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Blog di Piero Carbone (da Racalmuto, vive a Palermo). Parole e immagini in "fricassea". Con qualche link. Sicilincónie. Sicilinconìe. Passeggiate tra le stelle. Letture tematiche, tramite i tags. Materiali propri, ©piero carbone, o di amici ospiti indicati di volta in volta. Non è una testata giornalistica. Regola: se si riportano materiali del blog, citare sempre la fonte con relativo link. Contatti: a.pensamenti@virgilio.it Commenti (non anonimi). Grazie
giovedì 30 novembre 2017
SULLA RABBIA DELLE DONNE DI MISILMERI E LA RIVOLTA DEL SETTE E MEZZO. Ce ne riferisce Antonella Folgheretti
archivio e pensamenti: LA RABBIA DELLE DONNE DI MISILMERI E LA RIVOLTA DEL SETTE E MEZZO. Coversazione con Antonella Fogheretti
Per una più agevole lettura, si ripropone in una nuova disposizione grafica l'intervento di Antonella Folgheretti pubblicato ieri.
Le foto sono state scattate all'interno dell'aula comunale di Misilmeri in diverse occasioni.
Scrisse Gaetano Falzone che, in Sicilia, dopo il "Sette e mezzo vi è la mafia". E la riflessione è certamente degna di nota.
La rivolta del 1866, iniziata a Palermo per protesta contro le vessazioni del governo piemontese da quegli stessi capibanda che appoggiarono nel 1860 l´impresa garibaldina, presto coinvolse le squadre dei contadini del comprensorio, circa quattromila uomini. Siciliani ampiamente convinti che il nuovo Regno non aveva mantenuto le promesse iniziali, ma, anzi, le aveva dimenticate.
Una volta entrati in città, nella notte tra il 15 ed il 16 settembre 1866, i rivoltosi rapidamente riuscirono a sollevare l´intera popolazione. La ribellione fu imponente: fonti governative parlano di 35-40 mila uomini in armi. Ma è chiaro che non fu una sommossa del tutto spontanea, piuttosto una rivolta organizzata favorita dalla situazione economica disastrosa e dallo scoppio della terza guerra d´indipendenza che stava mostrando la debolezza del governo savoiardo in seguito alle sconfitte di Custoza e di Lissa.
Nella rivolta del 1866 insorsero contemporaneamente sia l´opposizione di estrema destra, nobili e clero, che quella di estrema sinistra. Indicativo è il fatto che la giunta rivoluzionaria aveva un presidente borbonico, il principe di Linguaglossa, e un segretario mazziniano, Francesco Bonafede.
Per sette giorni e mezzo - dal 16 al 23 settembre - Palermo resterà in mano ai rivoltosi. E solo in seguito all´impiego di 40.000 soldati e soprattutto dei bombardamenti a tappeto, la rivolta verrà sedata. Si conteranno, alla fine, migliaia di morti e migliaia di prigionieri. E in una terra ricca di emarginati, poveri ed oppressi l´esito della vicenda spingerà molti a passare al brigantaggio.
La scintilla della rivolta fu a Palermo, poi il fuoco raggiunse Monreale, dove venne fatta fuori un´intera compagnia di granatieri; quindi toccò a Boccadifalco, con lo sterminio di un reparto di carabinieri "piemontesi", e a Misilmeri, dove, alla fine di una giornata campale, tra saccheggi, incendi, eccidi, si contarono i cadaveri di trentuno tra carabinieri e guardie di pubblica sicurezza. Un trentaduesimo morto si ebbe tre giorni dopo.
Scrive il "Giornale di Sicilia" il 24 settembre 1866: "A Misilmeri si commisero atrocità senza esempio e senza riscontro negli annali della più efferata barbaria".
Un anno durissimo, il 1866.
A flagellare i siciliani arrivarono la coscrizione militare obbligatoria, il colera (solo a Misilmeri mieterà quattrocento vittime), la tassa sul tabacco. Il 20 settembre, diffusasi la notizia della rivolta a Palermo, i contadini, fomentati dai capipopolo in odor di mafia - molti dei quali, nel 1860, avevano appoggiato l´impresa di Garibaldi -, insorsero, assaltando le caserme dei carabinieri e delle guardie di pubblica sicurezza, in via La Masa.
A guidarli, i banditi Domenico Giordano e Giovanbattista Plescia. Nei giorni immediatamente precedenti, i carabinieri, in tre distinti episodi, avevano fatto fuoco contro inermi cittadini: tre i morti misilmeresi, Giuseppe Amato, Domenico Bono e Nicolò Costa.
