mercoledì 31 luglio 2013

I POST DEL MESE. Luglio 2013

VIVA VIVA SAN CALÒ?


MODI DI DIRE E MODERNITA'



Viva Viva San Calò

Evviva, evviva san Calogero. 

E' soprattutto l'espressione di un sentimento di venerazione ma è anche un'invocazione.
Inoltre, si dice quando taluno vuole o pretende consenso o pensa che questo consenso sia facile da riscuotere facendo emergere superficialità nel non valutare le difficoltà connesse a qualsiasi iniziativa.

Chiddru voli sempri viva viva san Calò!

Quello vuole sempre evviva, evviva san Calogero!


A chiddru ci pari sempri viva viva san Calò!

A quello sembra sempre evviva, evviva san Calogero!

Viva Viva San Calò, dunque, è soprattutto un modo di dire che deriva da un festoso modo di fare.

Cosa non è permesso infatti durante la processione del san Calò di Giurgenti?

La danza della vara (il fercolo) con la statua, gli abbracci, i baci, i toccamenti della statua nera, i bambini sollevati e strusciati alla miracolosa effigie, gli arrampicamenti dei più nerboruti, focosi e devoti portatori a costo di calci pugni sputi e bestemmie, il lancio dai balconi delle pagnotte guizzanti come palle di fuoco scagliate da antiche catapulte.

Ma Monsignore ha detto basta.

I tempi sono duri per tutti e cambiano anche i modi di dire e i modi di fare nonostante associati a popolarissimi santi.

Anche per san Calò la musica cambia e non gli si può dire sempre e comunque "viva viva". Ecco il perché del punto interrogativo nel titolo del post.

A Naro già da qualche anno hanno corretto teologicamente l'invocazione con Viva Diu e San Calò, rammemorandolo con una pioggia di bigliettini fatti fioccare dai balconi.

Il pane non si lancia più ad Agrigento e a Porto Empedocle eppertanto non si raccoglie da terra ma si dà in offerta alla chiesa che lo ridistribuisce, benedetto, ai fedeli e ai bisognosi.

Una tendenza a smussare gli eccessi, a correggere il senso teologico. Ma l'ultima sortita dell'arcivescovo di Agrigento mira al cuore della festa,  al nocciolo tipico, agli aspetti più rozzi e sanguigni. Per l'arcivescovo di Agrigento, come scrive amareggiato nella lettera inviata agli agrigentini, questa non è fede, questi sentimenti non sono religiosi, questa non è una festa tutta cristiana.


L'agrigentino Elio Di Bella echeggia altri umori e, nel commentare la canonica presa di posizione, titola il suo post "MONSIGNORE LASCI PERDERE".

Ricordo che un altro Monsignore, venticinque anni prima, riunì nel Seminario di Favara i rappresentanti dei vari comitati per i festeggiamenti in provincia invitandoli a solennizzare le feste soprattutto con preghiere messe e digiuni. Più sobrietà e meno eccessi. Eravamo in molti ad ascoltare. Con quale risultato?

Difficile impresa modificare inveterati usi. E' sempre l'annoso dilemma delle tradizione: preservarle o innovarle? Correggerle in senso liturgico e teologico o lasciarle discutibilmente paganeggianti?
Ne sanno qualcosa i racalmutesi con la devozionale cavalcata fino in chiesa e la rissosa presa del "Cilio". E bene mi è finita quando introdussi la figura della contessa nella storica recita cinquecentesca: senza nulla alterare nella sostanza, si badi bene, altrimenti...

Ma qui non si vogliono discutere magni argomenti, si è voluto semplicemente chiosare un modo di dire legato a modi di fare che, oltre ad essere come sono, ispirano tante cose. Anche poesie.

c’è cu bastimìa

Lu populu prega. Lu Santu camina. 
Lu miraculu s’aspetta quannu veni. 
Cu jetta hiuri, 
cu cci tira pani, 
la banna sona, lu parrinu veni
 ppi diri 
“chista nun è la vera divuzioni”. 
Tuttu si ferma. 
Ognunu si cummovi. 
Nnomentri lu tammuru tammuria. 
Volanu prijeri. 
C’è cu bastimìa.

Il popolo prega. Il Santo procede. / Il miracolo si attende quando viene. / Chi lancia fiori, / chi gli lancia il pane, / la banda suona, lu parrinu veni / per dire / “questa non è la vera devozione”. / Tutto si ferma. / Ognuno si commuove. / Nel mentre il tam-buro rulla. / Volano preghiere. C’è chi bestemmia.

