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sabato 15 giugno 2019

FONDAZIONE "VEDOVA" A VENEZIA. Visite reali e visite virtuali

Girando, o girovagando, per Venezia, una vetrina e una locandina tra le tante hanno attirato la mia attenzione, erano legate entrambe al nome del famoso artista Emilio Vedova, all'omonima Fondazione e a una mostra in corso. 

Purtroppo non sono riuscito a visitarle, tutto non si può in un paio di giorni, visitai però una installazione ai Magazzini del sale: al ritorno a Palermo  avrei appreso che erano collegati alla Fondazione Vedova, ma avrei appreso tante altre cose, virtuose, su come è organizzata e cosa fa la Fondazione  Emilio e Annabianca collegandomi al sito https://www.fondazionevedova.org di cui vale la pena riportare alcune schermate. 

Ancora di più avrei capito cosa è una Fondazione culturale scaturendone l'ovvia considerazione che ci sono Fondazioni e Fondazioni quando non sono, come conia qualche malalingua, azzeccando, affondazioni.

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Foto n. 1, 2, 3, 4, 5 ©piero carbone

Le altre immagini sono ricavate in screen shot dal sito https://www.fondazionevedova.org


venerdì 22 febbraio 2013

CUMPARI BEDDU. Ignazio Buttitta scrive a Giusepppe Pedalino





Giornale di poesia siciliana a. II n. 1-2 gennaio 2008



            Nella vicenda umana e nella carriera letteraria di Ignazio Buttitta si inseriscono, agli antipodi, due racalmutesi che apprezzano e sostengono  il poeta di Bagheria ai suoi esordi e nel bel mezzo del conclamato successo, uno noto, l’altro molto meno, sono: Leonardo Sciascia che nel 1972 scrisse la prefazione a Io faccio il poeta,  e Giuseppe Pedalino Di Rosa che lo sostenne agli esordi.


Quest’ultimo, compare del Buttitta per averne battezzato il figlio Pietro, fu poeta e notaio, fondatore e direttore della rivista “Aretusa” (ottobre 1931), nonché rappresentante di primo piano dell’Associazione Nazionale Amici della Poesia Dialettale, che aveva sede a Milano nel Corso Monforte al numero civico 14 e adunava fraternamente, o meglio sarebbe dire programmaticamente, i poeti siciliani della diaspora.



            Il gruppo lombardo, che aveva in Pedalino, Alfio Fichera e Vincenzo de Simone i rappresentanti più autorevoli, fu molto attivo negli anni Trenta del secolo scorso: corrispondeva non solo con i poeti dialettali  siciliani ma anche con quelli delle altre regioni d’Italia e stranieri. 

E’ stato un intreccio umano e letterario su cui la critica solo da poco ha incominciato ad indagare: non saranno poche e di poco rilievo le esperienze e le “sorprese” in cui si imbatterà, come ad esempio la corrispondenza  intercorsa tra Giuseppe Pedalino Di Rosa  (Racalmuto1879 - Merate 1957) e, per limitarci all’ambito letterario, Armand Godoy, Pierre Vermeylen, Luigi Natoli, Vanni Pucci, Turi Ingrasia, Giuseppe Nicolosi Scandurra, Mario Grasso, Salvatore Di Pietro, Salvatore Camilleri, Ugo Ammannato, Giuseppe Denaro, Pietro Tamburello e…  Ignazio Buttitta (Bagheria1899 - 1997).



            La corrispondenza è ricca di notizie e indizi: il trentaduenne Buttitta discorre di poeti e di poesia con disinvolta autorevolezza adottando quell’impasto linguistico inconfondibilmente “buttittiano” che riscontreremo nella poesia della maturità: è da notare come dal confidenziale e idiomatico dialetto trapassi di colpo ad un asciutto ed esatto italiano quando discorre di vicende editoriali, accademiche o di altre strategie organizzative e promozionali.