In piazza Comitato gli insorti raggiunsero, aiutati dal sagrestano dell´arcipretura, un certo Lo Gerfo, il campanile della chiesa madre. Il comandante dei carabinieri, il maresciallo d´alloggio a cavallo Girolamo Grimaldi, rifiutò dapprima di trattare con i ribelli. I colpi dei fucili, sottratti dagli insorti alla guardia nazionale di Misilmeri, raggiunsero l´obiettivo. I membri delle forze dell´ordine verranno raggiunti uno ad uno, seviziati, decapitati sommariamente. Alcuni, però, riuscirono a fuggire.
Fu proprio Grimaldi, con due carabinieri, a fuggire per via Raffaello, abbandonando i suoi. Altri due carabinieri, di pattuglia a Gibilrossa, individuando il pericolo fuggirono verso Palermo. Un carabiniere venne salvato dalla fidanzata misilemrese, che lo nascose travestito in abiti femminili.
Un altro, invece, trovandosi fuori dalla caserma quando scoppiò la rivolta, tenterà la fuga per i lavatoi pubblici di via Generale Sucato. Intercettato e riconosciuto dalle donne, venne ucciso barbaramente a colpi di pietre e a morsi, all´interno dei lavatoi pubblici.
I carabinieri inserrati all´interno della caserma di via La Masa resisteranno per un´intera giornata. Poi isseranno bandiera bianca. Ma gli insorti non avranno pietà e, aperta la porta della caserma, cominceranno a sparare. Le salme giaceranno per ore e ore all´interno della caserma, mentre il popolo e i capibanda si daranno al saccheggio e alle rapine.
Verranno bruciati l´archivio comunale, i registri di estimo, lo stato civile.
Le teste di alcune delle vittime vennero fatte rotolare in piazza, altre montate su bastoni, portate in processione per le vie principali di Misilmeri. I corpi di due carabinieri vennero squartati, le membra appesa ai ganci di un macellaio.
Il macabro spettacolo venne acclamato dalla folla.
Il 21 settembre, a sera, i corpi verranno condotti in aperta campagna, in due fosse comuni scavate frettolosamente nei due punti opposti del paese: in contrada Blaschi, fondo La Rosa, e in contrada Incorvina, fondo Russitano. Senza funerali, né registrazione di atti di morte.
Su ventisette carabinieri allora presenti a Misilmeri, se ne erano salvati appena sei.
Tra i morti, ventuno carabinieri e dieci guardie di pubblica sicurezza. Ed ecco i nomi dei carabinieri uccisi: Amenta Sebastiano, Armano Giovanni, Bozzanga Orazio, Bria Giovanbattista, Caria Francesco, Castagna Luigi, Ciacci Tommaso, Di Salvo Carmelo, Calipò Rosario, La Greca Ferdinando, Treccani Santo, Lazzarini Giovanni, Maccia Luigi, Mameli Salvatore, Morale Sebastiano, Praga Stefano, Rappieri Florio, Sanna Antonio, Sessini Antonio, Sassella Giuseppe, Tarulli Giuseppe.
Ma alcuni fatti pongono dubbi: ad esempio, non intervenne la guardia nazionale, né la compagnia del LXX reggimento di fanteria di stanza allora a Misilmeri. Per ristabilire l´ordine, giunsero il paese le regie truppe, che occuparono la chiesa di Gesù e Maria. La rivolta venne sedata nel sangue.
Centinaia furono gli arresti.
Trentasette gli imputati, poi condannati, al processo.
Qualche tempo dopo, i resti dei trentuno verranno disseppelliti da due capibanda mafiosi della zona e risepolti altrove. Sul luogo della sepoltura provvisoria, il sindaco Vincenzo Sparti farà erigere due sarcofagi. In seguito, concludendosi i lavori al nuovo Cimitero comunale, secondo quanto riportato negli archivi del Fondo Prefettura, al 1 ottobre 1874, in un documento del Municipio di Misilmeri, al n. prot. 1850, si deciderà di erigere un cippo al carabiniere. A dare notizia del dissotterramento delle ossa dei militari sarà, il 13 dicembre 1874, la rivista "Il precursore".