Da Venti di sicilinconia, Medinova editrice, Favara 2009




Il post di Elio Di Bella


 


© Piero Carbone
Foto proprie











domenica 28 luglio 2013

LUNA TU. Parole per una canzone



LUNA TU



I

Sutta lu pignu di lu Zzaccanieddru 

tutti l’amici mi viennu a truvari.

Ci offru ficu, ci offru piruna,

grapiemmu un libbru, nni guarda la luna.



Li gradi su di fierru e fannu cruci,

diavuli diventanu l’amici,

ma iu ca sugnu veru omu di paci

nni dicu bbeni di li ma nnimici.



Rit.:

Luna luna luna tu

Suli suli suli tu (3 volte)

Vientu vientu hiuhia tu

Paci amuri e nenti cchiù (2 volte)



II

Du gatti ca mi fannu cumpagnia

Mentri la vita beni o mali passa.

La picciliddra joca, tutta russa,

un cuccu n capu l’arbulu cucchia.



Tutta chi va santannu e scuncichìa

la picciliddra mia quannu si curca.

La vasu, chiuji l’uocchi, s’ammuscisci,

mentri ci cuntu un cuntu, s’addrummisci.

Rit.



III

Stiddri ca vi taliu di luntanu,

furmiculi a lu scuru mi pariti.

Stiddri di n celu ca mi taliati

nun sacciu chi di mia vu’ vuliti.



Lu vientu m’accarizza li capiddri

lu nasu anchi la frunti e li masciddri.

Vinni, hiuhiannu, tuttu spinziratu.

Nivuru si nni jì e ntrubbulatu



Rit.
















© Piero Carbone.
Testo inedito. Tutti i diritti riservati secondo le disposizioni vigenti in materia





sabato 27 luglio 2013

LAUREARSI SU SCIASCIA E LE ARTI FIGURATIVE

A&P:

Riporto una testimonianza di Nuccio Mula pubblicata oggi su fb:
https://www.facebook.com/piero.carbone.7/posts/10201524875622112
Lo ringrazio per l'attestato di stima nell'avere indirizzato a me una sua allieva per un'intervista su Leonardo Sciascia e le arti figurative.

Poiché gli apprezzamenti sono cambiali di credito che si debbono onorare, mi ritaglio prudentemente il meno impegnativo ruolo di semplice lettore di Sciascia, onorato di averlo conosciuto non solo e non tanto in quanto compaesano.

In omaggio alla neo dottoressa Alfonsina Lionti riporto, infine, le parole con cui l'intervistatrice ha descritto il nostro semplice e cordiale incontro.

***

Nuccio Mula:

Ho il piacere di rallegrarmi con la Dott. ssa Alfonsina Lionti, una fra le mie migliori allieve, che stamattina s'è laureata, con me come relatore, in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo, riportando il massimo della valutazione previsto dalle Leggi italiane: 110 / 110, lode, menzione speciale della Commissione e dignità di stampa per la sua bellissima tesi, da me a suo tempo assegnatale ed egregiamente redatta, su "Leonardo Sciascia e le Arti Figurative".

Prima del colloquio, ho avuto l'onore di leggere questa missiva di augurio scritta dal Ch. mo Prof. Antonio Di Grado, Direttore della "Fondazione Sciascia", letterato e studioso di fama internazionale, nonché mio Amico, al quale avevo segnalato la mia laureanda e la sua tesi:


Al Presidente della Commissione di laurea

Egregio collega,
mi consenta di rallegrarmi per il brillante esito della tesi di laurea di Alfonsina Lionti su un tema che a me come studioso di Sciascia, e alla Fondazione a lui intitolata che ho l’onore di dirigere, sta molto a cuore: quello del rapporto tra lo scrittore racalmutese e le arti visive, che non corrisponde soltanto a uno dei tanti e poliedrici interessi e curiosità di Sciascia, ma testimonia anche la prepotente tensione del suo pensiero e della sua scrittura a pronunziarsi su codici e linguaggi altri dalla letteratura, a cimentarsi con essi, addirittura a immetterne cifre e suggestioni nella sua stessa produzione letteraria.
Saluto perciò e ringrazio la Commissione, mentre formulo alla candidata i miei migliori auguri.

