venerdì 25 dicembre 2015

COMU FU, FU. Poesia in siciliano; con una glossa di Smaragdos


Beati i pacifici...
La beatitudine potrebbe essere una certezza, è sull'essere pacifici che si incontra qualche difficoltà, ma proprio per questo bisogna coltivarne  indefessamente l'aspirazione.

Smaragdos, Lo scornabecco non è un animale. Parainedito



comu fu, fu

“Quisiera esta tarde no odiar,
no llevar en mi frente la nube sombría”.
José Hierro, Quisiera esta tarde nn odiar.

Questa sera non voglio odiare,
non portare sulla fronte la nube oscura.


Li gradi su di fierru e fannu cruci,
diavuli addiventanu l’amici,
ma iu ca sugnu veru omu di paci
fazzu na diedica a tutti li nnimici.
        
Siccomu vuogliu essiri filici,
sapiennu mprevedibili la rota
chi di la vita gira e sempri muta,
mi scuordu lu passatu e forti  dicu:

Abbrazzammuni e po’ cu fici fici.
Vasammuni, già!, cu nn’appi nn’appi.
Raggiuni? Quannu! Chi! Né iu né tu.
Gudiemmuni la vita. Comu fu,
 fu.

©piero carbone 
La poesia  "Comu fu, fu" farà parte della prossima raccolta Nenti ci fa




foto ©piero carbone scattate nei pressi di Barcellona (2010) e a Sciacca (2015)  

giovedì 24 dicembre 2015

QUANNU E' NATALI. Come una sorta di memorandum. Poesia di Piero Carbone.









Oj è Natali.
Almenu pi la fini di l’annu
chiujlu, ti dissi, ssu giornali.
Astutala, la televisioni.

Vidi chi fannu?! Cosi
veri ca parinu finti. Nni mpapocchianu
pi farini accattari.  Cosi finti
ca parinu veri, pi farini scantari. 
Un’opira di pupi! Chiacchiari.
parulazzi tinti.
Arribballanu tanti culi e minni.
Gliommari
 di cuttuni mpidugliatu.
Scrusciu!
E spati nni l’uocchi.
Sbrizzi
 d’acitu nni li naschi
chiusi.
Viju l’onesti jittati
di latu.
L’acitu sbuòmmica
e bbuonu ti mmriàca.
Lu cuttuni d’azzaru chi t’affuca.
L’uocchi sbarracati:
spati e sangu!
Cosi chi sientu!
Si vidinu sceni!
Muorti comu muschi ammunziddrati.
Matri mpazzuti
patri dispirati
calunnii jittati apposta
vilinusi
figli senza curpa
abbannunati.
  
Chiujlu, ti dissi, ssu giornali.
Astutala la televisioni.
Faciemmunillu n paci
stu Natali.

©piero carbone

Contrada Zaccanello, Natale 2015

Questa poesia farà parte della raccolta "Nenti ci fa"

mercoledì 23 dicembre 2015

LUOGHI VOCATI PER VOLARE ALTO CON LA FANTASIA. Caltabellotta


La riflessione in questi giorni viene spontanea: sull'altura di Caltabellotta è naturale ambientarvi il Presepe vivente per il Natale. E come non ricordare la famosa Pace di Caltabellotta?  Questo paese, anni fa, un moderno cavaliere errante, da puro idealista,  generoso editore,  sognatore in proprio, l'aveva eletto a dimora fantasticata delle sue utopie: poi è trasvolato altrove.  Chissà cosa avrà trovato?
E' interessante sapere anche altro. Ce lo suggerisce Enzo Mulè:

"Anticamente si chiamava Inykon, la città più importante dei Sicani, poi Kamikos, sede del re-pastore Kokalos, quindi Triokala, città della Seconda Rivolta degli Schiavi.
Gli Arabi la chiamarono Qal'at al-Ballūt (Fortezza delle Querce).
Oggi Caltabellotta, luogo di miti, leggende, storia unico in Sicilia, è stato definito uno dei 20 paesi più belli d'Italia!"

1.

2.


Caltabellotta suggestiona e ispira. 
Una delle forme in cui si esprimono l'una e l'altra è la poesia, questa l'ho pubblicata nel 1990. 
La forma risente degli acciacchi del tempo, 
ma le suggestioni e i sentimenti che vi sottostanno sono intatti.


screen capture:
Cataviddotta di Ezio Noto


2010, rievocazione della storica Pace del 1302


Carmelo Rappisi mi segnala il corto "La pace di Cartabellotta" girato con Massimo Puglisi, 
quando sarà possibile, avrò il piacere di inserire il link.