I resti dei trentuno verranno seppelliti nel camposanto il 20 dicembre 1874 alle ore 10. Il monumento funebre, dalle linee austere, riporta una scritta: "Qui i prodi militari caduti nella reazione del Settembre 1866 riposano" e nel retro: "Il municipio di Misilmeri pose anno 1874"
L´ultima traslazione delle vittime della rivolta del "Sette e mezzo" a Misilmeri venne preceduta da cerimonia religiosa officiata nella Chiesa Madre, alla presenza delle autorità, dall´arciprete Balletta.
La mafia locale, si tramanda in paese, vi trovò l´occasione per recare un´ultima offesa ai caduti.
Il sindaco Sparti morirà suicida nel 1878, dopo avere fatto abbattere la chiesa della Madonna delle Grazie per far posto alla attuale via Generale Sucato.
I clericali e i mafiosi festeggeranno pubblicamente la sua dipartita.
In occasione del I Centenario dell´insurrezione, l´11 ottobre 1966, una lapide venne affissa all´interno della Caserma Bonsignore di Palermo a ricordare le vittime della rivolta del 1866 di tutta la provincia.
Altri morti, in quei giorni del 1866, si contarono a Ogliastro, oggi Bolognetta, dove i corpi di tre militari piemontesi, denudati e mutilati, furono trascinati per le strade; quattro carabinieri si suicidarono all´interno della locale caserma, gridando «Viva l'Italia», per non cadere vivi nelle mani dei ribelli siciliani. La Sicilia era insorta contro l'Italia dei Savoia, sei anni dopo l´annessione, con atrocità che ricordano la Vandea. Bibliografia Gaspare Pirrello "Barbagli di luce sulla rivolta del 1866 a Misilmeri", Tipografia Pezzino 1929 Giacomo Pagano "Avvenimenti del 1866: 7 giorni d´insurrezione a Palermo", 1867.
ph ©piero carbone (2016, nell'aula consiliare di Misilmeri)
Per una più agevole lettura, si ripropone in una nuova disposizione grafica l'intervento di Antonella Folgheretti pubblicato ieri.
Le foto sono state scattate all'interno dell'aula comunale di Misilmeri in diverse occasioni.
La rivolta del "Sette e mezzo" a Misilmeri
di
Antonella Folgheretti
Scrisse Gaetano Falzone che, in Sicilia, dopo il "Sette e mezzo vi è la mafia". E la riflessione è certamente degna di nota.
La rivolta del 1866, iniziata a Palermo per protesta contro le vessazioni del governo piemontese da quegli stessi capibanda che appoggiarono nel 1860 l´impresa garibaldina, presto coinvolse le squadre dei contadini del comprensorio, circa quattromila uomini. Siciliani ampiamente convinti che il nuovo Regno non aveva mantenuto le promesse iniziali, ma, anzi, le aveva dimenticate.
Una volta entrati in città, nella notte tra il 15 ed il 16 settembre 1866, i rivoltosi rapidamente riuscirono a sollevare l´intera popolazione. La ribellione fu imponente: fonti governative parlano di 35-40 mila uomini in armi. Ma è chiaro che non fu una sommossa del tutto spontanea, piuttosto una rivolta organizzata favorita dalla situazione economica disastrosa e dallo scoppio della terza guerra d´indipendenza che stava mostrando la debolezza del governo savoiardo in seguito alle sconfitte di Custoza e di Lissa.
Nella rivolta del 1866 insorsero contemporaneamente sia l´opposizione di estrema destra, nobili e clero, che quella di estrema sinistra. Indicativo è il fatto che la giunta rivoluzionaria aveva un presidente borbonico, il principe di Linguaglossa, e un segretario mazziniano, Francesco Bonafede.
Per sette giorni e mezzo - dal 16 al 23 settembre - Palermo resterà in mano ai rivoltosi. E solo in seguito all´impiego di 40.000 soldati e soprattutto dei bombardamenti a tappeto, la rivolta verrà sedata. Si conteranno, alla fine, migliaia di morti e migliaia di prigionieri. E in una terra ricca di emarginati, poveri ed oppressi l´esito della vicenda spingerà molti a passare al brigantaggio.
La scintilla della rivolta fu a Palermo, poi il fuoco raggiunse Monreale, dove venne fatta fuori un´intera compagnia di granatieri; quindi toccò a Boccadifalco, con lo sterminio di un reparto di carabinieri "piemontesi", e a Misilmeri, dove, alla fine di una giornata campale, tra saccheggi, incendi, eccidi, si contarono i cadaveri di trentuno tra carabinieri e guardie di pubblica sicurezza. Un trentaduesimo morto si ebbe tre giorni dopo.