Catania, 23 luglio 2013

Antonio Di Grado
Prof. ordinario di Letteratura italiana, Università di Catania
Direttore letterario della Fondazione Sciascia, Racalmuto


Abbiamo avuto anche il piacere della presenza, in occasione dell'esame di laurea di Alfonsina, del Prof. Piero Carbone, racalmutese, uno fra i massimi conoscitori e studiosi di Leonardo Sciascia, cui ha dedicato un libro e molti saggi critici, e che possiede anche un ampio ed interessantissimo "book" personale di fotografie con Leonardo Sciascia, scattate anche in occasione di diverse Mostre di Pittura.

Il mio carissimo amico Piero, venuto appositamente da Palermo, ha rilasciato ad Alfonsina un'ampia intervista, corredandola di diverse foto; ed in occasione dell'esame di laurea si è parlato anche d'un altro mio vecchio e caro Amico, il celebre Maestro Nicolò D'Alessandro, uno fra gli Artisti prediletti da Sciascia.

In sostanza, un giorno da non dimenticare, per Alfonsina e pure per me, onorato d'aver apposto anche la mia firma al suo Diploma di Laurea così prestigiosamente conseguito e che non sarà il primo, visto che adesso Alfonsina, dopo la laurea triennale, dovrà conseguire, fra due anni, quella specialistica: e sono sicuro che, grazie alla sua costanza ed alla sua intelligenza, traguarderà al meglio anche quest'altra importante prova.
Ancora auguri, piccola cara (pardon, piccola cara Dottoressa, da adesso).

***


Alfonsina Lionti:

"[...] Nell'accogliente atmosfera del verde del suo giardino a Racalmuto, immersi nella tranquillità di una domenica mattina, a giugno, sotto la frescura che l'ombra di un pino ci offriva, Piero Carbone mi rilascia un'intervista in cui è stato facile cogliere il suo compiacimento poiché tutto si basava sulla persona di Leonardo Sciascia e del suo interesse per le arti figurative; delle esperienze che li hanno visti partecipi entrambi, dei ricordi che conserva dello scrittore de "Le parrocchie di Regalpetra" [...].

in Leonardo Sciascia e le arti figurative, tesi di laurea di Alfonsina Lionti, relatore: prof. Nuccio Mula, Accademia di Belle Arti "Michelangelo" di Agrigento, a.a. 2012/2013, Corso di laurea triennale in "Arti visive e discipline dello spettacolo". Sezione Pittura. Coordinatore generale: prof. Francesco Politano.

giovedì 25 luglio 2013

A SALEMI! A SALEMI!


Non è l'incitazione di rivoltosi siciliani ad accorrere a Salemi per dare manforte ai garibaldini, non ci sono più borboni e forse neanche più garibaldini.

E' l'invito pacifico di Antonino Causi, curatore del blog Tonypoet, che, novello Pan con la mitica "siringa", il melodioso strumento musicale simbolo della poesia stessa, senza svestire i panni del poeta, veste quelli dell'organizzatore, del promotore di un evento estivo all'insegna della poesia, invitando alcuni autori a percorrere i pascoli poetici in quel del trapanese dalle parti di Salemi.

Dove ritorno con piacere a rivedere le chiese, i musei, il castello,  per rivedere amici che lì ho incontrato per la prima volta e per conoscerne ora nuovi in occasione di un recital poetico. E il ricordo va ad un altro recital, sempre nel trapanese, organizzato  circa vent'anni fa da quel singolare personaggio che fu Nat Scammacca. 

A conclusione di un convegno sulla teoria di Samuel Butler circa l'ambientazione siciliana dell'Odissea scritta da una donna (!), dopo un conviviale banchetto dove si discettava della particolare focaccia chiamata tarbùsciu e della direzione dei venti omerici, Nat fece salire i poeti con-vitati su una torre alle dieci di sera per recitare poesie sospesi tra cielo e terra in riva al mare: a oltre cinquanta metri d'altezza, sia i giovani che gli attempati "vati" inarcavano le ciglia e protendevano le braccia alle stelle per trascinare nell'empito poetico gli ascoltatori, i quali piccoli come formichine se ne stavano di sotto, laggiù, infagottati per ripararsi dall'umidità, col naso all'insù per non lasciarsi sfuggire le parole poetiche che volavano in alto come palloncini nello spazio.

Per contrastare le leggi della fisica, i poeti, ne ricordo di ieratici rivoluzionari giovani attempati italofoni dialettali birichini valorosi, alzavano ancor più il volume della voce dentro un gracchiante megafono che ricopriva inesorabilmente, laggiù, la dondolante risacca della sera. 

Ma, parola più o parola meno captata, quell'evento a Torre Marausa resta un ricordo così scenografico da sembrare inventato: la torre merlata i poeti con le braccia alzate il pubblico laggiù il cielo stellato il mare cru.  