Il maturo Pedalino, con registro linguistico più uniforme, cerca di indirizzare poeticamente il giovane compare ma poi sancisce rassegnato l’avvenuta divaricazione poetica (Non discuto. E’ questione di gusti etc. etc.), nonostante le affermazioni contrarie (E da rosignolo (Voi) e da merlo… (io) cantiamo all’Infinito della bellezza, della giustizia, della fraternità e della verità.)
            Racalmuto, 30 ottobre 2007
                                                                                                 P. C.


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3.8.31
            Cumpari beddu

            Vui putiti,  pinsari; ma pirchì nun m’ha scrittu ddu malacunnutta di me cumpari. La curpa nun è tutta mia; ora vi dicu: Vui sapiti ca c’è un cuncursu di puisia a Catania, un cuncursu mpurtanti fattu di lu giurnali lu  “Populu di Sicilia”.
Iu pi l’amuri d’accumpariri, trattannusi ca c’è mpegnu forti di tutti li pueti, mi misi d’intenzioni e pi na dicina di jorna nun haiu manciatu. Lu me travagghiu nun fu pirdutu, scrissi ‘na cosa di granni valuri e nun haiu dubbiu di la vincita. Scrissi la - Cavalleria Rusticana – in versi libiri, ma nni lu me lavuru, di la “Cavalleria” di Verga, c’è sulu lu mutivu, lu restu è una creazioni diversa e tutta mia.
            Pi lu primu nummaru di – Aritusa – ti la fazzu pubblicari.
E’ ‘na cosa assai bella; si voi ti la mannu macari ora; ma sinu a quannu nun si sapi lu risurtatu, tu nun l’hai a pubblicari.
Pi cuntu di chiddu chi ti raccumannu assai, assai è lu materiali, la rivista àvi significatu nnuminali, e nun avi a mancari a la so mpurtanza. Per il materiale, rivolgiti a persone di competenza.

            Nella cesta della frutta ti misi un volumetto del prof. Santangelo, al quale potrai indirizzare la corrispondenza all’Università di Palermo. Il Santangelo è uno studioso di valore, leggi quanta competenza in quella bellissima prolusione.

            Per il dialetto provenzale, rivolgiti a Mario Grasso – presso Banco di Sicilia – Acireale: un giovane valoroso e buon traduttore di poesia provenzale – è un mio vecchio amico. Se vuoi pubblicare poesia dialettale di altre regioni italiane, io potrò fornirti di tutti gli indirizzi. Per conto alla nostra poesia: Attenzione! Lu curuzzu miu è ‘mpintu ddocu – ma chiddi nun li capiscinu ssi cosi. Io desidererei avere (per il primo numero) tutto il materiale (poetico e non), tengo che “Aretusa” sia veramente limpida e pura.

            Tardai a mandarti la frutta -  ma ora sarò più attivo e non ti farò mancare niente. Tuttu chiddu chi voi tu dimmillu ed iu ti lu mannu cu tuttu lu cori! – Vituzza chi scrivi puisia, ma chiddi mi parinu ‘mmraculi, o megghiu miraculi di lu Signuri. To figliocciu, quantu è fattu beddu e grasso, nun ti lu pozzu diri.
Ora comincia a ridirmi e a mittirimi l’occhi di supra, ca sunnu comu du occhi d’ancilu.
            Basta – ossequi da parte di mia moglie e nna vasata mia e di to figghiozzu – lu stessu a tò mugghieri.
                                                                                                      Tuo Ignazio Buttitta.

Lu sunettu chi tu mi mannasti, io lu passavu a lu Po’ tu cuntu,; nun sacciu pirchì nun l’ànnu pubblicatu.   
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10.9.1931
            Cumpari beddu,

