lunedì 31 marzo 2014

ARIA E LUCE ALLA REGGIA DI MAREDOLCE. A PALERMO








E' conosciuto come Castello di Maredolce, conosciuto per modo di dire perché ancora molti lo sconoscono indipendentemente dalla classificazione architettonica. La conoscenza storica portava il mio amico Pier Franco a correggere l'impropria denominazione. Più correttamente dovrebbe essere Reggia o Sollazzo.


Stupendo manufatto arabo-normanno, decaduto nei secoli a venire fino ad essere ridotto nel XVII  a ricovero di animali e giù giù giù o su su su fino al XX secolo quando ciò che rimaneva della Reggia o Castello è stato stravolto, imbottito, avvolto da superfetazioni fantasiose e case abusive con cucine moderne, comodi soppalchi e perfino una nicchia plissettata alla persiana come capezzale all'esclusiva  alcova di un boss.


Da una ventina d'anni la tendenza si è invertita, per fortuna: si cerca di espropriare, togliere, abbattere, asportare ogni sedimentazione o muratura abusiva.

Sul lato che guarda monte Grifone l'area era rimasta miracolosamente libera anche se interrata e variamente coltivata: non ci vorrà molto per ripristinare il laghetto.


Ma sul lato che guarda la trafficatissima via Giafar alcune casupole e il tetto di alcuni capannoni ne hanno impedito la vista al fiume di macchine e passanti che hanno transitato in via Giafar, a cinquanta metri dalla reggia pressoché invisibile dalla strada.  

In verità si staglia oltre la linea dei tetti una piccola torretta, che distrattamente può sembrare un grande comignolo; ma risalendo secoli e secoli di storia,  come si può non immaginare ricoperta da una cupola sanguigna, una delle centinaia e centinaia di cui parlava Al Qatta nella sua documenta visita tanto da far sembrare Balarm un'emisferica, rossa melagrana.

Ritorniamo all'oggi: le casupole che fungono da muraglia tra la Reggia e la strada continuano ad occludere lo sguardo ai passanti ma l'area prospiciente il Sollazzo finalmente è stata liberata.

Come l'immagina Antonello Scarpulla; suo è il fotoritocco.
Per caso, venerdì, 28 marzo 2014, ho visto sotto i miei occhi le ruspe in opera e i muratori collocare cancellate dove prima c'erano muri e privati cancelli rivestiti di cieche lamiere. E' stato come una tappa di rintuzzamento  in un processo di assedio.

Ho il piacere di pubblicare le primissime foto dell'area liberata, e altre ancora: aria fuori, luce dentro, verde attorno.































Testo e foto ©pierocarbone







sabato 29 marzo 2014

LE CAVIE SIAMO NOI?

Circa un anno fa si organizzava  al Castelluccio di Racalmuto una mostra di sei artisti racalmutesi nell'ambito di una manifestazione che prevedeva diversi altri eventi. 

Per i suddetti artisti,  pittori e scultori, si è ipotizzata o auspicata l'appartenenza ad una "Scuola di Racalmuto" quasi a rinnovare i fasti del secentesco Monoculus Racalmutensis Pietro D'Asaro. 

Le ipotesi e gli auspici sarà il tempo, come ci auguriamo appunto,  a  inverarli, ma è una certezza che tutti hanno dimostrato e stano dimostrando continuità e vitalità nel loro lavoro. Come ad esempio, il giovane Simone Stuto e il veterano Nicolò Rizzo che ritroviamo, con mutata pelle, in qualità di curatore di una mostra che comprende quattro artisti tra cui il bravo Simone.

Riconoscendo le qualità pittoriche, grafiche, fotografiche, nonché la serietà, il rigore metodologico e la raffinatezza stilistica di Nicolò,  possiamo concedergli tranquillamente credito sulla qualità degli artisti su cui ha voluto incuriosire fin dall'annuncio della mostra stessa. 