Il ricordo di quell'esperienza vuole essere un omaggio all'altra che si celebrerà  domenica a Salemi in una staffetta ideale che unisce lingue luoghi tempi diversi. 
La poesia, se poesia, come sincera aspirazione, riesce a far questo.




In The Suburbs

There's no way out
You were born to waste your life.
You were born to middleclass life.

As others before you
Were born to walk in procession
To the temple, singsing.


In periferia
Traduzione di Nat Scammacca

Non c'è alcuna via d'uscita.
Sei nato per sprecare la tua vita.
Sei nato per questa vita borghese.

Come altri prima di te
sono nati per andare in processione
al tempio, cantando.


da: Contempoarry Poetry in America (Random House), 
in
Poems by Louis Simpson. Drawings by Nicolò D'Alessandro,
Cross-Cultural-Communication and Coop. Ed. Antigruppo, 
Trapani-New York 1989.
Translation and Preface by Nat Scammacca.






mercoledì 24 luglio 2013

MA DA DOVE INCOMINCIARE? Gabriella Patti pittrice "astratta"



Non senza senso, ripropongo un'antica presentazione in catalogo.

Può sembrare perfino ovvio: il senso dell'oggi in quello che siamo, in quello che facciamo, va ricercato sempre nel passato. Se c'è un passato.

E' un'arte, un metodo, sapersi costruire un passato adeguato.

Altrimenti si veleggia sul mare della superficialità nell'affannosa ricerca della cosiddetta visibilità, perseguita ad ogni costo, anche se immeritata o inconsistente. E' la malattia di sempre, di quelli che, come diceva Seneca, “hanno bisogno della scena”, “scaenam desiderant” (Epistulae ad Lucilium, lib. XV, ep.II).

Ma per mostrare cosa?

Per recitare quale parte?

Gabriella Patti, detto ora con sguardo retrospettivo, col suo versare poesia in pittura, ha dimostrato nel tempo di saper recitare la propria.





LA PITTURA DI GABRIELLA PATTI
Il laico colore del mondo che l’arte ci sa dare.


     “Ma da dove cominciare?” è la domanda dell’adolescente Marianna Ucrìa alle prese con tele e colori, “dal verde tutto nuovo e brillante della palma nana o dal verde formicolante di azzurro della piana degli ulivi o dal verde striato di giallo delle pendici di monte Catalfano?”. 

Anche l’”astratta” Gabriella Patti, siciliana come la protagonista evocata da Dacia Maraini nell’omonimo romanzo, comincia  pittoricamente dal colore di un ente particolare (cristallo, nuvola, fondale marino) ma, come un pretesto, per smaterializzarlo, per estenuarlo ed accedere ad un colore mentale, fino a prescindere dalla stessa forma cui il colore originariamente ineriva. Ciò non stupisce se da architetto ricade come molti pittori-architetti nell’area d’influenza di Paul Klee con le sue svagate geometrie sottese al colore.

     Con processo inverso invece comincia non da un oggetto bensì da una suggestione poetica per “materializzarla” in macchie, in atmosfere, per dirla con la sintetica espressione di Paola Nicita, in “cromìe accese eppure evanescenti”. 
Il verso di Ibn Hamdìs, “ una boccetta rossa di rubino, con stimme di zafferano” le ha suggerito le macchie variegatamente rossoaggrumato della composizione “Baratro fluorescente” e “Il raggio verde” di Lucio Piccolo addirittura un trittico dove il poetico verde, simbolico, dialoga con circoscritti azzurri e pastose tonalità terrestri: “Ma il raggio che sembrò perduto/nel turbinio della terra/accese di verde il profondo/di noi dove canta perenne/una favola, fu voce/che sentimmo nei giorni, fiorì/di selve tremanti il mattino”. Un’intera mostra è sintonizzata sulla silloge del “barone magico” di Calanovella Gioco a nascondere...