1. Foto di Eloisa Aquilina
2. Foto di Enzo Mulè

martedì 22 dicembre 2015

AUGURI DI BUON NATALE, CON SEMPLICI IMMAGINI E UN DESIDERIO




Voglio condividere le nespole augurali
 del mio albero di Natale
con tutti voi





Un semplice Presepe
per meditare sull'essenziale





Il Presepe della foto è scolpito nella canna di bambù da Damiano Sabatino
I frutti dell'albero, in contrada Zaccanello, sono le ultime nespole di Germania o d'inverno
©archivioepensamenti

lunedì 21 dicembre 2015

NOTE DOLENTI FINCHE' IL DOLORE SI SENTE. Ricordando Sciascia e la sua Fondazione

Racalmuto, 27 gennaio 1987.
Acquisto della ex centrale Enel da parte del comune di Racalmuto.
Firma dei contraenti: sindaco Calogero Sardo, ing. Gaetano Speciale.

Note dolenti. Lamenti. Doglianze. Sembrava irriverente quell'incipit di Mario Giordano sul "Giornale" nel 2000: "Più che una Fondazione, è un’affondazione." Invece...

Ognuno celebra a modo proprio le ricorrenze degli autori a cui tiene. Io l'ho fatto nel novembre scorso soffermandomi su Sciascia, o meglio, sulla Fondazione ch'egli stesso ha voluto: mi ritrovo ora a riproporre due note già pubblicate su fb poiché incalzate recentemente da un episodio inaspettato, nel suo piccolo, inquietante: materia pertanto di una terza.  



Sulle ormai "solite" doglianze: ma è rotto il disco  o il giradischi?  

Prima nota

CHI HA “SUICIDATO” LA FONDAZIONE SCIASCIA?
...quando si era appreso che inizialmente la Fondazione “Leonardo Sciascia” era rimasta esclusa dalla tabella H della Regione siciliana che prevedeva un contributo ad alcune istituzioni culturali siciliane, da parte di alcuni sedicenti sciasciani, molto rattristati, si gridò all'abnorme esclusione e si parlò addirittura di “delitto” alla cultura, di “scandalo”.
Ora che quel contributo, come si è appreso da notizie di stampa, successivamente concesso dalla Regione, ma non richiesto da chi di dovere e nei tempi previsti, si è perso, proprio così!, non c’è più, kaputt, si deve parlare di "suicidio culturale", stando sempre all'allegro e consono repertorio retorico? Nessuno scandalo?
Dispiace che questo “incidente” accada a pochi mesi dal coinvolgimento di un nuovo membro nel Consiglio di amministrazione della Fondazione, il giornalista Felice Cavallaro, subentrato per un conclamato rilancio della Fondazione stessa, giuste le attese del Consiglio di amministrazione della Fondazione Sciascia che l’aveva proposto e del Consiglio comunale che pressoché all’unanimità l’aveva votato. Senza volerne indirizzare la paternità scientemente ad alcuno, l’incidente potrebbe ritenersi ingiusto, magari inopportuno. Ma tant’è.
Se lo spirito laico di Sciascia non lo impedisse, per sopperire al contributo regionale andato in fumo, si vorrebbe ricorrere ad una apotropaica invocazione: Dio vede e provvede!

Seconda nota

LA STORIA? UN PASSATEMPO DA ACCANTONARE
Mi riferisco ad una piccola cronaca ma la tentazione del dimenticare vale anche per la grande.
L’esperienza niente insegna? Come vado leggendo in giro, altro che, da superficiali o inesperienti, dimenticare il passato! Se non si capisce quello che è avvenuto in passato, pur con i nomi di grosso calibro che la Fondazione Sciascia ha vantato e le sontuose possibilità che ha avuto, c'è poca speranza per il futuro rischiando di reiterare gli stessi errori sbandierandoli per "magiche " risoluzioni, anzi, non è un rischio ma una certezza com'è documentato non solo dal passato remoto ma anche dal passato prossimo.

https://www.facebook.com/notes/piero-carbone/la-storia-un-passatempo-da-accantonare/10156294874125204




Terza nota (inedita)

Non è colpa dell'abate Meli
Al convegno su Giovanni Meli, tenutosi a Palermo, dal 4 al 7 dicembre di quest’anno, ho incontrato Nino De Vita e Antonio Di Grado, entrambi facenti parte della Fondazione Sciascia di Racalmuto per volontà dello stesso Sciascia; con il De Vita, anche lui tra i relatori, ad un certo punto il discorso cadde naturalmente sulla Fondazione: quando, per sapere direttamente la sua opinione, ho mostrato la mia perplessità che egli, assieme a Giuseppe Traina e Felice Cavallaro, si fosse trovato nella terna proposta dal Consiglio di amministrazione della Fondazione  e che il Consiglio comunale doveva votare scegliendo uno dei tre come da Statuto, visibilmente contrariato, De Vita disse semplicemente che non ne sapeva nulla: era stato proposto nella terna a sua insaputa.

