sabato 28 giugno 2014

LA SECONDA VITA DI DANILO DOLCI





Ieri ci sono stato: il 27 giugno alle ore 21, presso il Cinema Vittorio De Seta di Palermo (Cantieri Culturali della Zisa) è stato presentato il film documentario "Dio delle Zecche, storia di Danilo Dolci in Sicilia" regia di Leandro Picarella e Giovanni Rosa, prodotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia - Sede Sicilia, in collaborazione con Regione Sicilia, Sicilia Film Commision, Mibact, DPS, Sensi Contemporanei, Comune di Palermo, Cantieri Culturali della Zisa e Labirinto Visivo.


Presenti alla proiezione alcuni dei numerosi figli  e alcuni testimoni dell'esperienza di Danilo Dolci in Sicilia.  Intensa la testimonianza del figlio En che vive in Svezia e ritornato in Sicilia appositamente nelle fasi di elaborazione del documentario e ieri della proiezione. Numeroso il pubblico.


Danilo Dolci ho incominciato a conoscerlo soprattutto come poeta attraverso la raccolta di poesie Il limone lunare acquistata in una bancarella dei libri usati, ma l'avventura di questo sociologo triestino va conosciuta per altro, soprattutto perché la Sicilia e i siciliani che ha aiutato a crescere hanno un grande debito di gratitudine nei suoi confronti e una colpa da farsi perdonare: averlo pressoché dimenticato.  Lui, detto il Gandhi siciliano, ha lottato per i siciliani, per gli analfabeti, per gli ultimi. Questo docufilm segna l'inversione di tendenza?



A me rimane il rammarico di non averlo incontrato personalemte come desideravo, sarei dovuto andarlo a trovare a Partinico con Francesco Carbone, ma rinvia oggi, rinvia domani...   


Sono uguali due rondini
se non sei rondine:
due occhi uguali non esistono.

Due alberi uguali non esistono,
fiori uguali, due petali
 due canti uguali,
due toni.

Due albe uguali non esistono,
tramontiuguali, due stelle,
ore uguali,
attimi







Danilo Dolci,  Limone lunare. Poema per la radio dei poveri cristi, Laterza, Bari 1970. 


PEDALINO E BUTTITTA A SALSOMAGGIORE


Erano  amici, sodali e compari.


Articolo di Salvatore Di Marco in
"Giornale di poesia siciliana" a. II n. 6 giugno 1989


venerdì 27 giugno 2014

DIVERTISSEMENT CIRCA IL RIFERIRE FATTI (ALTRUI) E IL DISCUTIBILE CRITERIO DELLA VERITÀ 




Particolare ingrandito della foto




A VOLTE PUÒ SEMBRARE VERO, MA... SE A PARLARE È UN MERLO!


"Per come la cosa è stata raccontata ad Antonio Ferrari ("Corriere della Sera" di lunedì 4 ottobre), sembra vera. O meglio: sembrava vera. Vera, almeno, per colui che la raccontava: che era l'ingegnere Francesco Naselli Flores...".

Sembrava. E sapete perché? Perché a Sciascia tocca analizzare la testimonianza dell'ingegnere secondo il quale, anche se aveva un nome e un titolo di tutto rispetto, il merlo, regalato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, suo cognato, sarebbe stato ammaestrato a dire "Ciao Carlo, morirai".

Un tale racconto fatto in privato agli amici o al bar ha un certo valore e può suscitare consenso o ilarità, ma reso pubblicamente o ufficialmente o addirittura offrirlo a un procuratore della repubblica, come presunta prova o inerpicante indizio, è un'altra cosa: c'è poco da ridere e molto da ponderare.

Infatti, continua Sciascia nella sua analisi del merlo parlante, "l'indomani, l'ingegnere ha smentito questa così chiara e inequivocabile dichiarazione. 'Il merlo', ha precisato, 'dice chiaramente - Ciao Carlo - . Ma poi aggiunge un suono indistinto che l'ingegnere a volte interpreta come - morirai -, ma che agli altri familiari resta indistinto'."