Scrive il "Giornale di Sicilia" il 24 settembre 1866: "A Misilmeri si commisero atrocità senza esempio e senza riscontro negli annali della più efferata barbaria".
Un anno durissimo, il 1866.
A guidarli, i banditi Domenico Giordano e Giovanbattista Plescia. Nei giorni immediatamente precedenti, i carabinieri, in tre distinti episodi, avevano fatto fuoco contro inermi cittadini: tre i morti misilmeresi, Giuseppe Amato, Domenico Bono e Nicolò Costa.
In piazza Comitato gli insorti raggiunsero, aiutati dal sagrestano dell´arcipretura, un certo Lo Gerfo, il campanile della chiesa madre. Il comandante dei carabinieri, il maresciallo d´alloggio a cavallo Girolamo Grimaldi, rifiutò dapprima di trattare con i ribelli. I colpi dei fucili, sottratti dagli insorti alla guardia nazionale di Misilmeri, raggiunsero l´obiettivo. I membri delle forze dell´ordine verranno raggiunti uno ad uno, seviziati, decapitati sommariamente. Alcuni, però, riuscirono a fuggire.
Fu proprio Grimaldi, con due carabinieri, a fuggire per via Raffaello, abbandonando i suoi. Altri due carabinieri, di pattuglia a Gibilrossa, individuando il pericolo fuggirono verso Palermo. Un carabiniere venne salvato dalla fidanzata misilemrese, che lo nascose travestito in abiti femminili.
Un altro, invece, trovandosi fuori dalla caserma quando scoppiò la rivolta, tenterà la fuga per i lavatoi pubblici di via Generale Sucato. Intercettato e riconosciuto dalle donne, venne ucciso barbaramente a colpi di pietre e a morsi, all´interno dei lavatoi pubblici.
I carabinieri inserrati all´interno della caserma di via La Masa resisteranno per un´intera giornata. Poi isseranno bandiera bianca. Ma gli insorti non avranno pietà e, aperta la porta della caserma, cominceranno a sparare. Le salme giaceranno per ore e ore all´interno della caserma, mentre il popolo e i capibanda si daranno al saccheggio e alle rapine.
Verranno bruciati l´archivio comunale, i registri di estimo, lo stato civile.
Le teste di alcune delle vittime vennero fatte rotolare in piazza, altre montate su bastoni, portate in processione per le vie principali di Misilmeri. I corpi di due carabinieri vennero squartati, le membra appesa ai ganci di un macellaio.
Il macabro spettacolo venne acclamato dalla folla.
Il 21 settembre, a sera, i corpi verranno condotti in aperta campagna, in due fosse comuni scavate frettolosamente nei due punti opposti del paese: in contrada Blaschi, fondo La Rosa, e in contrada Incorvina, fondo Russitano. Senza funerali, né registrazione di atti di morte.
Su ventisette carabinieri allora presenti a Misilmeri, se ne erano salvati appena sei.
Ma alcuni fatti pongono dubbi: ad esempio, non intervenne la guardia nazionale, né la compagnia del LXX reggimento di fanteria di stanza allora a Misilmeri. Per ristabilire l´ordine, giunsero il paese le regie truppe, che occuparono la chiesa di Gesù e Maria. La rivolta venne sedata nel sangue.
Centinaia furono gli arresti.
Trentasette gli imputati, poi condannati, al processo.
I resti dei trentuno verranno seppelliti nel camposanto il 20 dicembre 1874 alle ore 10. Il monumento funebre, dalle linee austere, riporta una scritta: "Qui i prodi militari caduti nella reazione del Settembre 1866 riposano" e nel retro: "Il municipio di Misilmeri pose anno 1874"
L´ultima traslazione delle vittime della rivolta del "Sette e mezzo" a Misilmeri venne preceduta da cerimonia religiosa officiata nella Chiesa Madre, alla presenza delle autorità, dall´arciprete Balletta.
La mafia locale, si tramanda in paese, vi trovò l´occasione per recare un´ultima offesa ai caduti.
Il sindaco Sparti morirà suicida nel 1878, dopo avere fatto abbattere la chiesa della Madonna delle Grazie per far posto alla attuale via Generale Sucato.
I clericali e i mafiosi festeggeranno pubblicamente la sua dipartita.
In occasione del I Centenario dell´insurrezione, l´11 ottobre 1966, una lapide venne affissa all´interno della Caserma Bonsignore di Palermo a ricordare le vittime della rivolta del 1866 di tutta la provincia.
