giovedì 26 luglio 2018

ISSARA DI CHIUSA. Ce li racconta Totò Mirabile


Anche la rete ha le sue virtù, financo i vituperati social ne hanno,  vituperati per l'uso smodato che talvolta  se ne fa; alla rete si deve questo post con il racconto di Totò Mirabile, scaturito dalla pubblicazione di precedenti post sullo stesso argomento che ha suscitato curiosità e interesse sia in chi lo ignorava completamente sia in chi lo conosceva e magari se ne era occupato per ragioni di studio o artistiche. 


Tali apporti rappresentano in qualche modo, e grazie alla rete, una sorta di parziale risarcimento nei confronti di un "mondo" finora trascurato e dagli artisti poco celebrato.  P. C.






Cavaturi e Putiaru: tipologia del gessaio (issaru)
di 
Totò Mirabile

Occorre, innanzi tutto, fare una premessa e scindere l’argomento, specificando che il termine Issaru viene usato per indicare due tipi di attività e cioè quello vero del produttore di gesso (cavaturi) ed quello di rivenditore (putiaru).

Per quanto riguarda il primo termine (issaru di cava), posso sicuramente dire che a Chiusa, negli Anni Cinquanta, cioè circa mezzo secolo fa, non c’erano “Carcare” o se ci fossero state dovevano essere in disuso e, quindi, farò un breve cenno della provenienza del gesso siciliano. 

Numerosi carrettieri/issara partivano dai luoghi di produzione per portare la materia prima in tutta l’isola fino ai porti di Gela, Licata e Porto Empedocle, dove la polvere bianca veniva imbarcata su pesanti chiatte di proprietà degli Ingham e dei Whitaker, assieme allo zolfo e al salgemma.



Il “gesso” veniva estratto dalle cave attraverso una rete di piccole esplosioni precedute da mini trivellazioni con pali in ferro a punta piatta: La roccia gessosa si frantumava in grossi massi che venivano ulteriormente frantumati con pala e “pico” dai lavoranti.

Dalla cava la pietra gessosa veniva trasportata alla vicina carcara dove, disposta con maestria in modo semicircolare (ovvero seguendo il perimetro della fornace), veniva fatta ardere per 6-8 ore, finché, dal colore annerito, non assumeva un colore bianco-rossastro, e quando si raffreddava veniva prelevata per passare alla definitiva mazziatura (fase necessaria questa per ottenere la raffinazione della polvere bianca o la selezione più accurata di blocchi da costruzione). 

Oggi poche sono le “carcare” rimaste in Sicilia e sono tutte fuori produzione perché il gesso non trova più grande impiego ed anche perché si produce chimicamente e nessuno sa più cosa farsene delle fornaci di un tempo. 

Pertanto, insieme alla chiusura delle fornaci sono scomparsi usi, costumi e tradizioni che quel tipo di lavorazione aveva generato. 


Il gesso attualmente viene utilizzato in vari settori:

Edilizia: viene impiegato per la produzione di stucchi da interno. 

Agricoltura: viene ancora utilizzato, in maniera non corretta, per abbattere l’acidità del terreno.

Sport: viene utilizzato negli sport che prevedono un uso delle mani come punto di presa di attrezzi. 

Nella scuola è estremamente diffuso l'utilizzo di lavagne nere e su queste lavagne si usano per scrivere i cosiddetti gessetti, la cui scrittura può essere facilmente cancellata con uno straccio (cancellino) o una spugna bagnata,

Arte: esistono varie forme di arte che prevedono l'uso di gessetti colorati per disegni che solitamente vengono fatti su strade o marciapiedi come fanno i "Madonnari" in quanto solitamente dipingono immagini della Madonna o di santi. 


Per quanto riguarda il secondo termine Issaru di putìa, inteso come rivenditore di prodotto finito cioè frutto della lavorazione, a Chiusa Sclafani, che io ricordi, c’erano tre “putìe” che vendevano prodotti per l’edilizia, tra cui lu issu.


A Chiusa i rivenditori si rifornivano di Issu da commerciati di Montallegro, un paese della provincia di Agrigento.


Una importante putìa era quella del Signor Giuseppe Lo Verde, chiamato da tutti ’U zu Piddru ‘u Virdi molto preciso nel suo mestiere e grande conoscitore delle qualità dei “Canali” tegole di terracotta provenienti dagli stazzunara di Burgio. 


Io, come già accennato in altre occasioni, per andare a prendere la corriera per Bisacquino, passavo ogni mattina presto davanti la sua putìa e lo vedevo sempre indaffarato alle prese con i muratori, perché questi andavano a rifornirsi di issu e di altro materiale alla buon’ora.