Sciascia, insomma, ne deduce l'inverosimiglianza e addirittura l'inopportunità di questo ricorso al merlo per spiegare la genesi e le conseguenze di fatti ben più importanti e ramificati.

Così conclude: "Non si capisce, però, perché abbia parlato del merlo: e al procuratore della repubblica".

Già! Perché? Forse per condurre altrove? Ad altri le allotrie o "lofie" conclusioni.

Qui non si voleva  andare chissà dove. 

Voleva essere semplicemente un divertissement.










Le citazioni sono tratte dall'articolo di Leonardo Sciascia pubblicato sul "Corriere della Sera" dell'8 ottobre 1982, riportato nel volume A futura memoria, ora in Opere 1984-1989, a cura di Claude Ambroise,  Bompiani, Milano 1991, pagine 804 e 805 passim.

Foto:  archiviopierocarbone
Foto scattata da mio fratello Gianni,  in occasione della mostra  di Nicolò D'Alessandro  inaugurata durante il periodo della Festa del Monte del 1988. La mostra è stata sponsorizzata dal Circolo di Cultura presieduto da Gregorio Casodino.

NAT COME UN MITO, ANZI, UN ANTIMITO




Nat Scammacca, Antigruppo 73 ed Ericepeo 

di

Marco Scalabrino


Nat

Nella sua complessità di uomo, artista, sognatore, attraverso la cima del monte caro alla divina Venere, Nat Scammacca (Brooklyn 1924 - Erice 2005) è ormai consegnato al mito, alla storia della letteratura, siciliana, italiana e internazionale. Sta, adesso, agli studiosi, ai letterati, alla critica leggere, studiare, pronunziarsi sul valore di ogni suo singolo lavoro e sulla globalità delle sue innumerevoli ed eterogenee opere.


Opere che (prendendo le mosse dal suo ripudio di ogni establishment politico, economico, culturale, di ogni regime e di ogni guerra) spaziano dagli elzeviri sul ruolo della poesia e dei poeti nel contesto della nostra società (pezzi divulgati, sin dalla metà degli anni Sessanta, sulla Terza Pagina del settimanale TRAPANI NUOVA) ai volumi di poesia, di narrativa, di traduzione, di saggistica, gli iniziali pubblicati sotto l’egida della CELEBES di Costantino Petralia e de IL VERTICE di Carmelo Pirrera, quindi dalla editrice TRAPANI NUOVA e dalla Cooperativa ANTIGRUPPO e, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, in collaborazione con la Cross Cultural Communications del poeta ed editore newyorkese Stanley H. Barkan. Solo a mo’ di esempio, citiamo alcuni titoli: A lonely room, del 1966; Una possibile poetica per un Antigruppo, del 1970; Bye Bye America, del 1972; ANTIGRUPPO 73 e ANTIGRUPPO 75; Nuova poesia scozzese, del 1976; Due Mondi, del 1979; Sicano l’Americano!, del 1989; Ericepeo voll. I, II e III del 1990; The Hump, del 1994; Three translators of poems by Duncan Glen, del 2001.

Allorché, nel 1997, alla Biblioteca Fardelliana di Trapani, presentai la mia silloge PALORI, invitai, fra gli altri, Nat e Nina Scammacca, la cui fama mi era giunta da tempo ma che non avevo, prima di allora, mai avuto l’occorrenza di contattare; e Nat (lo ricordo tuttora seduto nelle file di mezzo e affianco a lui un altro grande, il Maestro pittore Mario Cassisa), con mio stupore e mia gioia, venne.

