acqua un giorno verrà

Vedrà vedrà vedrà Giafaar
L’acqua un sogno sarà

 Godrà godrà godrà Balaarm
L’acqua sarà realtà

L’acqua un sooogno 
del laaago sarà

dolce lago d’amooore
dolceee fluirà

domani noooo siiii
dal Grifone ridiscenderà

domani noooo siiii
Maredolce  di prosperità

©piero carbone





MAREDOLCE: Ideologia
di 
Raffaele Savarese
(postato su facebook 21 ottobre 2018)

Pochi sanno, perché troppo giovani o poco informati, che i resti del laghetto di Maredolce sono durati sino agli anni sessanta. In altre parole il quadro di Cairoli illustrato nella mostra del 1985 presentava una situazione che sostanzialmente è durata sino al “sacco di Palermo.

Dopo le varie opere di bonifica necessarie per il fatto che la città aveva bisogno di nuovi spazi agricoli per gli orti la grande palude di maredolce fu ridotta ad un piccolo bacino (demaniale) posto tra la chiesa di san Ciro (nostra signora di tutte le grazie) e gli archi del “belvedere” erroneamente conosciuti come archi della sorgente.
In questo bacino e nelle sue adiacenze siano agli anni sessanta del novecento si allevavano le anguille ed i ragazzini suscitando le ire degli addetti ai lavori ci si facevano il bagno.

Questa realtà non può e non deve essere nascosta da paure burocratiche e sogni di casta.

Da sempre le associazioni culturali ed ambientalistiche hanno riproposto il ritorno del bacino lacustre sia come segno del restauro del più importante complesso ambientale ed architettonico della città, sia come porta d’ingresso alla città stessa rispristinando un’atmosfera di sogno che da sempre ha caratterizzato la nostra città per l’uso dell’acqua che trova elementi comuni non solo con la civiltà romana e bizantina, ma principalmente per Maredolce con la cultura ambientale che dalla Persia o Iran giunge sino al Marocco la cui cultura urbana ha moltissimi lati comuni con la città di Palermo proprio iniziando da quel grandioso fatto ambientale che è la catena dell’Atlante che cinge la città di Marrakesch. 
Inutile aggiungere che i leoni dell’Atlante (ancora esistenti) sono quelli rappresentati nelle coreografie ruggeriane.


Il ritorno dell’acqua nel bacino di Maredolce significa trasformare un fatto puramente archeologico in un fatto pubblico che interessa la vita di migliaia di abitanti.
Significa dare ai bambini e ragazzi di Brancaccio un bellissimo luogo dove divertirsi, giocare ed esercitare in piccolo anche attività “difficili” quali il canottaggio. Significa dare agli abitanti tutti un luogo di promozione sociale e non un semplice incentivo ai fast food o altri centri di rapina per un turismo mordi e fuggi.


Contro quest’ipotesi di rinnovamento urbano e sociale che peraltro ha anche una componente non indifferente nel recupero delle risorse idriche, si alza sempre più consistente la paura del “nuovo” da parte dei vari centri di potere che sanno perfettamente di non poter controllare un parco di questo tipo in quanto patrimonio della popolazione: unica forma in cui un parco simile può essere mantenuto e promosso.


Oltre i colpevoli silenzi, le omissioni ed il muro di gomma del dissenso dissimulato, non è stata fatta una sola obiezione che abbia validità scientifica, artistica, ambientale, architettonica alla reintegrazione del bacino lacustre.


Nella realtà il problema si riduce al terrore di portare le acquisizioni sino al (compreso) monte Grifone e san Ciro, al terrore di dover progettare un parco di uso pubblico che salvaguardi il bene storico ed archeologico garantendo l’uso pubblico per le fasce più deboli e/o svantaggiate, al terrore di garantire un uso pubblico che sia veramente tale e che quindi permetta lo studio, la contemplazione, il gioco, lo sport a tutti i cittadini di Palermo e non ad una autoproclamatisi elite.



Sarebbe quindi utile che le obiezioni al ripristino del lago assumano consistenza scientifica (ove ciò sia possibile) e siano pubblicamente discusse in contraddittorio. 

Altrimenti è evidente l’imposizione di preconcetti e la chiusura a riccio di chi dovrebbe promuovere il benessere della città e dei cittadini.




Per l'Associazione Castello di Maredolce si può fare

Da Repubblica:




Maredolce, recupero lumaca tra abusivismo e lavori bloccati


"Intanto, in attesa che qualcosa si smuova, i visitatori non potranno accedere al parco per motivi di sicurezza. «Il recupero totale del sito però non è impossibile ».

È quanto sostiene Domenico Ortolano, presidente dell'associazione Castello di Maredolce: «Con un investimento di quindici milioni di euro — ha detto Ortolano — si potrebbe ripristinare l'intera area, riempire di acqua il lago, recuperare l'antica diga, completare il restauro del palazzo e pensare agli ultimi espropri ». L'antico agdal, il giardino storico simile a quello di Marrakech, rischia dunque di essere lasciato nel dimenticatoio. Eppure vi fu un tempo in cui, con i normanni, visse il massimo splendore." Paola Pottino






30 giugno 2017
Premio Scarpa della Fondazione Benetton
Seminario Internazionale









ph ©piero carbone




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Il castello di Maredolce in uno spot di tre minuti
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giovedì 25 aprile 2013

"AMAMI, ALFREDO" O TI SPARO









Nelle feste religiose non possono mancare i fuochi d'artificio e la banda musicale; in quelle importanti di bande musicali, dette semplicemente "musiche", se ne "chiamano" due, facendole venire anche da paesi lontani, anzi, più è lontano il paese di provenienza tanto più prestigiosa è ritenuta la "musica".