            Vui pinsati: nca me cumpari nun mi voli beni, pirchì si mi vulissi beni m’avirria a scriviri spissu e dirimi tanti cosi e cuntarimi tanti fatti. Vostru cumpari pensa: Veru c’haiu tanti cosi di fari, ma cchiù tardu haiu a scriviri a me cumparuzzu Peppi, ca criaturi stannu luntanu avi tantu disideriu di sapiri e sentiri cosi nostri. Arriva lu tardu, comu haiu a fari! duvia scriviri a me cumpari e mi mancò lu tempu, ma nenti, dumani ci scrivu. Lu nnumani la solita, ed accussì passanu li jòrna e simani.
            Vui cumpari aviti ragiuni. Nta sti jòrna, haiu pinsatu: a me cumpari ci haiu a scriviri quannu arriva la notizia di lu risurtatu di lu cuncursu. Ora ca lu risurtatu si sapi Vi lu scrivu.
            Fra i 304 concorrenti scelsero una rosa di 30 poeti. Tutti saremo premiati, ma la graduatoria si assegnerà dopo la recita all’arengo. Io andrò a Catania con tutti. Per me questo è il secondo premio dopo quello del circolo della stampa.
            Turi Ingrassia è fra i premiati. Vincenzu De Simone, non fu ammesso (dice il Popolo di Sicilia) perché mandò poesie edite.
            La rivista a che punto è, ti torno a raccomandare il materiale. O pubblicare una cosa bella o non pubblicarla affatto. All’ultimo momento, avvisami, ti manderò o la poesia premiata o un’altra.
            Scusami se non ti ho mandato frutta; l’avrai presto. Nella cesta della frutta, ti mandai un volumetto di una prolusione sulla lingua siciliana, fattu all’Università di Palermo dal Professore Santangelo, iniziando una serie di conferenze sulle lingue neolatine. Dimmi se l’hai ricevuto.
            Io sono sempre qui ad attendere tuoi ordini – e cumpari pri cumpari li fazzu cu tuttu lu cori. Mia moglie e comare Vostra oggi è partita per Nizza di Sicilia – suo paese – dopo riprenderà le scuole non si sa dove – io spero a Bagheria. Come vanno tutte le tue cose? La cchiù nica di tutti li ncantatrici di Sicilia: Vituzza Pedalino – comu sta? e la cummari è sempri arrabbiata pri li pazzi pueti? Ah, cummari, chi cosa spittaculusa (dirria Scandurra) è la puisia!! Salutu tutte – Puru a to matruzza chi nun canusciu –
            E ti vasu cu tuttu lu cori –
                                                                                                                                Gnaziu Buttitta   









Giornale di poesia siciliana, a. II n. 6 giugno 1989

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30.8.1951

            Caro Compare Ignazio,
           
            Accludo la prima stampa del zincotipo che sarà riprodotto nel prossimo numero di Convivio, come ho dato istruzioni a Filippo Fichera.
            Dunque, ho letto la poesia vincitrice di Cattolica (Premio presieduto dal deliano Luigi Russo, edizione del 1953. ndr).
            Non discuto. E’ questione di gusti etc. etc.
            In ordine a Voi, Compare, se mi sentite (si mi sapiti sentiri) c’è altra via.
            E tutto così riassumo: Per un vero Poeta, quale Voi siete, c’è l’universale, l’Infinito, c’è il punto di partenza: “il cuore” c’è il punto che sembra di arrivo: “l’Umanità”. Ma anch’essa, l’Umanità, è punto di partenza, perché il tutto è Infinito.
            E quindi noi rifacciamo noi a noi stessi.
            E da rosignolo (Voi) e da merlo… (io) cantiamo all’Infinito della bellezza, della giustizia, della fraternità e della verità.
            Conseguenza: senza odio.
            Io rimango tolstoiano.
            Sono fiero di non avere fatto mai male a nessuno e bene, sì, a chiunque (a lu qualunqui),
            Nel prossimo numero di Convivio si accenna che io, salvo che Pietro non accetti, desidero mio figlioccio Segretario pel centro Italiano di Dialettologia.
            Ma su questo punto egli non mi ha risposto.
            Vorrei che quando saranno costì – in un disco le care Flora e Aurora incidessero il dialogo furbesco in “lu Nguaggiu” “la spiega a nnimma”.
            E quando ci sarà Pietro il primo dei miei “Idilli Sicani” e cioè Pietro ed una delle sorelle.
            Salutatemi la Comare.
            Salutatemi tutti i Vostri.
            Io con Te divento calabrese; ora il Tu, ora il Voi.
            Ma è lo stesso e con lo stesso affetto.
            Baci e abbracci
                                                                                                                aff.mo
                                                                                                         Peppi Pedalino



L'articolo integrale, qui  riprodotto solo parzialmente e in forma pressoché identica, è stato pubblicato  nel 2008 sul primo numero del  rinato "Giornale di poesia siciliana" diretto da  Salvatore Di Marco e patrocinato dalla Fondazione Buttitta di Palermo.