Fu l’inizio di uno schietto e solido rapporto di amicizia e di collaborazione. Tramite Nat e Nina, e la loro fitta rete di contatti, ho conosciuto: Ignazio Apolloni, Pietro Attinasi, Stanley e Bebe Barkan, Enzo Bonventre, Florence e Gaetano Cipolla, Nino Contiliano, Anthony Fragola, Flavia Gatto, Duncan Glen, Stanley Kunitz, Peter Thabit Jones e altri, e con parecchi di loro ho intrattenuto poi proficue relazioni che nel tempo sono sfociate, nell’ambito delle traduzioni, nella realizzazione di progetti dagli esiti assai soddisfacenti.

Nat e Nina mi hanno introdotto in diversi ambiti culturali locali e internazionali, perché entrambe erano con naturalezza le loro dimensioni, e ho avuto (grazie a loro) il piacere e l’onore di partecipare al secondo Convegno Internazionale sulla Origine Siciliana dell’Odissea, tenutosi a Trapani e a Marsala nel corso dell’anno 2000.

Dal 1997 al 2005, l’anno della sua scomparsa, insieme a Mariapia, mia moglie, e a Ester, nostra figlia, ho frequentato assiduamente la villa di Nat e Nina Scammacca, il loro salottino, la loro veranda, unitamente ai loro familiari e a taluni amici storici, sono stato fra le persone che più gli sono state vicine e frequenti sono state le nostre conversazioni (i temi delle quali variavano, con disinvoltura, dalla letteratura alla storia, dalla politica all’economia, dalla memoria all’attualità).



Antigruppo 73

Nat e Nina, come per ognuno che a loro si accostava nel nome della poesia, ci aprirono, senza alcuna remora e senza nulla a pretendere in cambio, se non la nostra autenticità e la nostra correttezza, la loro casa e i loro cuori e, un passo dopo l’altro, abbiamo costruito la conoscenza, il rispetto e l’affetto reciproci. Nel corso dei nostri incontri, inoltre, ci fecero omaggio di tanti impagabili tesori. Rammento, con emozione, il pomeriggio nel quale Nat mi fece graditissimo e insperato dono dei due monumentali volumi di ANTIGRUPPO 73 e quella volta in cui mi volle fare omaggio, altrettanto gradita, di una copia del cofanetto contenente i tre volumi di Ericepeo.

ANTIGRUPPO 73 ed Ericepeo sono, appunto, i due lavori di Nat sui quali, in via sintetica, mi soffermerò.

ANTIGRUPPO 73, Giuseppe Di Maria editore, senza prezzo, con introduzione di Vincenzo Di Maria e presentazione e coordinamento di Santo Calì, è composto da due grossi tomi, dimensioni cm. 22 x 31. Per complessive 1200 pagine e 4 chili e mezzo di peso circa, sono stampati su carta gialla spessa e ruvida (per intenderci quella nella quale si avvolgeva, nel dopoguerra, la pasta, quando questa si vendeva sfusa).

Giusto quella carta perché, siamo nel 1972, una partita di essa (ce ne vollero oltre quattro tonnellate, dichiara Vincenzo Di Maria), all’epoca non più richiesta dalla industria del settore la quale aveva ormai soppiantato la tradizionale fabbricazione e distribuzione artigianale, venne acquistata più a buon mercato rispetto ad ogni altra.

Perché, come, con quale concezione editoriale - ci interroghiamo - è nata quest’opera?

“L’Antigruppo nacque, con questa denominazione - sovviene in nostro aiuto la testimonianza di Nat Scammacca da me racolta nel gennaio 2001 - nell’anno 1968, sulla nave che da Palermo raggiungeva Ustica. Ad Ustica, appunto, Ignazio Apolloni, Crescenzio Cane, Pietro Terminelli e Nat Scammacca tennero il loro primo recital di poesie e quelle poesie furono poi scritte sui muri delle case dei pescatori di quell’isola. La pubblicazione del volume ANTIGRUPPO 73, da tempo programmato, non riusciva, nonostante ogni buon proposito, a decollare.