Con le sue locandine, infatti,  e relativi messaggi baluginanti, parcellizzati, centellinati sul web, ci ha da un mese a questa parte  incuriositi, stuzzicati, provocati e infine accontentati,  rivelandoci apertis verbis di che cosa si trattava, i nomi degli artisti,  l'identità del curatore, del critico, il luogo e le date  dell'evento, i simpatizzanti, gli sponsors. Insomma, tutto quello che normalmente si comunica negli inviti e nei classici comunicati stampa a ridosso degli eventi. Lo ha fatto anche Nicolò, da accorto stratega della comunicazione.

Ma alla fine potremo dirci appagati? O le cavie siamo proprio noi? 

Bisognerà assolutamente verificarlo andando a vedere coi propri occhi la mostra e poi guardare, complici o dissenzienti, i suoi. 
Scommetto che reggerà lo sguardo.

Propongo alcune locandine "in crescendo" che hanno fatto seguito alla prima sulla quale su un elegante sfondo nero si leggeva semplicemente "Cavie". 






















Link correlati:









mercoledì 26 marzo 2014

L'ANGELO E LA CROCE



Quante volte siamo sostenuti da ciò che pensiamo di sostenere!






Ancilu appinnutu o chi la teni?

Miraculu si la campana sona!


La cruci mancu si nn'adduna:

l'ancilu tira, iddra lu susteni!


 Un ancilu nun cunta senza cruci,

e mancu na cruci senza peni.


P. C. 


Angelo appeso o la sostiene?
Miracolo, se la campana suona!

La croce manco se ne accorge:
l'angelo tira, lei lo sostiene!

Un angelo non conta senza croce,
e manco una croce senza sofferenze.





martedì 25 marzo 2014

IL NULLA E IL PARANULLA





"Eppure, strana la matematica in politica (e nel giornalismo): 

anche sul nulla, qualcuno lucra sempre qualcosa!" 







SMARAGDOS, Lo scornabecco non è un animale. Parainedito.

lunedì 24 marzo 2014

NON CHIUDE LA MOSTRA DI LOUISE HAMILTON CAICO A CALTAGIRONE






La mostra fotografica di Louise Hamilton Caico, organizzata da Sebastiano Favitta e Attilio Gerbino, presso la Galleria fotografica "L. Ghirri" di Caltagirone,  inaugurata il 22 febbraio scorso e che si sarebbe dovuta chiudere domenica 23 marzo come già annunciato, viene prorogata di un'altra settimana. 





  

Il laboratorio fotografico
di 
Louise Hamilton Caico

“La stanza della frutta,tuttavia, è piuttosto interessante, e abbastanza pulita, sebbene il pavimento il tetto e i muri siano molto grezzi; per quanto riguarda le porte e le finestre, meglio non parlarne.
Dico soltanto che hanno i difetti comuni a tutte le finestre e porte della sorprendente casa: le finestre rifiutano di aprirsi e le porte rifiutano fermamente di chiudersi.
Una lotta, perciò, segue sempre il mio ingresso nella stanza: la prima cosa che generalmente faccio è aprire le finestre e chiudere le porte, quest’ultimo non solo perché non mi piacciono le correnti d’aria, ma per impedire che i colombi, che hanno i posatoi vicino a questa porta, entrino nella stanza, dove li ho sorpresi a bere nel bagno di fissaggio e saltellare sulle foto umide.


Questa stanza è proprio in cima alla casa. Contiene molte grandi ceste di legno posati su trespoli, dove la frutta dei nostri frutteti (pere, arance e melograni) è distesa.
Corde sono stese attraverso la stanza ad una certa altezza per appendervi i grappoli.
Dall’altro lato vi sono una serie di casse di legno quadrate con coperchio, dove è tenuta la nostra riserva di farina.
Ogni mattina Annidda vi si reca, con una misura di legno, per prendere la giusta quantità di farina per fare il nostro pane.


Può colpire il lettore il fatto che una stanza dove la frutta e farina vengono conservate non sia esattamente la più pratica, per un fotografo dilettante, per la preparazione dei bagni di fissaggio e di viraggio, e fissare e asciugare le stampe.
C’è qualcosa di vero in ciò, ma la stanza è spaziosa, alta e arieggiata; ha una bella vista dalla finestra che domina dall’alto tutto il paese e i suoi gruppi di case basse e grigie; e quindi vicina ad essa la mia piccola camera oscura, dove tengo tutte le mie bottiglie.
E quindi, ancora, questa stanza essendo isolata in cima alla casa, non mi fa correre alcun rischio di essere interrotta o disturbata durante il mio lavoro.
Le casse della farina hanno circa l’altezza di un tavolo, e sono molto utili per fare le operazioni di fissaggio, viraggio e lavaggio.


