mercoledì 8 ottobre 2014

UNA FARFALLA SUL NASO

Appena ieri Marco Scalabrino annunciava su fb l'uscita del nuovo libro con la traduzione di alcuni poeti stranieri da lui prediletti. 
E' stata una vera sorpresa rispetto ai tempi diversamente preventivati. 
Come segno di auspicio di spedito cammino che farà presso un pubblico sicuramente di intenditori e che gli auguro anche vasto,  pubblico la poesia che dà titolo alla silloge ed alcune considerazioni tratte dalla Prefazione. 






Lost son / Lu figghiu persu
di 
Arthur L. Clements

Schizofrenia ... è malatia

di famigghia. R.D. Laing





La campana fa din don

la mucidda è nna lu puzzu

prestu prestu di matina

lu ruloggiu è menzu ruttu.

Addiddì ‘n capu a la luna

cu la jatta e lu cunigghiu

ntra la jaggia so di rina

a cantari na canzuna.



Chi veni a diri tintu? Ju nun ni ci trasu

si na farfalla mi vasau lu nasu. 

Abbrivai l’armaleddu a la campìa

a spizzuliari antìcchia di radici

e chiddu tummuliau nna lu puzzu.


Talia ma’: senza manu!

Traduzione di Marco Scalabrino








SULLE SPALLE DEL DIALETTO
TRADURRE LA POESIA O LE PAROLE CHE LA CONDUCONO?




Una di significato e l’altra di suono sono le esperienze di lettore che voglio portare preventivamente per introdurre il discorso sulla traduzione da varie lingue nel siciliano. 

La prima, di significato. 
Avrei mai potuto capire le poesie cinesi di Mao tze tung senza il travaso in una  lingua  a me comprensibile?

La seconda, di suono. 
Cosa mi sarei perso se non avessi letto, declamato, scandito, seppure nel mio approssimativo e rudimentale spagnolo,  le poesie di Gustavo Adolfo Bécquer,  di Miguel de Unamuno, di Rafael Alberti  e mi fossi limitato a coglierne il significato veicolato dalle sole parole d’inchiostro dell’italiano? 

Que es poesia?... Pasaba arrolladora en su hermosura… Yo soy ardiente, yo soy morena, / yo soy el simbolo de la pasion ; Piensa el sentimento siente el pensamiento…

E come godersi, se non nel suono originario, la poesia di Rafael Alberti incarnata e resa unica dalla voce di Paco Ibáñez, diventata un tutt’uno con le corde quasi strappate della sua chitarra cadenzando las tierras las tierras las tierras de España?  Un suono amplificato, scolpito, incalzato dal ritmo eruttivo, crescente: poesia suono, poesia canto. Un’esperienza unica.






[...]

Parole, suoni, accostamenti: ebbrezze di significato? di emotività?

Il problema, lungi dall’essere risolto in sé, - e basti pensare al crociano interrogarsi su che cos’è la poesia? – si ripresenta in modo più complicato nell’attività del tradurre: cosa rimane nella nuova lingua della vecchia? E non si tratta di una semplice traduzione delle parole, ma, come avvertiva Pound, di tradurre la poesia.

[...]


Sotto la cupola ampia del dialetto, quasi a dire che (il dialetto) non teme cimento, Scalabrino aduna poeti senza limiti geografico-temporali oltreché linguistici: autori di due continenti, di disparate regioni dell’Europa e delle Americhe, che si collocano dalla classicità, Orazio e Catullo, e con uno smisurato balzo, ai nostri giorni, taluni addirittura ancora viventi: Jacques Thiers, Peter Thabit Jones, Iacyr A. Freitas; autori planetariamente noti, Wislawa Szymborska, Charles Bukowski, Edgar Lee Masters, fianco a fianco ad autori scarsamente noti o pressoché sconosciuti in Italia: Duncan Glen, Robert Garioch, Hugh Mac Diarmid. La traduzione talvolta coincide con un’opera di promozione scaturita da una consapevole e coraggiosa assunzione di responsabilità nell’implicito giudizio positivo.

Un paio di loro, benché stranieri, e cioè Nat Scammacca e Peter Russell, risultano sostanzialmente “adottati” dall’Italia e in special modo dalla Sicilia.

“Tutti, nondimeno, autori – precisa il mostro poeta-traduttore - di spessore, di valore, che trovano, tramite questo umile tributo, una ribalta, una piccola finestra per affacciarsi ed entrare a far parte della cultura siciliana.”

[...]

“In effetti, - precisa Scalabrino per non incorrere in “qualche impressione erronea” che potrebbe derivarne - io non pratico e non adopero parole rare o desuete, arcaiche e    dismesse. Tutti i miei termini sono frutto di una lunga, assidua, entusiasta frequentazione del dialetto, di ieri e di oggi, dell’occidente e dell’oriente dell’Isola,    degli studi dei testi di quei poeti, letterati, cultori che nel tempo, nei secoli ormai,          al nostro dialetto hanno votato le loro esistenze.

E comunque, essi sono tutti termini del dialetto siciliano, sono espressioni della bellezza, della dovizia, della duttilità del nostro dialetto, le cui millenarie radici, greche, romane, arabe, eccetera, affondano nella Storia..." [...]






Pur con le dovute precisazioni, quel che conta è di andare ai risultati: con queste parole inedite, ricercatissime, portatrici di suoni lontani, non sempre annunciatrici di sensi scontati, il traduttore-autore compone lo spartito e costruisce la sua sintassi anche di immagini talché il messaggio e il canale che lo porta sono un tutt’uno imprescindibile: quasi per miracolo, dovrebbe ri-creare non solo i significati ma anche il “tono” dell’originario testo poetico e far rivivere l’esperienza dei lettori/ascoltatori dinanzi al testo originario e originale. Lo permette il dialetto siciliano? Una risposta si può ricavare soltanto dall’esperienza personale, puntuale, diretta. A tale scopo si riportano alcuni esempi rappresentativi.