Ci fu, a Palermo, in via Libertà, un incontro fra Pietro Terminelli e Nat Scammacca, durante il quale Scammacca si propose di provarci.  Terminelli acconsentì e accordò a Scammacca tre mesi. Il patto fu siglato con una vigorosa stretta di mano. Nat Scammacca andò pertanto, a Linguaglossa (CT), da Santo Calì e gli prospettò di prendere lui le redini della pubblicazione dell’antologia. A due condizioni: 1) la costituzione, fra i poeti partecipanti all’iniziativa, di una Cooperativa che sarebbe divenuta l’Editore del testo; 2) che ogni autore avrebbe dovuto sostenere i costi di stampa in proporzione al numero delle pagine impegnate. Santo Calì accettò e da quel momento (e con lui Vincenzo Di Maria, suo amico) divenne militante dell’ANTIGRUPPO. Di Maria [si è appena asserito] possedeva già la carta e quella dunque fu, ma Nat Scammacca riuscì a imporre il titolo al libro: ANTIGRUPPO 73.”

Ciò precisato, dalla presentazione di Santo Calì, che assume la forma di una lettera scritta a Lawrence Ferlinghetti, leggiamo: “Caro Ferlinghetti, Nat Scammacca mi ha detto: bisogna approntare un libro degli Antigruppo in Sicily, con agganci in USA, che faccia conoscere ai contemporanei e tramandi ai posteri, quanto noi abbiamo operato e operiamo per lo smantellamento delle baronie culturali nell’isola … urlando - sulle piazze, nei cantieri, nelle scuole - la nostra rabbia proletaria.

Seguendo i consigli di Nat, mi sono messo perciò all’opera. Antigruppo 73 sarà il primo libro pubblicato in Italia con una formula cooperativistica.” “Io non volevo - certifica nella sua introduzione Vincenzo Di Maria. - Ma provate ad opporvi ai toraci di Nat Scammacca, di Pietro Terminelli e di Crescenzio Cane, alla subdola e satanica arte magica del folletto Santo Calì!”

Dai ragguagli fornitici da Scammacca, Di Maria e Calì, cogliamo e mettiamo in risalto un importante dato: l’asse culturale Trapani - Catania di quel movimento e il fatto che la spinta prima che determinò la nascita di quell’opera (la quale, lo si voglia o no, è destinata, comunque, a rimanere nella storia della nostra letteratura) fu data, alle falde del Monte Erice, da Nat Scammacca e trovò fausta sponda e formidabile rimando, alle falde del vulcano Etna, ad opera di Santo Calì. Assieme con tutti gli altri, ma prima di tutti gli altri, Scammacca e Calì sono dunque, in questo senso, da annoverare.


All’epoca della nostra conoscenza la vicenda dell’ANTIGRUPPO, quella formidabile esperienza targata ANTIGRUPPO, era già da tempo cristallizzata. E nondimeno, dalla voce di Nat, dai testi che egli mi ha girato e dalle letture che ho fatto, ho appreso un po’ di quel movimento, ho familiarizzato un po’ con taluni dei protagonisti di quella irripetibile epopea: fra loro, Santo Calì, da molti considerato fra i poeti dialettali siciliani più validi e singolari del ‘900; e assieme con lui Franco Di Marco, di suo felice narratore e quindi eccellente traduttore in italiano dei testi degli stessi Calì, Scammacca e di altri poeti statunitensi, con i quali Scammacca intratteneva fervide relazioni, personali e culturali.

