martedì 10 ottobre 2017

ROSSO FUOCO COME UN TRAMONTO PALERMITANO. Per una recensione del libro di Nicola Lo Bianco "In città al tramonto"






In città al tramonto di Nicola Lo Bianco, Bastogi editore, Roma 2017. Il titolo potrebbe suggerire, per quasi meccanica associazione temporale, lo struggente crepuscolo dantesco dei marinai quando loro s'intenerisce il core, ma visto che non di mare si tratta bensì prevalentemente di terraferma, il tramonto rosso fuoco, avvertito con corporalità terrestre dall'umanità insediata alla Kalsa o a Danisinni, a Ballarò o a Borgonuovo, fa risuonare versi di tutt'altra musica:

"Schifezza dell'umanità, figlia di pezzenti, primaria buttana,
 maledetta tu e tutta la tua razza,
 io ti ammazzo". 

("Cristofalo XV, "Il grande amore perduto"). 


Lo stesso autore del quadro riportato sulla copertina, Crescenzio Cane, di Nicola amico,  non rimanda a borghesi o letterarie malinconie, visto che il Maestro Cane è lo stesso inventore e assertore della "sicilitudine" nonché autore dell'arrabbiata e rivoluzionaria, in versi,  Bomba proletaria: poesia dei bisogni, quella di Cane, non certo poesia dei signori o decadente per vellicare palati proustiani, anche se nella sua pittura c'è una visione più rasserenata della realtà, come nel "Cavalluccio marino" della copertina.

Ma in città, al tramonto, è tragedia carnale di popolo. Nicola Lo Bianco la sa bene rappresentare per assidua propensione teatrale della sua scrittura.

Me l'aspettavo: così si dice quando uno ritrova in un libro lo stile e l'odore ovvero l'umore del suo autore.  Penso alla Rapsodia del centro storico, la silloge che ha vinto il Premio Casteluccio nell'edizione 1988 presieduta da salvatore Di Marco e da me curata; penso al Lamento ragionato sulla tomba di Falcone pubblicato da Salvatore Coppola per le sue edizioni nel 2010. Uno stile di linguaggio e di sentire che si è venuto confermando nel tempo.


Stile, sì, ma non come giuoco di parole bensì come etica della fantasia che esprime una certa idea dell'umanità. "Alla fin fine, signora mia, il marito carne di contratto è, / e si piange a merito" ("Cristofalo" XV).

Ma è prosa o poesia?

"Ch'era arrivato il tempo anche per lui Cristofalo lo capì
quando con la lanterna accesa e il foglio in mano
per dire metti la firma qua che sono innocente
i picciottazzi nati e cresciuti senza arte né parte
lo salutavano di lontano gli scanazzati
lo aspettavano, ehi, Cristofalo,
vieni a fare lustro a questa coppola di minchia,
e la nottata gli passava a sghignazzare
dandosi manate e pisciando al muro". 
("Cristofalo" V)

"Ti facevo campare nel benessere, e ti lamentavi.
C'era fame e miseria, e invece di ringraziarmi, mi sparlavi.
Ti sei fatta trattare per quella che eri, non c'eri nata per fare la signora.
Ci sono azioni peggiori del buttanesimo: una madre di sette figli che scende per strada come una zoccolara, si apposta, afferra e minaccia, alza le mani, chi? da dove viene?"
("Come finì la guerra tra Marò e Filì")

Poesia e prosa. E' l'una e l'altra, o, forse, né l'una né l'altra se l'una o l'altra la si vuol riconoscere formalmente con omogenità e lungo tutto un libro col metro della prosodia classica, eppure, il libro è compatto,  compattissimo, perché la poesia è dentro o meglio: c'è un ritmo di lingua e di fantasia che, rompendo la tradizionale attesa della prosa come prosa e della poesia come poesia,  riga dopo riga, a prescindere dal numero delle sillabe e degli accenti e delle rime, insomma, pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio, emergono  proprio loro, i personaggi, e che personaggi: reietti perdenti da galera sconosciuti che sentono a loro modo la vita e la contano, la cantano e si raccontano, hanno le loro pene, i loro sogni, la loro filosofia, lontani dalla morale corrente o borghese che dir si voglia.