Foto1. propria


http://archivioepensamenti.blogspot.it/2012/08/il-poeta-notaio-di-racalmuto_26.html


domenica 26 agosto 2012

IL "POETA NOTAIO" DI RACALMUTO




                                                                                                                    

“Mio caro Peppino...la tua opera merita d’essere incoraggiata perché desta dal letargo molti poeti.”. Così Salvatore Di Pietro da Catania scriveva a Giuseppe Pedalino Di Rosa il 23 marzo 1950. E il palermitano Turi Ingrassia, quasi vent’anni prima, esattamente il 12 dicembre del 1931 così gli si rivolgeva: “Lu Maggiu di Maria a Te, caro Peppi, te lo giuro sulla vita dei miei figli: Ti consacra grande poeta di Sicilia nostra”.

Ora, viene da chiedersi, come mai un tal personaggio che svegliava dal letargo i coetanei non ha avuto lo stesso potere sui posteri che l’hanno quasi del tutto dimenticato? Il cinquantenario della sua morte è stata un’occasione propizia per cercare di tirarlo fuori da quello che Salvatore Di Marco definisce “l’archivio ignorato della dismemoria”. E’ meritorio che La Fondazione “Buttitta” di Palermo abbia ristampato di recente Lu cantastorii ‘n’America pubblicato per la prima volta a Milano nel 1929, per le Edizioni Siculorum Gymnasium.

L’iniziativa  che lega la Fondazione  Buttitta a Pedalino Di Rosa richiama il legame che c’è stato a suo tempo tra Pedalino Di Rosa e il poeta di Bagheria. “Cumpari beddu, - gli scriveva il giovane Ignazio Buttitta il 3 agosto  del 1931, - Vui putiti,  pinsari; ma pirchì nun m’ha scrittu ddu malacunnutta di me cumpari. La curpa nun è tutta mia; ora vi dicu: Vui sapiti ca c’è un cuncursu di puisia a Catania, un cuncursu mpurtanti fattu di lu giurnali lu  “Populu di Sicilia”. Iu pi l’amuri d’accumpariri, trattannusi ca c’è mpegnu forti di tutti li pueti, mi misi d’intenzioni e pi na dicina di jorna nun haiu manciatu. [...] Scrissi la - Cavalleria Rusticana – in versi libiri, ma nni lu me lavuru, di la “Cavalleria” di Verga, c’è sulu lu mutivu, lu restu è una creazioni diversa e tutta mia. Pi lu primu nummaru di – Aritusa – ti la fazzu pubblicari. [...] Tardai a mandarti la frutta -  ma ora sarò più attivo e non ti farò mancare niente. Tuttu chiddu chi voi tu dimmillu ed iu ti lu mannu cu tuttu lu cori! [...] To figliocciu, quantu è fattu beddu e grasso, nun ti lu pozzu diri. Ora comincia a ridirmi e a mittirimi l’occhi di supra, ca sunnu comu du occhi d’ancilu”. Il figlioccio, di battesimo, cui si fa riferimento è Pietro, secondogenito di Ignazio. “...mi ritrovai tra le braccia di un uomo a me tanto caro, Giuseppe Pedalino”, scriverà Pietro Buttitta nel 1951 rievocando la propria fanciullezza.

La corrispondenza con Ignazio Buttitta non è l’unica sorpresa che salta fuori dall’interessante epistolario: esso annovera i nomi di Armand Godoy, Pierre Vermeylen, Luigi Natoli, Alessio Di Giovanni, Vanni Pucci, Raimondo Lentini, Giuseppe Nicolosi Scandurra, Mario Grasso, Totò Camilleri, Ugo Ammannato, Peppino Denaro, Pietro Tamburello, Leonardo Sciascia, don Luigi Sturzo, il cardinale Montini, Giuseppe Saragat, etc.