Antigruppo 73 vol. 1 si apre con La ballata di Yossiph Shyryn di Santo Calì, corredata dalle grafiche di Sebastiano Milluzzo, ballata stampata, postuma, nel 1980 e in seguito, in una nuova edizione, nel 2001. Fra gli autori presenti nel primo volume (che contiene altresì la riproduzione di pagine del TRAPANI NUOVA, de LA SICILIA, di grafiche di Nicolò D’Alessandro, di Tono Zancanaro, di Ernesto Treccani, eccetera) figurano: Ignazio Apolloni, Vincenzo Di Maria e Danilo Dolci, i cui testi sono impreziositi dalle immagini di Renato Guttuso; e ancora Santo Calì, con una serie dal titolo riassuntivo e significativo LA PAROLA È SANTA, ovvero suoi testi in dialetto siciliano con traduzioni in italiano a cura di Giuseppe Zagarrio; Fiore Torrisi, che si avvale dei disegni di Santo Marino; Franco Di Marco, che offre un resoconto sul terremoto del Belice del 1968 e un paio dei suoi più noti racconti: UN MARE D’ORO e LUCIO E L’ACQUA. E poi Carmelo Pirrera, Nicola Di Maio, Gianni Diecidue, Salvatore Camilleri, che propone otto suoi testi in dialetto siciliano con traduzioni in italiano, dal titolo cumulativo QUATTRO COPPOLE. Altri nomi che vi ricorrono sono quelli (naturalmente) di Nat Scammacca, di Rolando Certa, di Pietro Terminelli, di Crescenzio Cane, di Ignazio Buttitta, di Elvezio Petix, di Salvatore Giubilato, di Irene Marusso, di Roberto Roversi. Eloquenti alcuni titoli: Rivoluzione, Primo maggio, Portella della ginestra, Luglio proletario, Retorica di sangue, eccetera.

Vi trovano, parimenti, spazio le riproduzioni dei manifesti relativi ai ciclostilati e ai recitals POETI IN PIAZZA: a Termini Imerese, il 26 Ottobre 1969; a Mazara del Vallo, il 14 settembre 1969, il 23 Agosto 1970 e il 29 Agosto 1971; a Paceco il 23 Novembre 1971, dove l’ANTIGRUPPO si esibì unitamente a Rosa Balistreri, “la voce più struggente e autentica di una Sicilia dolorante e umiliata, ma viva nella sua fierezza e nella sua dignità”. Si fa inoltre riferimento alla settimana (della quale si è detto) della poesia murale, svoltasi a Ustica nell’estate del 1968. In chiusura del volume, vengono riportati i testi di alcuni poeti Antigruppo già diffusi sul TRAPANI NUOVA (periodico sulla cui Terza Pagina, Scammacca espose i suoi “famosi” Ventuno punti per una possibile poetica antigruppo): Leonardo Sciascia, Luigi Fiorentino, Giuseppe Addamo, Antonino Uccello, Antonino Cremona, Eliana Calandra, Franco Manescalchi, Mariella Bettarini, Lucio Piccolo ed Emanuele Mandarà.
Antigruppo 73 vol. 2, pure esso contraddistinto dalle grafiche di Sebastiano Milluzzo, prende avvio con una doverosa notazione: “La realizzazione di questa antologia di impegno poetico ANTIGRUPPO 73 si deve soprattutto alla appassionata fatica dello scrittore Santo Calì. Quando, nella notte fra il 15 e il 16 dicembre 1972, egli è venuto a mancare, questo secondo volume era tracciato nelle sue linee essenziali. Ci è stato possibile portarlo a termine grazie alla vedova Natalia, che ha messo a nostra disposizione le carte del marito.”