Per le ragioni esposte precedentemente sul web (http://archivioepensamenti.blogspot.it/2015/02/fondazione-sciascia-cavallaro-de-vita.html), avevo ritenuto la terna inopportuna se non proprio impraticabile, ma la dichiarazione di De Vita non solo avvalorava i dubbi sollevati a suo tempo ma il aggravava: come si può infatti proporre il nome di qualcuno ad essere votato per una carica se questi non dà la propria disponibilità? Giuseppe Traina e Cavallaro erano stati avvisati? Erano disponibili, una volta eletti, se eletti?

Avevo temuto che quella terna fosse, per tante ragioni, una "terna di facciata". Che bisogno c'era? Sarebbe stato offensivo per tutti.
Preciso, a scanso di strumentali equivoci: le domande e le perplessità pubblicamente sollevate non vertevano sui singoli nominativi ma sulla opportunità e correttezza della formazione e presentazione della terna stessa formata da, in ordine alfabetico, Felice Cavallaro, Nino De Vita e Giuseppe Traina.

Avevo tralasciato di soffermarmi sui tempi risicati (appena pochi giorni) invece di quelli più lunghi previsti dallo Statuto, nel presentare la terna da sottoporre al voto del consiglio comunale, ma già i rilievi sollevati avrebbero richiesto una risposta, un chiarimento, un riscontro statutario. Invece, niente.

Piuttosto, poco cavallerescamente, alcuni giornalisti e qualche consigliere comunale, a giochi ancora aperti, hanno enfatizzato, con tanto di articoli, la scelta di uno dei tre nella fattispecie del Cavallaro come la più opportuna e proficua. Le dichiarazioni di voto, ammesso che tali avrebbero dovuto essere, vanno fatte in aula non sui giornali.

Ma in generale, ai dubbi e rilievi da me sollevati, è seguito tombale silenzio da parte dell’esiguo nonché superstite consiglio di amministrazione della Fondazione, del sindaco e dell’assessore alla cultura in quanto, rispettivamente, Presidente di diritto e componente pro tempore del consiglio di amministrazione della Fondazione, silenzio da parte del Presidente del consiglio comunale e dei consiglieri della maggioranza e della minoranza.

Per tale silenzio, non volevo incolpare di insensibilità altri, tuttavia ho pensato che la mia voce fosse ritenuta troppo debole per essere ascoltata, ma, per non deprimermi del tutto, ho notato che  non è stata ascoltata neanche la voce del vicepresidente del consiglio: anch’egli ha tentato un iniziale dibattito, ma senza seguito. Ho pensato allora che non si trattasse necessariamente della voce debole di chi parlava ma di udito difettoso in chi ascoltava o avrebbe dovuto ascoltare.

Sul temuto abbassamento di voce, ho scongiurato definitivamente da parte mia il ricorso all’otorinolaringoiatra da quando un importante rappresentante dei consiglieri di minoranza (consiglieri che hanno votato unanimemente insieme alla maggioranza senza battere ciglio) mi ha confidato, abbracciandomi, che, alla luce di quello che è, o non è, avvenuto dopo, in una riunione con i suoi aveva detto chiaro e tondo “ragione aveva il professore Carbone”.

Se non fosse che di mezzo ci stanno tanti nomi e tante cose importanti, pubbliche e non private, avrei potuto uscirmene, serenamente e con distacco, recitando il  detto “e ora mi la mangiu squadata!”.

Ma non l’ho detto, e non lo penso, perché non è giusto che a mangiarsela squadata, a berla in malo modo, siano tutti quelli che, in considerazione del messaggio sciasciano,  hanno creduto nel Progetto Fondazione; non è giusto che a “mangiarsela squadata” sia la comunità che dalla Fondazione avrebbe dovuto essere prestigiosamente rappresentata o la società civile che vi ha investito energie e denari.

Dieci anni di attività della Pro Loco di Racalmuto









Foto fornitemi da Lillo Sardo