Cartolina invito di una personale di pittura del 2009
   
     Neanche l’iniziale tecnica dell’acquerello ha fatto indugiare Gabriella Patti sul descrittivismo oleografico - siculo o non siculo non importa, con i soliti limoni e peperoni ad esempio - o su solipsistici ripiegamenti consolatori. La giovane pittrice siciliana  piuttosto va ad inserirsi in quella corrente di pittrici contemporanee che, secondo l’analisi di Emanuela De Cecco e Gianni Romano in un recente studio, “si sono fatte portatrici di messaggi più generali”. 
Ma per la giovane Patti, si capisce, la cui opera è in fieri, tale linea di tendenza va proiettata nel futuro, che auspicabilmente sarà ricco di validi inveramenti.
      Intanto, la Patti svolge un’opera didascalica: saturati come siamo dalle immagini, essa approda alla mistica del colore per cercare in qualche modo di rifondare il mondo usurato delle percezioni visive e ridare inizio al primordiale “e sia la luce. E la luce fu”. 
E quindi anche il colore, il laico colore del mondo che l’arte ci sa dare.
                                                                                                                    
Palermo, 1 Ottobre 2001                                                    Piero Carbone




Foto proprie

lunedì 22 luglio 2013

SHOBHA, WORKSHOP E IL CASTELLUCCIO



Il Castelllucio. Incisione di Nicolò Rizzo


Ieri, su fb, ho lanciato una riflessione in margine ad un Workshop di fotografia organizzato recentemente al mio paese in occasione della Festa del Monte e che ha visto la partecipazione di dieci giovani fotografi capitanati, se così si può dire, da Shobha Battaglia;  ne è seguito un cordialissimo e costruttivo confronto che credo valga la pena portare alla conoscenza e coscienza di tanti che amano il "bello" e cercano di fare qualcosa in favore dei luoghi e dello stesso ambiente dove vivono.
Lo riporto.

Renzo Collura, Paesaggio nella notte, 1986


Piero Carbone (A&P):
Idealmente a Shobha Battaglia per il Workshop da lei diretto "Racalmuto un paese straordinario".
Sarebbe stato interessante e in tema con il workshop, oltreché promozionale per il paese, realizzare un'escursione al Castelluccio, sorprendente risorsa negletta di Racalmuto dalle inespresse potenzialità, dove c'era una mostra di fotografie dei primi anni del Novecento che ho il piacere di segnalare. Un cordiale saluto. Alla prossima edizione!

htmlhttp://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/06/unamorevole-testimone-al-castelluccio.html

Shobha Battaglia:
Hai ragione... grazie della segnalazione, ma eravamo stretti stretti con i tempi... verrò io a visitarla quanto prima... Shobha



A&P:
Bellissimo epilogo di una segnalazione. Grazie per l'attenzione. Spero a presto.


Locandina di una precedente mostra a Montedoro






E' intervenuto anche uno dei giovani partecipanti, il bravo Alessandro Giudice, di cui avevo precedentemente pubblicato una sua bella foto sul castelluccio, previo permesso richiesto e ottenuto espressamente su fb dove avevo visto per la prima volta la suddetta foto.

Alessandro Giudice Jyoti:
Caro Piero, hai ragione, oltre al Castelluccio ci sarebbero stati anche altri luoghi meritevoli di attenzione (per fortuna Racalmuto ne è ricca), purtroppo i tempi erano serratissimi, si correva e si lavorava sempre, al prossimo workshop faremo in modo di trovare il tempo per far conoscere le altre bellezze racalmutesi.


A&P:
Non solo e non tanto i luoghi ma mi è sembrata una felice coincidenza (non valorizzata) la mostra fotografica "storica" di Louise Hamilton Caico con un workshop di fotografia che ha visto tanti fotografi intenti a valorizzare le nostre realtà positive e "belle".


Alessandro Giudice Jyoti:
Piero come detto precedentemente i tempi erano molto serrati, ed il programma intenso, in ogni caso al prossimo Workshop il castelluccio sarà una meta certa e se ce ne sarà ancora modo vedremo anche Louise Hamilton Caico.


Locandina di un recente evento al Castelluccio






domenica 21 luglio 2013

SE UNA TIPOGRAFIA CHIUDE



Corrispondenza con Aurelio Cardella dopo la notizia della chiusura della Tipografia e Stamperia d'arte "Adriana" di Palermo.
Per me la rete non è solo un canale comunicativo con vecchi amici e fonte di nuove conoscenze ma un intreccio di nuovi stimoli.

Piero Carbone: 

Caro Aurelio, mi hai fatto venire un'idea, mi piacerebbe pubblicare sul blog un tuo articolo con una carrellata e qualche aneddoto riguardanti gli artisti di cui hai stampato le serigrafie: chiude una tipografia ma ne conserviamo la memoria (della sua attività e quella del suo valore culturale). Con qualche foto in jpg. Ti va?


Aurelio Cardella:
Ottimo, carissimo Piero, di ricordi ne avrei tantissimi. Dopo aver meditato con quale iniziare, ti invio questo mio "articolo", fammi sapere se va bene, grazie.