All’iniziale racconto di Vincenzo Di Maria, segue la presentazione, sempre a cura di Santo Calì, che assume nuovamente la veste di una lettera, stavolta rivolta a Roberto Roversi: “Caro Roversi, questo libro-non-libro, ANTIGRUPPO 73, vuole essere una registrazione in atto della nostra attività di poeti, scrittori, artisti e saggisti operanti nelle estreme propaggini del Mezzogiorno d’Italia. L’attività è viva; a volte intemperante. Non di rado fanatica. Provocatoria sempre. E perciò soggetta spesso a scontrarsi con le forze ottuse della più bieca reazione.” Ad essa si accompagna una seconda lettera, indirizzata questa a Cesare Zavattini: “Credimi Zav, ANTIGRUPPO 73 non è un libro di cultura. E nemmeno una antologia di scrittori e poeti che possa fare testo. Ma, in fondo, chi può mai dire in che consiste la cultura?” Fa seguito una silloge di Nat Scammacca, dal titolo provvisorio SICILY, e daccapo si ripetono la riproduzione di pagine del TRAPANI NUOVA, del GIORNALE DI SICILIA, de Il MANIFESTO, de L’UNITA’, de LA SICILIA, de L’ORA, nonché le immagini di Sebastiano Milluzzo, oltre a quelle di Nunzio Sciavarrello, di Graziella Paolini, di Cina Mulè, di Guglielmo Volpe, di Franco Cardile, di Andrea Carisi e di altri.

Fra gli autori alla ribalta di questo secondo volume: Elvezio Petix, Crescenzio Cane, Rolando Certa, Pietro Terminelli, Federico Hoefer, Lawrence Ferlinghetti (con testi in inglese e traduzione in italiano di Nat Scammacca), Salvatore Giubilato, Giuseppe Zagarrio, Ignazio Navarra, Fiore Torrisi, Enzo Bonventre, Cesare Zavattini (con testi in dialetto emiliano e traduzione a fronte in italiano), Roberto Roversi, Vanni Ronsisvalle, Antonio Corsaro, Antonino Cremona (sia con testi in italiano che con testi in dialetto siciliano e traduzione in italiano in calce). Sintomatici anche qui taluni titoli: La contestazione; Napalm!; Nord e Sud; Che Guevara; Sicilia pecora sgozzata, eccetera.

Nel rievocare (perdonate questa breve digressione) i nomi di Antonio Corsaro, di Antonino Cremona, di Elvezio Petix e prima di Salvatore Camilleri, ai quali potremmo aggiungere quelli di Paolo Messina, Pietro Tamburello, Nino Orsini, Carmelo Molino, Aldo Grienti, Salvatore Di Marco, Salvatore Di Pietro e altri, mi sovviene (e potremmo aprire un altro intrigante capitolo) la straordinaria stagione, fra il 1945 e il 1958, denominata RINNOVAMENTO DELLA POESIA DIALETTALE SICILIANA; ma, sarà magari per la prossima volta.

Ritornando ad Antigruppo 73 vol. 2, fra le pagine 640 e 641, sono allocate (dovrete fidarvi, ancorché non le vedrete) trenta fitte facciate, tutte bianche. Un vero e proprio inserto, a cura di Rolando Certa, denominato IMPEGNO ANTOLOGIA, entro il quale sono inclusi, fra gli altri, i testi di Ignazio Butera, Giuseppe Addamo, Ignazio Buttitta, Salvatore Costanza, Rafael Alberti, Orazio Napoli e Mariella Bettarini. Dalla pagina 641, si riparte, in carta gialla, con gli elaborati di Francesco Battiato, corredati dalle illustrazioni di Mimì Lazzaro, e di Emanuele Mandarà, per chiudere con Robert Bly e i suoi testi in inglese e traduzioni in italiano di Franco Di Marco illustrati da Garigliano.

Principale organo di diffusione delle idee Antigruppo, oltre, a Palermo, agli interventi di Apolloni, Perriera e Terminelli e, a Mazara del Vallo, a IMPEGNO 70 di Rolando Certa, fu, dal 1968 al 1991, il TRAPANI NUOVA, edito a Trapani. E, a proposito di localizzazioni, risulta agevole tracciare una essenziale mappa del movimento Antigruppo all’epoca: Trapani, con Nat Scammacca e Franco Di Marco; Catania, con Santo Calì, Vincenzo Di Maria, Alfredo Bonanno e Fiore Torrisi; Mazara del Vallo, con Rolando Certa; Castelvetrano, con Gianni Diecidue; Palermo, con Ignazio Apolloni, Crescenzio Cane e Pietro Terminelli; Firenze, con Franco Manescalchi e Mariella Bettarini; Bologna, con Roberto Roversi, ai quali vanno sommati nomi e luoghi dei tanti altri poeti e artisti menzionati.