Cosa succederebbe se qualche goccia del liquido di fissaggio cadesse nella cassa e sporcasse la farina?
Ancora, cosa succederebbe se, quando agito le stampe fuori dal bagno di fissaggio, qualche goccia raggiungesse i grappoli appesi sopra, o sulle pere nelle ceste?
Sono abbastanza felice quassù, e indisturbata, che è la cosa più importante.


Adesso che ho descritto la stanza della frutta, aggiungo che, quando Annidda venne zoppicando con le giare dell’acqua raccolta nei vari stanzini della casa,mi misi a lavorare, e lavorai indisturbata tutta la mattinata.
Allora lasciai le mie stampe ad asciugare su un lungo asse, posato da un lato nel vassoio dei peri e dall’altro nella cesta dei melograni, infine discesi nei piani bassi della casa.”

                                                                                                                                                           Louise CAICO

 Brano tratto da "Un giorno d’estate a Montedoro" in Sicilian Ways And Days, 1910.
Traduzione di Calogero MESSANA


Foto archivioepensamenti
Grafica delle locandine e dei manifesti di Attilio Gerbino

sabato 22 marzo 2014

DOPO LA MOSTRA A CALTAGIRONE CRESCE L'INTERESSE PER LOUISE HAMILTON CAICO



Domani 23 marzo si conclude la mostra a Caltagirone di Louise Hamilton Caico, con un arrivederci a Racalmuto dove la mostra sarà allestita al Castello Chiaramontano. 

La mostra di Caltagirone, grazie ai responsabili ed animatori della Galleria fotografica "Luigi Ghirri", Sebastiano Favitta e ad Attilio Gerbino, che l'hanno voluta e curata amorevolmente e con grande professionalità,  rappresenta una tappa importante per la fortuna critica di questa singolare donna animata da tanti interessi culturali e artistici, grazie anche a coloro che nel passato ne hanno coltivato la memoria e a quanti, cammin facendo, si vanno associando nel comune apprezzamento. 



Lo scorso 23 giugno alcune sue foto erano state già esposte al Castelluccio. 
A distanza di un anno, e dopo la tappa caltagironese presso la prestigiosa galleria fotografica "Ghirri",  Louise Hamilton Caico ritornerà attraverso  le immagini sui luoghi fotografati circa un secolo prima.

Il testo di Angelo Cutaia è stato approntato appositamente per la mostra di Caltagirone.





Louise Caico fotografa-etnografa
di
 Angelo Cutaia



Per cogliere le peculiarità della cultura di una comunità bisogna esserne estranei o estraniati.

Louise HAMILTON, si trova a Montedoro a cavallo del Novecento, per aver sposato un CAICO, esponente della famiglia principale del paese. 
Qui vive immersa in una civiltà ben differente da quella dell’Italia settentrionale, dove aveva vissuto col marito o di quella inglese d’origine. 


Per questo inizia a studiare il modo di vivere e le peculiarità antropologiche del posto ove l’onda del destino l’aveva depositata. Per documentare, per comunicare gli aspetti che lei reputava più caratteristici si fa scrittrice, si fa fotografa. Segue dunque il filone dei ricercatori etnografici del tempo.


Con il suo stile epistolare, sembra infatti che scriva alle amiche inglesi, annota quel che pochi montedoresi di allora potevano cogliere: la vita di un popolo saldamente legato alle proprie tradizioni; un microcosmo compiuto in sé e, allora, ritenuto immutabile. 
Più che la scrittura, l’immagine istantanea trasmette informazioni oggettive, immortalando per sempre un attimo del divenire infinito. 