Piero Carbone:
Va benissimo. Quello che hai scritto è una bella testimonianza, significativa non solo per te, nell'ordine affettivo, ma anche oggettivamente, per la memoria di una città, per la cultura in generale, e in particolare per l'espressione artistica nella sempre provinciale e sorprendentemente avanguardistica Palermo. Allegami qualche immagine di serigrafia in jpg. Se ne hai copia, alla fine, potremmo fare una mostra (ma questa è un'altra idea).

Aurelio Cardella:
Questo è il primo aneddoto, ma potrebbero seguirne altri, a presto invierò un jpg.




Luigi Guerricchio (Matera 12/10/1932 - 25/6/1996)
Raccoglitrici di tabacco, serigrafia, Palermo 1974

INIZIAI CON GUERRICCHIO
di
Aurelio Cardella


Devo ringraziare Renzo Meschis se ho iniziato la mia carriera di stampatore d'arte.

Era il luglio del 1974, ero appena tornato dal servizio militare, ed ero pronto per il mio start up nella vita.
Renzo Meschis aveva da poco aperto una galleria d'arte "Ai Fiori Chiari" divenuta in seguito una delle più prestigiose gallerie d'arte moderna d'Italia. Renzo si presentò a me proponendomi la stampa di una serigrafia di un artista conosciuto alla Biennale di Venezia, Luigi Guerricchio.

Per la verità, non avevo mai stampato una serigrafia d'arte, né altri l'aveva stampata qui in Sicilia, ma forse preso dall'incoscienza giovanile, o dall'entusiasmo, accettai.

Partii con Stefano, mio fratello, in vespa, alla volta di Roma. Ospite di Mafalda Calvani, responsabile della filiale romana della Argon Service, azienda leader europea del settore della serigrafia, la quale mi mise a disposizione i laboratori ed il personale per insegnarmi i piccoli segreti della stampa serigrafica.

Il soggiorno romano mi diede l'occasione di conoscere una realtà ben diversa di quella palermitana; non poche furono le difficoltà sostenute durante il viaggio Roma-Palermo, una che ricordo in particolare fu la grandinata estiva a Lagonegro dove rifuggiandomi sotto un cavalcavia, un operaio dell'ANAS, guardando la targa, mi disse che ero pazzo ad avventurarmi così in autostrada.

Tornammo da Roma con il portabagagli della Vespa 150, con la quale affrontammo questa impresa, pieno di colori, racle, nylon, e tanta ansia e curiosità per iniziare l'impresa.

Effettivamente, fu un'impresa in quanto l'opera del formato di cm. 70 x 100 venne stampata in un pied a terre di via Carducci un po' angusto, dove ci destreggiammo parecchio a stendere i fogli per farli asciugare.

La soddisfazione fu tanta poiché l'opera piacque sia all'artista che al committente, realizzai altre due opere di Luigi Guerricchio - che purtroppo ebbe breve vita - e da quel giorno iniziò la mia carriera di stampatore d'arte.

sabato 20 luglio 2013

SE SCIASCIA NON FACEVA I NOMI


Quali saranno state le arcane motivazioni della ritrosia sciasciana a non fare i nomi dei compaesani?
Una volta, a proposito del pino  malato di Pirandello citò per la cura  "un giovane che è molto bravo in queste cose, è di Racalmuto e insegna alla Facoltà di agraria".
Un'altra volta parlò del "notaio che verseggiava" e un'altra volta ancora scrisse sull'Espresso di un giovane sindaco molto attivo e che si dava da fare. 
Ma anche a proposito della sicilitudine la riferì a un giovane scrittore palermitano senza fare il nome. 
Chissà per quali ragioni! 
Poi arrivano i Consolo e i Di Marco e mettono tutto in chiaro. 
Chissà per quali altre ragioni ancora!

venerdì 19 luglio 2013

CONSOLO, I RACALMUTESI E IL PINO DI PIRANDELLO

"Speriamo che il nuovo, giovane pino possa stendere in futuro la sua pietosa chioma...". 
Questo si augurava Vincenzo Consolo nell'articolo "Il pino di Pirandello" inserito nel volume Di qua dal faro pubblicato dalla Mondadori nel 1999. 
Al vecchio pino acciaccato e al nuovo da coltivare si era interessato un racalmutese di cui con piacere riportiamo la sua testimonianza.
A proposito del nuovo pino,  non nascondendo una certa ansia, ci sarebbe da verificare fino a che punto si è realizzato il pronostico della pietosa chioma.  P.C.