Federica Greco


Lo Bianco amorevolmente li ascolta, li interiorizza, li rappresenta, dà loro voce e ribalta, assecondando  l'assunto di un altro scrittore atipico, amicissimo, affine nella poetica, Salvo Licata,  secondo cui "il mondo è degli sconosciuti". Assonanze di poetica, e considerato il valore dato alla parola, quasi una militanza, corroborata da  amichevole frequentazione. Me li ricordo assieme ad un appuntamento di tanti anni fa  in una tipografia di via Oreto: un fugace incontro, ma per me allusivamente significativo.

Assonanze, frequentazioni, dunque, scaturite, direi generate, da una certa idea della parola cercata nelle strade secondarie, nei quartieri malmessi, nei mercati popolari della città, a spremerne suoni, significati, giri sintattici, fallimenti, tragedie, degrado, non per compiacersene ma per andare alle radici sociali dei vinti, dei perdenti ovvero vittime perlopiù inconsapevoli di una generale ingiustizia, degli infelici che, però, promanano a loro modo, con autenticità, viscerale attaccamento alla vita tra fatti di sangue, povertà, devozionismo forse senza devozione, sboccato sentire, piaceri della carne perfino moralismo sui generis e intuitiva filosofia della vita.

Teatro "Ditirammu" di Rosa e Vito Parrinello


Di tutto questo serba sentore il libro di Nicola Lo Bianco che potrebbe intendersi per naturale propensione o destinazione una vera e propria piece teatrale:  sarebbe stata nelle corde dell'attore palermitano di origini racalmutesi Gigi Burruano da poco scomparso  che Nicola ha pianto affermando che con l'attore comico e tragico insieme, e non solo sulle scene, se ne andava "una parte di noi".

Il valore del libro di Lo Bianco sta anche in questo: nello scolpire con parole tutte carne e visceri la teatralità di una città anche nei suoi aspetti più scabrosi, così come bene è sintetizzato nella lettura di Alfio Inserra: "Così, attraverso un incalzare di flash in progress, supportati da vigore poetico, le vie e le piazze di questo agglomerato urbano si fanno agorà e teatro e ci chiamano alla compartecipazione di questa atmosfera drammatica".

Prosa, poesia, teatro? Questione superata dall'empito dell'autore che, tra reattività morale e compartecipazione con lo stesso mondo rappresentato, tracima i consueti steccati  linguistici, formali e semantici, per dar voce a chi voce non ha o non conta anche se grida; oscillante tra sogno e ansia di giustizia o felicità: sogni, ansia di giustizia, desiderio di felicità,  nei casi particolari o nella loro universalità, non seguono grammatiche e casellari, in nessuna lingua.



Nicola Lo Bianco al Teatro Ditirammu per la rappresentazione del suo spettacolo "Dichiarazione d'amore", 20 luglio 2017.
Anche le altre foto si riferiscono al suddetto spettacolo.
https://archivioepensamenti.blogspot.it/2017/07/dichiarazione-damore-spettacolo-di.html


1 commento:

  1. Caro Piero, questa tua travolgente recensione mi emoziona, mi commuove, e non perché dici di cosa mia, o non solo perché dici di cosa mia, ma perché hai aggiunto poesia a poesia, come c'è da aspettarsi non dal fine lettore, ma dal poeta che sei. Sì, è una rappresentazione di questa nostra città, della quale anche tu hai scritto camminando tra vicoli e mercati, un teatro degli esclusi, fuori dal circuito del falso splendore, esclusi dove solo, come ci ha insegnato il grande Franco Scaldati, oggi si può scavare un po' di autentica bellezza. Che dire Piero? Che certo questo tuo ispirato scritto sulla mia poesia, ancora una volta rivela una qual certa affinità artistica che ci fa amici elettivi. Buon lavoro. A presto.

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