Ed ecco allora che ella fotografa, cristallizza, sezioni temporali della vita di persone, di animali, di luoghi, di un paese dell’entroterra siciliano ai primi del secolo XX. Ogni sfaccettatura della realtà viene fotografata, annotata, commentata, archiviata a futura memoria. 


Il tutto trasfigurato dalla personale visione poetica. Louise fu tra le prime intellettuali ad interessarsi sociologicamente della cultura delle classi subalterne. 


Questa foto pero' non è stata scattata da Luisa Caico
 ma proviene dalla famiglia Licata(Ciciraro) di Montedoro.

Nelle foto dei contadini e zolfatai traspare il messaggio che non solo dai ceti elevati proviene la cultura, e la storia, di un popolo. Popolo studiato fin nei minimi dettagli con attenzione etnografica e apertura sentimentale di donna colta. 





Probabilmente è stata la prima ad immortalare le capre girgentane dalle eleganti corna elicoidali; e particolarmente efficace è la foto del vivace gregge che incontrò a Racalmuto; fondamentale documento storico, tanto più che oggi esse sono sparite da anni e le pecore stanno seguendo il loro triste destino.


Diede volto, e con gli scritti parola, a chi non aveva mai avuto volto e parola: artigiani, servitori, villani, zolfatai, borgesi, campieri e le loro donne: casalinghe, tessitrici, ricamatrici, cameriere, lavandaie, ecc., compresi i bambini dalle bellissime fallette unisex. 


Non si accontenta di conoscere l’ambiente urbano; compie escursioni nei paesi limitrofi, alle masserie, alle zolfare, scortata sempre da due fidi campieri di famiglia. 

Un giorno viene a Racalmuto. Qui, come riportato nel suo libro Sicilian ways end days, intervista sulla storia del paese un “anziano prete molto pittoresco”, che scopre poi essere stato in gioventù “intimo amico e compagno di briganti”. Involontariamente la nostra scrittrice ci tratteggia la figura di un prete che ha partecipato alla resistenza antisavoiarda – liquidata come brigantaggio – all’indomani dell’annessione della Sicilia al Piemonte, spacciata per Unificazione italiana. 

Ci lascia dunque documenti etnografici unici. 
Chi conoscerebbe la conformazione a schiena d’asino del ponte del Catalano, oggi crollato e di cui non si trovano neanche i resti? Chi la forma a tronco piramidale delle balate di zolfo?


 La foto del prospetto della cappella del Castelluccio, a distanza di un secolo, è stata utile per progettarne il restauro. 


E le fontane? e la vita che vi si svolgeva?


 Ed altro ancora.


Tutta l’atmosfera dell’epoca si ammira nelle oltre seicento fotografie che Calogero MESSANA ha raccolto, con certosina pazienza e dedizione, mettendole gratuitamente a disposizione degli studiosi, degli appassionati di fotografia e dei curiosi, in un suo locale a Montedoro. 

Nel giugno 2013 una sua selezione di foto è stata mostrata al Castelluccio (Gibillina) di Racalmuto. 


Oggi, con sicuro intuito di artisti, Attilio GERBINO e Sebastiano FAVITTA, affettuosamente sostenuti dal pigmalione Piero CARBONE, ne curano la mostra a Caltagirone, nella sede prestigiosa della Corte Capitaniale, presso la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI, nell’ambito della Rassegna Fotografica 2014 Luce del Sud_Lungo la soglia dell’Occidente.



Sicuramente questo evento prelude, per la qualificata attività di promozione della fotografia siciliana dei nostri due artisti fotografi GERBINO e FAVITTA, per la indefessa ricerca di Calogero MESSANA e per la sagacia organizzatrice di Piero CARBONE, ad una maggiore diffusione e valorizzazione dell’opera della CAICO, che, anche per loro merito, a distanza di un secolo viene riconosciuta nei suoi valori scientifici ed artistici e conquista la ribalta nazionale, e domani, ne sono certo, internazionale. 




A partire da questa mostra, la documentazione fotografica della CAICO non è più patrimonio culturale esclusivo di Montedoro, ma entra finalmente a pieno titolo in quello della Sicilia.

                                                                                     Angelo CUTAIA
                                                 per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI Racalmuto, febbraio 2014