PER SALVARE IL PINO DI PIRANDELLO

Testimonianza di Giovanni Liotta

Docente emerito di Entomologia dell'Università di Palermo

Circa 25 anni fa, ho incontrato al mio paese (Racalmuto) Leonardo Sciascia che, come al solito, nei pomeriggi faceva la sua passeggiata davanti al Circolo Unione. Mi ha chiesto come mai mi trovassi in paese e gli ho detto che stavo tornando da Agrigento, dove ero andato a verificare lo stato fitosanitario del Pino di Pirandello che era stato attaccato da grossi insetti chiamati Capricorni o Cerambicidi. Mi ha fatto alcune domande alle cui risposte mi sembrava molto interessato. Mi sembrava che tutto si fosse esaurito lì. Senonchè dopo alcuni mesi ritrovo alcune sue profonde riflessioni in un suo libro (Leonardo Sciascia – Fuoco dell’anima – Conversazioni con Domenico Porzio – Mondadori Editore) e che riporto:


“D. Porzio: Com’è questa storia che il pino di Pirandello sta morendo? È una malattia?
L. Sciascia: Sta morendo perché è vecchio. Ma si può salvare, con tutti gli accorgimenti tecnici che ci sono oggi. Soprattutto occorre liberarlo dal selciato: le radici non respirano, l’acqua non penetra. E poi bisogna affidarlo alle cure di uno specialista. C’è un giovane che è molto bravo in queste cose, è di Racalmuto e insegna alla Facoltà di agraria. Mi ha detto che l’amministrazione comunale non risponde a queste sollecitazioni: perché si sono messi in testa di sostituirlo con un pino di plastica.
D. Porzio: No, non è possibile!
L. Sciascia: Questa è la classe dirigente – per meglio dire digerente – che preferisce fare il pino di plastica piuttosto che salvare quello vero.. ed è così per tante, tante altre cose…..”

Dopo alcuni mesi, venne a trovarmi a Palermo lo scrittore Vincenzo Consolo, perché, mi disse, voleva conoscere il giovane di cui aveva parlato Sciascia e sapere qualcosa sulla “salute” del Pino di Pirandello. Anche di questo nostro incontro lo scrittore riferisce in un suo libro al capitolo intitolato “Il pino di Pirandello” (Vincenzo Consolo – Di qua dal faro –Mondadori Editore)



“ Un tronco morto, pietrificato,, un alto pennone scabro simile a quelli su cui si torcono, s’innarcano nello spasimo i corpi dei due ladroni nella Crocefissione d’Anversa di Antonello, è ormai il pino di Pirandello.
Una tromba d’aria ha tranciato la chioma del famoso albero del Caos...
Era un albero vecchio e malato il pino del Caos…
Il giovane “molto bravo” di cui parla Sciascia è il professor Giovanni Liotta, il quale evidentemente era riuscito alla fine a convincere le autorità a farsi affidare la cura del vecchio albero malato. E aveva innanzi tutto liberato gradualmente le radici, anno dopo anno, piastrella dopo piastrella, dalla coltre di pietra. Il pino così aveva preso a rivivere, fino a che non è stato ucciso, con lo strappo della chioma, dalla tromba d’aria…
Il Professor Giovanni Liotta aveva pensato provvidenzialmente a suo tempo a far germogliare dai semi del vecchio pino tre pianticelle. Quando queste saranno cresciute, ne sceglierà una, la più robusta, a sostituire il genitore, il tronco senza vita attuale…”

mercoledì 17 luglio 2013

SIAMO TUTTI ERETICI?


Sulla bacheca di fb sono riaffiorati, spontaneamente o per volontà di qualche deus informatico riordinatore, i commenti (qualcuno integralmente, qualche altro più o meno o per niente condivisibile in quanto testimonianza di un sentire critico-eretico moderno così estremo da rasentare il surreale) alla lettera consoliana; ne ho approfittato per riacciuffarli e condurli nel blog che vuole fungere da archivio "attivo", visto che la rete, per i fatti suoi, vien configurandosi sempre più come una sorta di nostro archivio passivo pur maneggiando fatti e pensamenti personali. E rifletterci su.

La funzione dei commenti sottoscritti e non anonimi oltreché democratica è anche etica, logica e metodologica in quanto di aiuto a definire e circoscrivere il perimetro delle proprie idee, delimitato da quello degli "altri" che se ne assumono responsabilmente la paternità. Da questo punto di vista si deve essere grati ai pensieri diversi, anche radicali, degli altri, perché aiutano dialetticamente a definire i propri. Pensieri come possibilità logica in cui c'è spazio  del loro dibattimento e non, occorre precisarlo?, veicoli di indimostrate e dogmatiche accuse che attengono al rango delle perfide calunnie. 