Altri morti, in quei giorni del 1866, si contarono a Ogliastro, oggi Bolognetta, dove i corpi di tre militari piemontesi, denudati e mutilati, furono trascinati per le strade; quattro carabinieri si suicidarono all´interno della locale caserma, gridando «Viva l'Italia», per non cadere vivi nelle mani dei ribelli siciliani. La Sicilia era insorta contro l'Italia dei Savoia, sei anni dopo l´annessione, con atrocità che ricordano la Vandea. Bibliografia Gaspare Pirrello "Barbagli di luce sulla rivolta del 1866 a Misilmeri", Tipografia Pezzino 1929 Giacomo Pagano "Avvenimenti del 1866: 7 giorni d´insurrezione a Palermo", 1867.
mercoledì 29 novembre 2017
LA RABBIA DELLE DONNE DI MISILMERI E LA RIVOLTA DEL SETTE E MEZZO. Coversazione con Antonella Fogheretti
pag 8: Voi inorridite che le nostre povere donne di Misilmeri abbiano sgolato grida selvagge. Ma voi non vi siete ricordato della loro miseria. Voi non vi siete ricordato del momento psi- cologico in cui scoppiò l'ira delle affamate e non vi siete neppure ricordato che i vostri inglesi, a po- chi mesi di distanza, hanno conquistato la Birmania, e massacrato i vinti colle scariche delle mitra- gliatrici e portate in processione, per le vie di Mandalay, le teste dei capi che avevano voluto difen- dere la capitale colle armi. La vostra civiltà, o signore, è una civiltà violenta, una civiltà che permet- te al forte di impoverire il debole, che vive di stragi e si diguazza nel sangue delle sue vittime».
documenti di prima mano?
non avevo dubbi; mi ha incuriosito il riferimento nel romanzo e a chi potevo chiedere lumi?
l rivolta del "Sette e mezzo" a Misilmeri
Scrisse Gaetano Falzone che, in Sicilia, dopo il "Sette e mezzo vi è la mafia". E la riflessione è certamente degna di nota.
La rivolta del 1866, iniziata a Palermo per protesta contro le vessazioni del governo piemontese da quegli stessi capibanda che appoggiarono nel 1860 l´impresa garibaldina, presto coinvolse le squadre dei contadini del comprensorio, circa quattromila uomini. Siciliani ampiamente convinti che il nuovo Regno non aveva mantenuto le promesse iniziali, ma, anzi, le aveva dimenticate.
Una volta entrati in città, nella notte tra il 15 ed il 16 settembre 1866, i rivoltosi rapidamente riuscirono a sollevare l´intera popolazione. La ribellione fu imponente: fonti governative parlano di 35-40 mila uomini in armi. Ma è chiaro che non fu una sommossa del tutto spontanea, piuttosto una rivolta organizzata favorita dalla situazione economica disastrosa e dallo scoppio della terza guerra d´indipendenza che stava mostrando la debolezza del governo savoiardo in seguito alle sconfitte di Custoza e di Lissa.
Nella rivolta del 1866 insorsero contemporaneamente sia l´opposizione di estrema destra, nobili e clero, che quella di estrema sinistra. Indicativo è il fatto che la giunta rivoluzionaria aveva un presidente borbonico, il principe di Linguaglossa, e un segretario mazziniano, Francesco Bonafede.
Per sette giorni e mezzo - dal 16 al 23 settembre - Palermo resterà in mano ai rivoltosi. E solo in seguito all´impiego di 40.000 soldati e soprattutto dei bombardamenti a tappeto, la rivolta verrà sedata. Si conteranno, alla fine, migliaia di morti e migliaia di prigionieri. E in una terra ricca di emarginati, poveri ed oppressi l´esito della vicenda spingerà molti a passare al brigantaggio.
La scintilla della rivolta fu a Palermo, poi il fuoco raggiunse Monreale, dove venne fatta fuori un´intera compagnia di granatieri; quindi toccò a Boccadifalco, con lo sterminio di un reparto di carabinieri "piemontesi", e a Misilmeri, dove, alla fine di una giornata campale, tra saccheggi, incendi, eccidi, si contarono i cadaveri di trentuno tra carabinieri e guardie di pubblica sicurezza. Un trentaduesimo morto si ebbe tre giorni dopo. Scrive il "Giornale di Sicilia" il 24 settembre 1866: "A Misilmeri si commisero atrocità senza esempio e senza riscontro negli annali della più efferata barbaria".