Risulta evidente per quanto esposto (ma ribadirlo non guasta) che Antigruppo 73 non furono due volumoni che raccolgono solamente componimenti diversamente poetici; tutt’altro! Questi, chiaramente, ci sono e sono ben cospicui. Ma, fianco a fianco ad essi (nello spirito antagonista dell’opera, la quale ha voluto rappresentare, tanto nella unità degli intenti quanto nella distinzione delle voci, la visione del mondo di ognuno di quegli autori variamente engagés, provocatori, alternativi, antiretorici, libertari, convinti tutti che l’arte possa incidere nei processi della realtà, della società, dell’esistenza), altri variegati registri, linguaggi, espressioni, coesistono: la narrativa, la pittura, la grafica, il giornalismo, la fotografia, il ciclostilato, la lettera, la cronaca, i manifesti culturali, il pensiero politico, i documenti di solidarietà, l’atto di denuncia del degrado socio-economico della Sicilia e persino un dossier circa la vicenda incresciosa di Alfredo Bonanno, arrestato nel 1972 a Catania per reato di opinione.

Un’opera corale, dunque, un’opera militante, volutamente disomogenea, fuori dal coro, schierata, che sfugge, vuole sfuggire a qualsivoglia etichetta di genere, nella quale pensiero, estetica e impegno si fondono, e che, nelle presenze, nelle proposte nonché nella “geografia” allineate, smentisce, di fatto, la taccia di provincialismo del movimento che la ha generata.

Da rimarcare la circostanza che ben due religiosi sono presenti fra tanti “marxisti”: don Antonio Corsaro e Frate Attilio. Don Antonio Corsaro, per inciso, fu professore di lingua e letteratura francese nella Facoltà di Magistero all’Università di Palermo e, già nel 1957, aveva redatto l’introduzione e le note critiche della Antologia, a cura di Aldo Grienti e Carmelo Molino, POETI SICILIANI D’OGGI, Reina Editore in Catania; antologia che raccoglie, in meticoloso ordine alfabetico, i testi di diciassette autori: Ugo Ammannato, Saro Bottino, Ignazio Buttitta, Miano Conti, Antonino Cremona, Salvatore Di Marco, Salvatore Di Pietro, Girolamo Ferlito, Aldo Grienti, Paolo Messina, Carmelo Molino, Stefania Montalbano, Nino Orsini, Ildebrando Platamia, Pietro Tamburello, Francesco Vaccaielli e Gianni Varvaro. Antologia che, assieme con quell’altra: POESIA DIALETTALE DI SICILIA, a cura del Gruppo Alessio Di Giovanni, con prefazione di Giovanni Vaccarella, Palermo 1955, fu antesignana del Rinnovamento della poesia dialettale siciliana, al quale si è prima fatto cenno.


Ericepeo I, Ericepeo II, Ericepeo III

“Questi tre volumi, Ericepeo I, Ericepeo II, Ericepeo III, - scrive Scammacca nella sua introduzione - non rappresentano la scelta dei miei testi migliori. Alcuni componimenti, infatti, direi non sono poesie, ma per me hanno l’importanza della documentazione della mia attività degli ultimi venticinque anni e, dunque, meritano posto in questa pubblicazione. Il mio populismo tende alla “inclusione” e perciò, in questi volumi, si troveranno oltre ai disegni illustrativi degli artisti, molte fotografie della famiglia, di coloro che si riconobbero nell’Antigruppo e dei partecipanti al 1° Convegno Internazionale “The Sicilian Origin of the Odyssey” e di tanti altri amici.”