 

Della festa alcuni aspettano soltanto la musica "a palco", si portano le sedia da casa o all'impiedi e si piazzano per tutto il tempo a inebriarsi di note, di arie, canticchiando, assecondando gli assolo, gli andanti, muovendo la testa, tamburellando con le mani, girandosi a destra e a manca per chiedere riscontro  con le ciglia inarcate e la testa obliqua a chi gli sta vicino. Ma la troppa passione può sfociare in altro.


Immaginiamo un dialogo tra due amanti della musica, sostenitori di due bande diverse, di due repertori diversi. Ma c'è poco da immaginare perché quello che è successo a Montedoro nei primi del Novecento sembra surreale, e chissà come sarà stato interpretato dalle signore londinesi a cui il racconto era destinato.

 

Materia del contendere: il diverso programma musicale delle due bande che suonavano a palco, e possiamo immaginare, questo sì, che nel sostenere la superiorità della verdiana aria "Amami, Alfredo"  all'altra belliniana "Casta diva", qualcuno abbia veramente perso la testa e non ci abbia visto più dagli occhi. 

Che per la musica si arrivi a tanto, durante una festa religiosa per giunta, sembra la negazione sia della musica che dovrebbe ricreare l'animo sia della festa religiosa che dovrebbe innalzare gli spiriti. 

E purtroppo non soltanto con la musica e la religione avviene di negare una cosa per il troppo presunto amore nel sostenerla.





Dal libro Vicende e costumi siciliani, pubblicato da Louse Hamilton Caico a Londra, in inglese, nel 1910 e tradotto e pubblicato in Italia soltnto nel 1982. Capitolo "La festa di San Giuseppe".

Dopo il primo pezzo, chiesta ed ottenuta l'autorizzazione del sindaco, si diede il via al grandioso gioco pirotecnico preparato su di una intelaiatura di legno appositamente costruita all'inizio della discesa, proprio dinanzi alla chiesa.

Durò a lungo, silenziosamente ammirato e apprezzato dalla folla che ora sciamava nella piazza, mentre le due bande si alterna­vano nell'esecuzione di allegre musichette, le improvvisate banca­relle continuavano a fare affari, le lanterne oscillavano rivelando le forme graziosissime delle rudimentali bilance e, nell'ombra, scintillavano gli occhi vivaci e i denti abbaglianti nei visi da arabi dei miei compaesani.



Spentosi in ciclo l'ultimo razzo colorato, il concerto ebbe inizio. Non c'era neanche un valzer nel programma e manifestai la mia delusione; si andò subito a cercare il "procuratore" che venne spedito dal capobanda per richiederne uno da parte mia. Il mio desiderio venne subito esaudito e mentre la banda lo ese­guiva - devo dire alla perfezione - echeggiarono degli spari e vidi la folla fuggire in tutte le direzioni.

Il Sindaco, che nei piccoli paesi è anche capo delle guardie, si precipitò fuori dal casino seguito da suoi cugini, gli altri uomini di casa ci spinsero dentro chiudendo le grandi porte-finestre, per paura - dissero - che una pallottola potesse raggiungerci, in piaz­za le donne e i bambini si dispersero urlando, e la banda sospese il suo pezzo. Ero eccitata e curiosa anche se capivo che qualcosa di brutto era accaduta. 

A poco a poco cessarono le grida e la con­fusione, e un uomo, qualcuno che abitava in un paese vicino, arrivò trafelato a portarci il resoconto dell'accaduto. Due "fo­restieri", di Serradifalco, un paese vicino, nella foga della loro lite a proposito delle due bande e dei due programmi di musica, avevano estratte le rivoltelle e fatto fuoco, per fortuna senza fe­rirsi. Il sindaco li aveva già consegnati tutti e due ai carabinieri perché li arrestassero e ora si dirigeva verso di noi, perfettamente calmo e controllato.
Riportammo fuori le sedie, la folla dispersa riappariva, dapprima timidamente, dagli angoli delle strade checonfluivano in piazza e poi, sempre più disinvolta, ricominciò ad affluire in piazza, i musicanti che nel frattempo erano rimasti pazientemente a sedere aspettando che il piccolo contrattempo fosse risolto, attaccarono un pezzo brillante e un'armoniosa atmsfera di festa riebbe il sopravvento.




Finito il concerto, il capobanda di Canicattì, a cui tanto piaceva chiacchierare, tornò a farci visita, e, fra i complimenti tutti, restò con noi fin dopo mezzanotte.

Ora la grande piazza bianca, fino a poco prima cosi affollata e rumorosa, si apriva ai miei occhi deserta e silenziosa nella luce dolce di una notte piena di stelle; di nuovo tutto era pace e quiete, e, a dirvi la verità, non mi dispiaceva affatto che la festa di San Giuseppe fosse finita.



Foto di Loise Hamilton Caico.

http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/01/non-scappo-dalla-sicilia.html