         Ma chi era questo Pedalino Di Rosa che si firmava semplicemente Peppi Pedalino quando non usava gli pseudonimi Pizzo di Blasco o Emanuele Mendoza?
         Nato nel 1879 a Racalmuto, si è laureato in giurisprudenza all’università di Palermo nel 1903. Subito dopo si trasferì a Milano, dove esercitò prima la professione di avvocato e dopo quella di notaio. Fin dalla giovinezza appartenne al partito socialista, in Sicilia con Peppino Lauricella, a Milano con il gruppo di cui facevano parte, tra gli altri, Pietro Nenni ed Emilio Caldara.
         Partecipò alla prima guerra mondiale e fu, nel 1919, un sansepolcrista ovvero tra i fondatori dei fasci di combattimento, dai quali tuttavia si allontanò progressivamente fino ad essere “eliminato per diserzione” dal gruppo e dal partito. Durante il periodo dal 1943 al 1945, pur essendo sorvegliato speciale dall’OVRA, mantenne contatti con le formazioni partigiane, collaborando con noti esponenti della resistenza, tra cui i professori Bono e Ventimiglia Guarneri, l’avvocato Maria Caldara, con Paolo Gallo che era cugino di Salvatore Lauricella, il futuro presidente dell’assemblea regionale siciliana.
         Il vero interesse per Pedalino però non fu tanto la politica quanto la poesia, egli fu ponderato poeta e dinamico organizzatore culturale.

         Ha coadiuvato il De Simone nelle edizioni del “Siculorum gimnasyum”; fondato e diretto la rivista “Aretusa”; collaborato con la rivista di Filippo Fichera “Il Convivio”; è stato un rappresentante di primo piano dell’Associazione Nazionale Amici della Poesia Dialettale, che aveva sede a Milano nel Corso Monforte al numero civico 14; ha organizzato memorabili raduni di poeti; ha intrapreso rapporti culturali con poeti dialettali delle varie regioni italiane Con Vincenzo De Simone e Filippo Fichera ha  rappresentato indubbiamente un punto di riferimento per i poeti dialettali siciliani della diaspora ma anche per quelli che vivevano ed operavano in Sicilia .
Il Pedalino si è trovato al centro di un intreccio umano e letterario sviluppatosi  nel periodo fra le due guerre su cui la critica solo da poco ha incominciato ad indagare.

         Per quanto riguarda la propria attività letteraria, nella Strenna della poesia dialettale siciliana del 1937, da lui curata, ebbe a dichiarare: “Scrissi rime d’occasione e pubblicai 5 o 6 volumetti. Superfluo stampare il resto perché l’edito rappresenta una fetta qualsiasi della torta inedita”. Venendo meno al proposito, dopo quella data stampò altri libri, non solo poetici e non solo in dialetto,  molti lavori però restano ancora inediti. Tradusse anche dal francese. Tra i tanti titoli si vogliono ricordare Li lochi santi di lu me paisiFrà Decu La Matina,  Squarcialupo, Re Còcalo  dramma in lingua italiana, indicativi delle principali direttrici della sua poetica: quella nostalgico-religiosa e quella storico-filosofica. Recensendo Lu cantastorii ‘n’America sul periodico di poesia dialettale  “Convivio letterario” del settembre-dicembre 1951, Filippo Maria Pugliese scrive: “Egli è storico della sua terra; filosofo dell’Infinito leopardiano. Cantastorie, sì; ma assai lontano dal suo popolo siciliano; cantastorie passionato della più grande nostalgia della sua terra”.

Da un giudizio che taluno può ritenere eccessivo si trapassa  a un pluridecennale oblio che costituisce in fondo un  eccessivo giudizio negativo o tutt’al più un “non giudizio”, da non giustificare in ogni caso nei posteri la smemoratezza e nei concittadini una polverosa ingratitudine.

Al di là dell’essere concittadini, il valore di un’esperienza poetica o letteraria, non dovrebbe essere apprezzato commisurandolo al successo o al tornaconto, ma in sé, perché arricchisce lo spirito e rende meno vacua l’esperienza umana, con una indubbia ricaduta positiva nelle relazioni interpersonali.

                                                                                          Piero Carbone




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