Ericepeo, dimensioni (normali) cm. 13 x 20, carta paglierina, con testi in inglese e in italiano, venne pubblicato dalla Cooperativa Editrice ANTIGRUPPO Siciliano, da IL VERTICE e dalla Cross Cultural Communications, nel 1990. Il volume I, denominato Poesie di famiglia e di natura 1980 - 1989, è contrassegnato invero dai dipinti di Gnazino Russo; il volume II, denominato Poesie filosofiche e metafisiche, dai disegni di Nicolò D’Alessandro; il volume III, denominato Io Antigruppo, dai disegni di Salvatore Salamone. Ma foto, dipinti e disegni, tutti in bianco e nero, vi sono disseminati in grande quantità e, fra essi, richiamiamo: Motonave Saturnia: Nina, Nat e Arleen (appena nata); Nat al Passaic County Community College; Nat con Franco Di Marco e Maria Gillan; il bellissimo volto di Nat, in copertina del volume II.


Io lessi immediatamente il trittico. Impegnato e ironico, tenero e pragmatico, libero e “pazzo”, innamorato della Sicilia e di Erice, Nat Scammacca (si leggano, per esempio, al riguardo i testi: My friend Dick, Cucuzzi, The male asserts himself, Boasting, My conscience, The dog is lying at my feet, Wrists, A sicilian song, Tomorrow, The “littorina”, I too shall look at the stars, Turning), solleva, in buona sostanza, nelle sue opere, il problema che arrovella gli intellettuali di ogni tempo e di ogni latitudine: il perché della esistenza dell’uomo; si chiede se e cosa c’è oltre!
All’insaputa di Nat, scelsi e tradussi in dialetto siciliano venti di quei testi. Chiesi quindi a Franco Di Marco di stendere una prefazione e, ricevutala, feci pubblicare, nel 1999, dalle Arti Grafiche Corrao in Trapani, il volumetto (appena 48 pagine) POEMS PUISII.

Vi afferma argutamente Franco Di Marco: “Credo che abbia mosso Scalabrino il desiderio di rendere omaggio al poeta di lui più avanti negli anni e con una solida fama alle spalle, testimoniandogli solidarietà e ammirazione.” E, nel merito della traduzione, annota: “Scalabrino si mantiene fedele al testo, deviando solo quando la traboccante ricchezza lessicale dell’idioma siciliano quasi ve lo costringe.

Nella poesia La me cuscenza, benché disciplinatamente dentro il testo inglese, egli sa estrarre dal prezioso scrigno figurazioni come gruppa / rascati di lu cannarozzu. Nella breve C’è troppu picca tempu, “the pain of the seasons” evolve in una pena che incide molto più profondamente: lu castìu di li staciuni. Dentro l’allucinata Littorina, “we sit” diventa semu aggiuccati, perché la condizione di miseria, superando ogni limite d’umanità, è diventata bestiale (aggiuccàrisi nelle parlate della Sicilia vale appollaiarsi, il sistemarsi dei volatili, specie le galline, l’accovacciarsi dei quadrupedi in genere).

 Per Tramuntu, pur nell’assoluta aderenza al testo inglese tanto da conservare finanche alcune rime baciate, Scalabrino sapientemente accoppia voci siciliane: muscia, modda, tracodda (da tracuddari ovvero tramontare. E anzi cuddata è dalle nostre parti il tramonto, piuttosto che tramuntu). In Puisia d’amuri, quell’“attonished”, che in italiano verrebbe fin troppo facile tradurre “attonito”, Scalabrino volge in alluccutu, che rende molto più l’idea: quella di una sorta di allocchito, completamente rintronato. L’intento comico dell’originale è, inoltre, potenziato da un prorompente buttana di la miseria, che traduce un generico “damn it”.

E concludiamo con una ultima, congruente notazione di Nat Scammacca: “Il termine Ericepeo incorpora due parole del trapanese. Esso congiunge il Monte Erice con il Lago Cepeo”




Foto fornite da Marco Scalabrino