La varietà delle opinioni infine può indurre al relativismo ma è anche vero che allarga gli orizzonti mentali e, con un pizzico di ragionevolezza, può condurre, auspicabile meta, alla tolleranza.
In fondo, siamo tutti eretici, gli uni rispetto agli altri, se vogliamo avere un "nostro" pensiero.





Omaggio all'eretico regalpetrese onorario Vincenzo Consolo

da Piero Carbone (Note) il Venerdì 3 febbraio 2012 alle ore 17.25


Milano, 29 ottobre 2000

Caro Carbone, 
con molto ritardo ho finalmente letto il suo godibilissimo "Eretici a Regalpetra". Mi sento onorato di essere stato accomunato agli abitanti di Regalpetra, che hanno "l'eresia scritta nei geroglifici del sangue". Mi sono appassionato ai notai, preti, gesuiti, farmacisti, medici, contadini di questo straordinario paese del sale, così diverso dal mio S. Agata "insalanùtu".
Cordiali saluti. Vincenzo Consolo
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  • Nicolò RizzoMaria Teresa MangioneNenè Sciortino, Massimo Maugeri, Isabella Martorana Messana, Gero Miceli, Pixel Evolution e Luigi Scimè   piace questo elemento.
  • Licia Cardillo Di Prima Ho conosciuto personalmente Consolo. Sul mio sito ho pubblicato una fotografia scattata alla Fiera del libro di Torino, dove ho avuto modo di incontrarlo. L'ho rivisto a Racalmuto, in occasione di un'intervista a teatro. Era presente anche l'amico Rori Amodeo.Mi hanno colpito la sua riservatezza e la semplicità. Lo apprezzo molto come scrittore.
  • In questo punto su fb c'era il commento di un altro autore che ometto  per la radicalità della tesi, non volendo offendere la sensibilità di nessuno, ma che si può leggere nella sede originaria dove l'autore ha voluto postarlo. Nelle riflessioni di un amico ho colto un disagio che, pur ragionando di tutto, non voglio provocare in chi generosamente mi presta attenzione e viene a leggere i vari post del blog.

  • Licia Cardillo Di Prima Sono incuriosita anch'io del libro "Eretici a Regalpietra" e lo leggerò. Essere eretici oggi dovrebbe significare acuire lo sguardo, andare al di là, cambiare prospettiva, non per distruggere o scandalizzare, ma per costruire... e soprattutto avere rispetto delle opinioni - e fedi - altrui ed essere pronti a difenderle, con la vita, anche se non si condividono... (Voltaire insegna)
  • Piero Carbone 
    - Purtroppo il libro, forse attirandosi effluvi malefici dallo stesso titolo, dopo essere stato presentato alla fiera del libro di Messina, recensito, distribuito nelle librerie e messo in vendita on line, è letteralmente sparito dalla circolazione, su Unilibro è dichiarato fuori catalogo, eppertanto non è disponibile. Temo che si dovrà ricorrere agli articoli di legge degli avvocati più che agli articoli dei critici letterari per renderlo di nuovo disponibile.
  • - @Licia. L'eresia, nel libro, è intesa come sincera e intima ricerca della verità per la quale si è disposti a dare testimonianza personale, costi quel che costi. Ma al di là delle mie affermazioni di principio bisognerebbe leggere il libro. Mi adopererò per renderlo disponibile. L'unica copia che ho mi è stata data "in prestito" da un'amica.
  • - Intanto mi preme precisare che ho reso nota questa lettera, soltanto ora, a distanza di tanto tempo, perché mi è sembrato opportuno aggiungere anche la mia testimonianza a quella, ben più autorevole, degli altri, su Vincenzo Consolo, all’indomani della sua morte: per evidenziarne la sensibilità e la generosità, segno di disponibilità intellettuale, con cui lo Scrittore di S. Agata rispondeva all’invio di uno dei tanti libri che dalla sua Sicilia, e non solo, sicuramente riceveva nella residenza milanese.
  • Licia Cardillo Di Prima Non mi dispiace " l'eresia" che ricerca la verità, intendendo con essa il dubbio, il bisogno di uscire dal coro, d'interrogarsi, di porsi nei confronti dell'altro come "pietra d'inciampo" . Non mi dispiace "l'eresia" che scuote, sveglia, illumina, indirizza verso il bene.