Un anno durissimo, il 1866. A flagellare i siciliani arrivarono la coscrizione militare obbligatoria, il colera (solo a Misilmeri mieterà quattrocento vittime), la tassa sul tabacco. Il 20 settembre, diffusasi la notizia della rivolta a Palermo, i contadini, fomentati dai capipopolo in odor di mafia - molti dei quali, nel 1860, avevano appoggiato l´impresa di Garibaldi -, insorsero, assaltando le caserme dei carabinieri e delle guardie di pubblica sicurezza, in via La Masa. A guidarli, i banditi Domenico Giordano e Giovanbattista Plescia. Nei giorni immediatamente precedenti, i carabinieri, in tre distinti episodi, avevano fatto fuoco contro inermi cittadini: tre i morti misilmeresi, Giuseppe Amato, Domenico Bono e Nicolò Costa.
In piazza Comitato gli insorti raggiunsero, aiutati dal sagrestano dell´arcipretura, un certo Lo Gerfo, il campanile della chiesa madre. Il comandante dei carabinieri, il maresciallo d´alloggio a cavallo Girolamo Grimaldi, rifiutò dapprima di trattare con i ribelli. I colpi dei fucili, sottratti dagli insorti alla guardia nazionale di Misilmeri, raggiunsero l´obiettivo. I membri delle forze dell´ordine verranno raggiunti uno ad uno, seviziati, decapitati sommariamente. Alcuni, però, riuscirono a fuggire. Fu proprio Grimaldi, con due carabinieri, a fuggire per via Raffaello, abbandonando i suoi. Altri due carabinieri, di pattuglia a Gibilrossa, individuando il pericolo fuggirono verso Palermo. Un carabiniere venne salvato dalla fidanzata misilemrese, che lo nascose travestito in abiti femminili. Un altro, invece, trovandosi fuori dalla caserma quando scoppiò la rivolta, tenterà la fuga per i lavatoi pubblici di via Generale Sucato. Intercettato e riconosciuto dalle donne, venne ucciso barbaramente a colpi di pietre e a morsi. all´interno dei lavatoi pubblici. I carabinieri inserrati all´interno della caserma di via La Masa resisteranno per un´intera giornata. Poi isseranno bandiera bianca. Ma gli insorti non avranno pietà e, aperta la porta della caserma, cominceranno a sparare. Le salme giaceranno per ore e ore all´interno della caserma, mentre il popolo e i capibanda si daranno al saccheggio e alle rapine. Verranno bruciati l´archivio comunale, i registri di estimo, lo stato civile.
Le teste di alcune delle vittime vennero fatte rotolare in piazza, altre montate su bastoni, portate in processione per le vie principali di Misilmeri. I corpi di due carabinieri vennero squartati, le membra appesa ai ganci di un macellaio. Il macabro spettacolo venne acclamato dalla folla. Il 21 settembre, a sera, i corpi verranno condotti in aperta campagna, in due fosse comuni scavate frettolosamente nei due punti opposti del paese: in contrada Blaschi, fondo La Rosa, e in contrada Incorvina, fondo Russitano. Senza funerali, né registrazione di atti di morte. Su ventisette carabinieri allora presenti a Misilmeri, se ne erano salvati appena sei. Tra i morti, ventuno carabinieri e dieci guardie di pubblica sicurezza. Ed ecco i nomi dei carabinieri uccisi: Amenta Sebastiano, Armano Giovanni, Bozzanga Orazio, Bria Giovanbattista, Caria Francesco, Castagna Luigi, Ciacci Tommaso, Di Salvo Carmelo, Calipò Rosario, La Greca Ferdinando, Treccani Santo, Lazzarini Giovanni, Maccia Luigi, Mameli Salvatore, Morale Sebastiano, Praga Stefano, Rappieri Florio, Sanna Antonio, Sessini Antonio, Sassella Giuseppe, Tarulli Giuseppe. Ma alcuni fatti pongono dubbi: ad esempio, non intervenne la guardia nazionale, né la compagnia del LXX reggimento di fanteria di stanza allora a Misilmeri.
Per ristabilire l´ordine, giunsero il paese le regie truppe, che occuparono la chiesa di Gesù e Maria. La rivolta venne sedata nel sangue. Centinaia furono gli arresti. Trentasette gli imputati, poi condannati, al processo.
