mercoledì 30 aprile 2014

UN VILLINO IN MEZZO AL MARE






QUANDO SCRIVO

Quando scrivo mi isolo dal mondo e mi concentro sulle parole o così mi sembra, vado in apnea e mi immergo in pensieri e sentimenti che mi fanno volare inabissare amare duellare con tutti e con nessuno; in ogni luogo del cielo e della terra e sottoterra mi trascinano quelle parole, in effetti sto comodamente attaccato alla sedia davanti a un tavolo o ad un computer e non vivo quello che il mondo sta vivendo attorno a me: belle giornate gite al mare schitìcchi passeggiate con gli amici appuntamenti programmati o improvvisati giri in bicicletta visite di mostre etc. etc. etc. 


Tutto salta. 
Tutto nella realtà come se non esistesse e in effetti non esiste, tutto sacrificato sull'altare delle parole che vado inseguendo in un mondo finto, immaginario, che non esiste. O che è esistito. O che esisterà.
Un mondo "machiavellico".




Cheee! dirà qualcuno. "Quello del 'fine giustifica i mezzi' e dei racconti di ambizioni e ammazzatine, tragediatori e principi ad ogni costo?
Assolutamente no, ma quell'altro della Lettera al Fattori.
Dall'esilio di San Casciano gli scrive che durante tutto il giorno è dedito alle più comuni e banali faccende, ma la sera... dopo avere cenato nell'osteria in compagnia di un beccaio (macellaio), un mugnaio e "dua fornaciai" (addetti alla fornace) facendo baldoria e anche giuocando  "a cricca" e  "a trich-trach", che fa?
Si rifugia, appunto nel "suo" mondo tutto machiavellico.





"Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro." Niccolò Machiavelli, Lettera a Francesco Fattori, Die 10 Decembris 1513





Sempre queste parole mi risuonano dentro, fin dai tempi del liceo, con la cadenza assorta e da grande attore del professore di Italiano, Nazareno Di Caro da Raffadali.


Intanto, la vita o la si vive o la si scrive e mentre la si scrive non la si vive.  Ma...


Ma quando uno si stacca dalla sedia, dal computer,  dallo studio, quelle parole come su due ali di un immenso uccello son capaci di portarti dove mai ti saresti immaginato di andare anche consultando le più informate guide turistiche.


Quelle parole, se apprezzate e fortunate, son capaci di restituirti molto, come avvenne a Giobbe, a cui venne dato il doppio dei cammelli e delle concubine a cui aveva rinunciato per la fede in Dio.


Diciamo che le parole a cui avevi donato tutto il  tuo tempo e tutto te stesso ti restituiscono quello che momentaneamente ti avevano tolto: incontri con nuovi amici, esperienze mai immaginate, pizze ben cotte, vini sopraffini, sapori inediti, conoscenza di straordinari luoghi, come quello che mi è capitato di scoprire, invitato dall'amico poeta Marco Scalabrino, in occasione di una recita di poesie a Trapani, il Villino Nunzio Nasi, un villino in mezzo al mare. Un gioiello.



E magari uno scopre poco originalmente che per migliorare il mondo non mancano gli esempi da prendere dal  mondo stesso, quello reale, e non solo da quello immaginato.



















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