Suoni: Liena; nziccumatu; si capuzza; chiàvichi; siccarizzu; muzzicunari; attangati; bisitusu;  cuegghè; cunfinfara; sustu; bazzarioti; accabaru; guisiniari; sbiddrìanu; sparaggi; làbbisi; l’agghiotta; strèusi; calosci.

Accostamenti e versi: “Bird è vivu!”; lu cileccu di sita e la giammerga; zoccu jisu jisu / prestu prestu si sdisola; nna li vìsciri di la terra; s’ammùstranu nta la ncàgghia virdi di na cerza; siddu ciùcia lu Sciloccu / la to naca si sdirrupa; abbrivai l’armaleddu a la campìa; è un sarvaggiu, nun c’è sculicènzia!; scinnennu a la sdirrutta / cadìu comu paparacotta;  gnissatu a lu spitali; pittau lu pirterra; senza culari na stizza; chi ni dici d’un giru cu la vespa?;  sta littra è tutta un rùcculu; ddu filiceddu di schizofrenia.

Frammenti:  





di ssa tòmita di cori e ossa; 





Certi jorna na vòria lèggia t’accarizza, / 



comu si qualcunu ti ciuciassi a li masciddi, /


comu juncissi d’un muscaloru arrassu; 


senza ana di campari; 


accabbaru arbi e tramunti; 


di lu lettu sistimatu nna lu baddaturi; 


tagghiati a spazzula; 


Si puru stu me cantu strabbudissi.


Traduzione diretta, dal rumeno:

Note de toamnă / Nota d’Autunnu
di George Bacovia: 

È Autunnu attunnu attunnu. /
Chiovi. E sulu l’acqua avi vuci / 
nna sta paci di chiummu / 
chi di ventu alliberta li fogghi.

Traduzione di  traduzioni, dal fiammingo tramite l’inglese: 

Onder water / Sutta l’acqua di Paul Snoek: 

Certi jorna na vòria lèggia t’accarizza,

comu si qualcunu ti ciuciassi a li masciddi, 

e cca e ddà na tinnirizza t’arrifrisca,  

comu juncissi d’un muscaloru arrassu.

Traduzione di  traduzioni, dallo scozzese tramite l’inglese: The big music / La granni musica di Robert Garioch: Victoria Street a Londra, lu nomu e lu postu appàttanu, / na palestra militari hannoveriana,  ncutta a Buckingham Palace, / a li treni chi attraversanu la Manica, a l’autobus pi Edimburgo, / a li spacci pi li surdati e pi li marinari, na ex badia, / na cattidrali, allatu a lu Crazy Gang, a Windsor.

            Traduzione di  traduzioni, dal corso tramite il francese: Nausicaa di Ghjacumu Thiers : Sugnu vecchia. / N’aju vistu passari / picciotti / maravigghi di l’Orienti / cu lu focu a l’occhi. / Sugnu vecchia. [...]


Ritorniamo, così,  a ragionare sulle traduzioni e il tradurre: è possibile col dialetto?  come e in che misura ci riesce Scalabrino?
Questo è il nocciolo dell’operazione del nostro traduttore che, per concedersi più libertà, quasi a non voler rimanere prigioniero di antiche formule e di codificati pregiudizi circa il tradurre, vuol che si parli di “adattamenti”.

Libero dai lacci corti del tradurre (tradurre tradire; bella ma infedele; fedele ma inespressiva; autentici traduttori; fedeli traditori), volendo ridare la “voce” agli autori, con il loro timbro e il loro tono originari, Scalabrino in realtà presta loro la “propria” e come già fa per sé, con i propri componimenti, tende a sfondare la muraglia di senso delle parole correnti e scontate forzandole nel significato attraverso un melange: incastona parole straniere intraducibili, rimodella quelle italiane, ripesca le dialettali desuete, arcaiche, dismesse, a volte non immediatamente comprensibili, anche dure nel suono, scabre nel significato. E se ne serve per  accostamenti stridenti o fin’allora “inauditi”, quasi alla ricerca di una musica nuova come nella  dodecafonia dove nuovo risulta l’impasto musicale pur utilizzando gli stessi strumenti e le stesse note.


Con queste premesse, con questi accorgimenti, con questa accortezza, la traduzione, oggi, nel dialetto siciliano, non è né risulta, come scherzosamente si schermisce Scalabrino, una “insania”: rappresenta bensì un tentativo riuscito che vorrebbe additarsi, senza pretese, si capisce,  come una possibile via da seguire, con l’unico scopo di porre in risalto “la bellezza,  la  dovizia, la  duttilità  del  nostro  dialetto, nonché, pure  nella  sua millenaria storia, la straordinaria modernità, l’innegabile capacità  di confrontarsi tuttora a testa alta, in tutta dignità, armonia, magnificenza, con ogni altra lingua, cultura, civiltà del mondo.”

Un fine grandioso ma “vissuto” con candore se contemporaneamente sa roteare le pupille per farle convergere, divertito, felice, come Arthur L. Clements per distrarsi dalla “schizofrenia… malatia di famigglia”, sulla farfalla che “gli ha baciato il naso”.

La poesia è salva, anzi, è colta. 
Che importa alla fine se in cinese, in rumeno o in siciliano?


Dalla Prefazione a  Marco Scalabrino, Na farfalla mi vasau lu nasu, Edizione Cofine, 2004. In copertina, opera grafica di Leonardo Rocca

Link correlato:
http://www.poetidelparco.it/9_527_Edizioni-Cofine:-il-catalogo-dei-25-anni-(1986-2011).html


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