Qualche tempo dopo, i resti dei trentuno verranno disseppelliti da due capibanda mafiosi della zona e risepolti altrove. Sul luogo della sepoltura provvisoria, il sindaco Vincenzo Sparti farà erigere due sarcofagi. In seguito, concludendosi i lavori al nuovo Cimitero comunale, secondo quanto riportato negli archivi del Fondo Prefettura, al 1 ottobre 1874, in un documento del Municipio di Misilmeri, al n. prot. 1850, si deciderà di erigere un cippo al carabiniere. A dare notizia del dissotterramento delle ossa dei militari sarà, il 13 dicembre 1874, la rivista "Il precursore". I resti dei trentuno verranno seppelliti nel camposanto il 20 dicembre 1874 alle ore 10. Il monumento funebre, dalle linee austere, riporta una scritta:
"Qui
i prodi militari
caduti
nella reazione
del Settembre 1866
riposano"
e nel retro:
"Il municipio
di Misilmeri
pose
anno 1874"
L´ultima traslazione delle vittime della rivolta del "Sette e mezzo" a Misilmeri venne preceduta da cerimonia religiosa officiata nella Chiesa Madre, alla presenza delle autorità, dall´arciprete Balletta. La mafia locale, si tramanda in paese, vi trovò l´occasione per recare un´ultima offesa ai caduti. Il sindaco Sparti morirà suicida nel 1878, dopo avere fatto abbattere la chiesa della Madonna delle Grazie per far posto alla attuale via Generale Sucato. I clericali e i mafiosi festeggeranno pubblicamente la sua dipartita.
In occasione del I Centenario dell´insurrezione, l´11 ottobre 1966, una lapide venne affissa all´interno della Caserma Bonsignore di Palermo a ricordare le vittime della rivolta del 1866 di tutta la provincia.
Altri morti, in quei giorni del 1866, si contarono a Ogliastro, oggi Bolognetta, dove i corpi di tre militari piemontesi, denudati e mutilati, furono trascinati per le strade; quattro carabinieri si suicidarono all´interno della locale caserma, gridando «Viva l'Italia», per non cadere vivi nelle mani dei ribelli siciliani.
La Sicilia era insorta contro l'Italia dei Savoia, sei anni dopo l´annessione, con atrocità che ricordano la Vandea.
Bibliografia
Gaspare Pirrello "Barbagli di luce sulla rivolta del 1866 a Misilmeri", Tipografia Pezzino 1929
Giacomo Pagano "Avvenimenti del 1866: 7 giorni d´insurrezione a Palermo", 1867
appena possibile faremo quelle escursioni storico-fotografiche che avevamo ipotizzato quella sera bellissima e inaspettata
sicuramente; grazie per i riferimenti bibliografici. Buona serata.
martedì 28 novembre 2017
MESSANA TER. ASSESSORE PIÙ, ASSESSORE MENO. Notizia irrilevante o dipende dai nomi?
Mia Nota di ieri su Facebook ( con parziali annotazioni temporali)
Renzo Collura, "Omaggio a Pietro D'Asaro" (olio su tela, cm. 60x60, 1986) |
MESSANA TER. NOTIZIA IRRILEVANTE? O DIPENDE DAI NOMI?
PIERO CARBONE DA RACALMUTO·LUNEDÌ 27 NOVEMBRE 2017
Apprendo che è stato indicato il quarto assessore, anzi, assessora, della nuova giunta Messana da un giornale agrigentino, sulla stampa on line racalmutese e blog vari, che ci avevano informato, minuto per minuto, dell’azzeramento e delle successive mosse, neanche l’ombra. Notizia irrilevante soltanto ora? O dipende dalla scuola di giornalismo che si segue?
Non mi ero appassionato prima ma continuo a non disinteressarmi delle sorti del mio paese, a prescindere dai nomi.
*
Commenti: 2
Commenti
Piero Carbone da Racalmuto o forse il sindaco questa volta, chissà perché, non si è fidato della stampa e dei blog nostrani per affidare loro la notizia mentre la stava facendo. Questione di nomi? Ma la stampa non dovrebbe essere disinteressata, imparziale e neutra? Tante e varie sono le scuole di giornalismo, evidentemente!
.
lunedì 27 novembre 2017
LA VOCE "INCONFONDIBILE" DI ANNA MARIA BONFIGLIO. Presentazione del libro "D'amuri e di raggia"
Venerdì 24 novembre 2017, all'Istituto dei ciechi, presentazione del libro D''amuri e di raggia di Anna Maria Bonfiglio, organizzata dall'Associazione Kaleidos.