Ogni tanto mi fermavo e gli chiedevo:

Zu Piddu quacchi vota m’havi a spiegare comu si fa lu issu?

Lui, un uomo minuto ma grande di cuore, sempre gentilissimo mi rispondeva:

Totò, la storia è longa, veni quacchi pomeriggiu ti la cuntu!

Poi si metteva a impostare le tegole e prendendone una mi disse:

Totò, tu ‘a sapiri chi ogni canali pi esseri bonu ‘avi a cantari!

Così dicendo, tenendo una tegola con la mano sinistra la batteva con la mano destra ed in effetti produceva un suono pieno.

Continuando mi diceva: 

Si nun canta nun è bona! E iu a unu a unu li fazzu cantari!
Forse mi voleva dire che quando lui comprava le tegole le provava singolarmente.

Continuava dicendo: 

Ni mia è tutta merci di prima qualità! 

Io per paura di perdere l’autobus, lo salutavo di fretta, e me ne andavo dicendo:

U sacciu! Quarchi pomeriggiu vegnu!

Continuando il discorso sulle “putie” dei gessai di Chiusa ricordo che in piazza Castello c’era mastru Pippinu Masseria che vendeva anche lui Issu ed altri prodotti per l’edilizia.

Invece, in via Torrente c’era un’altra putìa gestita da mastru Vicenzu “Giacatedda”, zio del compianto amico Coconedddru Giordano. Mastru Vicenzu aveva anche il carretto e faceva le consegne a domicilio.

Occorre dire che li Issara di Chiusa vendevano anche il cemento sfuso o a sacchi. Vendevano anche laterizi, “mattuna forati”, “mattuna chini”, maduna smaltati per cucine a “vapuri”, canala e canaletti


Ma, udite udite: vendevano pure la calce, che compravano a Sciacca presso la fornace Virgilio.


I muratori accattavanu la calce in zolle e poi la “squagliavano” nei fossi che facevano.

Era una operazione a cui bisognava stare attenti perché al momento che la “stemperavanu” (la immergevano nella vasca piena d’acqua), la pietra sciogliendosi iniziava a quarquariari come se bollisse, sprigionando schizzi che potevano colpire gli occhi, con le conseguenze che si possono immaginare.

La pietra adatta per la calce doveva essere una pietra composta da carbonato di calcio.

All'epoca se ne faceva largo uso ed era molto richiesta per costruire case, p'allattari li casi (imbiancare edifici), “pi disinfettari li gebbii” (disinfettare i bevai degli animali), ecc.

Oggi non è rimasto più nulla di quelle piccole “putìe” e sono state sostituite da grandi centri commerciali dove si trova tutto il materiale edile possibile ed immaginabile e nulla è rimasto delle vecchie “carcare” malgrado l’attività estrattiva fosse una buona fonte di reddito in Sicilia. 

Tutto è scomparso, restando solo il ricordo costituito da canti, feste popolari, proverbi, consuetudini familiari, legate alla trasmissione del mestiere di issaru di un tempo.




Appendice

Lu Issaru (Gessaio) lavorava la pietra gessosa che estraeva dalle cave sparse un po’ ovunque nel territorio siciliano ove erano ubicate nelle immediate vicinanze parecchie fornaci, chiamate carcari, di cui esistono attualmente solo pochi ruderi, che andrebbero protetti con maggiore cura possibile. 


Il lavoro del gessaio consisteva nel frantumare parte della collina con l’aiuto di polvere da sparo o dinamite dopodiché la pietra gessosa veniva inserita nei forni per cuocerla. 

La carcara era formata da due ambienti, di cui quello interno serviva alla cottura della pietra, mentre quello esterno era utilizzato per la raffinazione. 

Il lavoro consisteva nel sistemare i blocchi a modo di focolare, introducendo nel centro della paglia grezza che doveva bruciare lentamente minimo per 48 ore, provocando, così, la cottura della pietra. 

Dopo aver aspettato che si raffreddasse, veniva estratta pezzo per pezzo dalla fornace e trasportata nella prima camera, dove era pestata con una grossa mazza e ridotta in polvere, oppure pestata da una pesante ruota di pietra dura fatta girare da un asino. 

Il trasporto del prodotto finito dalle calcare ai magazzini anticamente avveniva a dorso d’asino, successivamente con carretti e automezzi vari.




1 commento:

  1. Grazie Pietro! Sono contento che il mio racconto inserito nel libro "Chiusa e chiusesi" da me scritto ed edito da Drepanum sia stato di tuo gradimento.

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