Tommaso Romano ha enucleato la poetica di Anna Maria con le sue venature psicologiche, formali, estetiche, in sintesi, a prescindere dalla lingua adottata, definisce la sua poesia "una voce inconfondibile..." .
Io mi sono soffermato sulla scelta della forma dialettale adottata e sulle assonanze con altri poeti.
Il discordo introduttivo, sapientemente propedeutico, di Nicola Romano, che qui si riporta, ha fornito le coordinate per intendere e inquadrare il processo evolutivo di una poetessa a tutto tondo che approda ad " una poesia di largo respiro e che si conferma squisitamente 'autentica'”.
Interventi musicali:
Lorena Scarlata (mezzosoprano)
Salvatore Scinaldi (pianista)
Foto di Viviana Taormina e Maria Pia Lo Verso
Dopo vent'anni D'amuri e di raggia
di
Nicola Romano
L’insieme si contraddistingue soprattutto per la presenza d’immagini fortemente interiorizzate e rivestite da un linguaggio dialettale incisivo ed appropriato, una sorta di valore aggiunto se si pensa che il dialetto vuole appartenere alla precisa espressione del nostro mondo “privato”, alla sfera della nostra matrice identitaria. Da osservare che, se nella prima raccolta “Spinnu” la nostra Autrice aveva ritenuto opportuno inserire a margine d’ogni testo la traduzione di alcuni particolari vocaboli, in questa raccolta - pur non entrando nei meriti che da sempre risultano afferenti alla questione dialettale - tende soltanto a puntualizzare, nella sua breve premessa che è da considerare “tecnica”, di avere usato un dialetto aderente alla sua parlata originaria, “avendo cura di non trascurare l’aspetto ortografico e grammaticale, pur riducendo al necessario l’uso dei segni diacritici”.
Questa, oltre ad essere una sua considerazione tecnica, è una precisazione ”professionale” che fa comprendere quella che è la sua costante attenzione verso il dialetto siciliano e verso le sue antiche o attuali problematiche, anche se tale premessa alla fine sembra risultare ininfluente per quello che è il connotato poetico in questione che, mettendo da parte qualsiasi concetto prettamente sintattico-grammaticale, aspira a voler comunicare con il lettore in un linguaggio che, come sappiamo, è un codice, un cifrario la cui decodificazione è affidata alla sensibilità e all’avvertenza di chi legge.
E comunque, siamo in presenza d’una poesia di largo respiro e che si conferma squisitamente “autentica”, e che essa è figlia d’un percorso attento ed evoluto che ha condotto la Bonfiglio verso una gemmazione di toni ancora più sicuri e di colori nuovi in un contesto, per tanti versi, già maturo e ancor di più profondamente pensoso d’immagini.
L’arghi fannu lu lippu a la carina;
la luna s’addummisci a la campia;
li labbra s’assuppavanu di meli;
ora lu tempu è cutra ca m’accupa…
sono lacerti di endecasillabi altamente lirici che sicuramente s’insinuano nel solco emotivo e nella sensibilità di ognuno di noi, versi che conducono dentro luoghi o atmosfere di rarefatto coinvolgimento.
E quella dicotomia, quel contrasto che sembra annunciarsi nel titolo non trova poi corrispondenza nella trattazione delle due opposte condizioni d’animo, dal momento che parlando sia d’amuri che di raggia, la Bonfiglio sembra adottare uguali toni armonici, la stessa tensione di linguaggio, nonchè la stessa dolce fluidità espressiva che conferiscono allo spazio, in cui è collocata l’intera raccolta, una sua oggettiva compiutezza poetica.
E quella dicotomia, quel contrasto che sembra annunciarsi nel titolo non trova poi corrispondenza nella trattazione delle due opposte condizioni d’animo, dal momento che parlando sia d’amuri che di raggia, la Bonfiglio sembra adottare uguali toni armonici, la stessa tensione di linguaggio, nonchè la stessa dolce fluidità espressiva che conferiscono allo spazio, in cui è collocata l’intera raccolta, una sua oggettiva compiutezza poetica.
D’altronde – come ebbe a dire Andrea Camilleri in una sua recente nota sulla nostra Autrice – “nella poesia di Anna Maria Bonfiglio c’è una perfetta adesione, in un certo senso gioiosa, alla vita, manifestando un equilibrio che le consente di non essere mai banale e mai allo stesso tempo ricercata”.