2/2 - QUANDO LA SPAZZATURA ERA UNA RISORSA E NON UN PROBLEMA. Anche a Racalmuto



Disegno dei primi del Novecento. Non firmato.

I cànteri siciliani di cui parla Bonaviri ne L’incominciamento non hanno nulla a che fare, oltre l’assonanza, con i medievali “cantàri di gesta” spagnuoli o franzesi: nessun Cid o forsennato Orlando.

“I cànteri, usati per i bisogni corporali, per lo più venivano da Caltagirone, dove esiste una fiorente industria di ceramica. Infatti, per i più poveri si facevano cànteri d’argilla granellata d’una grigia terra detta dei monaci; per i ricchi, erano smaltati, con, a volte, pitture esterne, lineari, o in rilievo, in simil-oro, frequentissimamente dipinte di cavalieri e gran dame, o di onde spinte dal vento nel mare dove si sommergeva la luna.


“Lo smaltimento delle materie fecali era uguale per tutti: o si buttavano fuori paese lungo declivi in cui in aprile crescevano ortiche, o piccoli meli selvatici in bianca fioritura; oppure, quando passava col carretto sopra una enorme botte, il canteràro (mia madre ricorda massaro Paolo, sempre intabarrato in un fazzoletto color ciliegia: ‘O donne, gridava, passa il canteràro!’), le femmine si premuravano a fargli svuotare quei recipienti. 
Massaro Paolo ne faceva commercio con paesi vicini, o lontani, come Vittoria, dove si concimavano gli orti”.


Raccolta in diverse parti e in diversi modi, la mondizia, anche a Racalmuto, andava a finire nelle campagne, per ritornare in paese riciclata sotto forma di frutti della terra. Nelle campagne nei giardini negli orti, tutta lì andava a finire. 

L’ultimo raccoglitore di cui resta vago ricordo, fumiraro o canteràro che fosse, è mastru Graziu col suo sgangherato carretto e uno spelacchiato mulo che pareva un asino. 

Storicamente, una parte cospicua della munnìzza era destinata a concimare gli orti i cui ortaggi venivano venduti per pagare la gabella ai Withaker.

Da Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Withaker, Coppola Editore, Trapani 2006. Presentazione di Rosario Lentini. Copertina di Nicolò D'Alessandro.

domenica 30 agosto 2015

1/2 - QUANDO LA SPAZZATURA ERA UNA RISORSA E NON UN PROBLEMA. Anche a Racalmuto


  
Chi, nel 1903, si aggiudicò per 1790 lire annue l’appalto del trasporto della spazzatura, aveva l’obbligo di farlo quotidianamente, compresi i giorni festivi.
Dalla ditta appaltatrice la spazzatura veniva raccolta nelle vie e piazze di Racalmuto e rivenduta come concime, per aumentare i profitti.

“Nella parola spazzatura - recitava l’art. 8 del capitolato - si comprende ogni sorta di mondizie, fimo, fanghiglia, polvere, stracci, pietre sparse ed altro”.


Il fimo ovvero il letame, miracoloso per il terreno, veniva raccolto dalle strade dopo essere stato disseminato da carovane di muli, cortei di capre e pecore, mute di cani senza padrone, stuoli di galline fuori le gabbie. Poi c’era quello accumulato nei punti di raccolta abusivi detti, con frase apparentemente francesizzante - e perché no catalana? -, darriè li casi, dietro le case, dove puntualmente campeggiava la scritta “vietato lordare” e dove puntualmente si formavano arcipelaghi di rifiuti d’ogni sorta.
Carogne semisepolte affioravano tumefatte. Il puzzore! In reconditi nascondimenti si sentivano guaiti e teneri miagolii di cuccioli e gattini abbandonati. I proprietari delle stalle vi andavano a svuotare cufìna e cuffùna di letame.

Gli immondezzai “dietro le case” erano assaltati di giorno da nugoli di mosche verdazzurre e al calar della sera diventavano frequentatissimi, fungevano da discarica e da gabinetti pubblici, quelli privati non esistevano affatto; negli angoli oscuri, immerse in nubi dense di indescrivibili odori, sagome accosciate emettevano brevi grugniti mentre intente ai bisogni corporali si davano la schiena per preservare spazi formali di pudore. Anche loro producevano concime. 
E letteratura.

Mattone in cemento colorato, cm. 20 x 20, 1940 ca.
Fabbrica G. & G. Martorelli, Racalmuto (Agrigento)

Il divino Omero, nel diciassettesimo libro dell’Odissea, ci fa sapere, cantando, che il letame era una ricchezza, veniva ammonticchiato con orgoglio presso le porte delle regge, da lì trasferito nei campi, e che Argo, il fedele cane di Ulisse, secondo la traduzione del Pindemonte, “giacea nel molto fimo di muli e buoi”.
In tempi più recenti, “tanti ebbero, bambini, un luogo di rapimenti e spaventi - soffitta o bosco - da visitare”, ha scritto Gesualdo Bufalino in Museo d’ombre. “A me orecchie rosse e felicità vennero da una meraviglia più ricca, l’immondezzaio comunale”.

Pagine d’album sul punto di stingere ci hanno lasciato Bufalino e Bonaviri sui fumirari di Comiso e i canterari di Mineo. Le loro immagini ci fanno capire che, sotto il riguardo dell’immondizia, veramente “ogni mondo è paese”. O meglio, lo era: sono mutati per fortuna i parametri dell’igiene pubblica e privata.

“Come accompagna lo sciacallo le carovane e il delfino le navi - ricor- da Bufalino - ‘u fumiraru’ (il venditore di letame) pedinava i quadrupedi lungo gli itinerari consueti del loro giornaliero cammino, per raccogliere le ciambelle che a intervalli regolari quelli sgravavano sul terreno a guisa di fumanti pietre miliari. Felice chi poteva a sera, rientrando a casa sfibrato dal sole, togliersi di dosso ed esibire agli occhi sgranati della famiglia un cancièddu (corbello) traboccante di superbo raccolto!”.

Da Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Withaker, Coppola Editore, Trapani 2006. Presentazione di Rosario Lentini. Copertina di Nicolò D'Alessandro

sabato 29 agosto 2015

AUTOREFERENZIALE CHI? Asterischi di Smaragdos



Quando i giornalisti si servono dei loro giornali, in cui lavorano, per lodarsi e rilodarsi tra di loro (parenti e affini compresi) a colpi di titoloni e paginoni e pseudogiudizioni celebrativi, in occasione di tutti e sette i sacramenti in cui si imbattono come tutti gli altri lettori e cittadini (battesimo, cresima, etc.) e, in più, per i sette doni dello Spirito Santo  (sapienza, fortezza, etc.) e, in più, pur di lodarsi, per i sette vizi capitali (superbia, avarizia, etc. ) e, in più, per ogni naturale appuntamento della vita o per ogni laico starnuto che scappa loro in inverno e in estate, risultano, forse senza accorgersene, noiosamente autoreferenziali: turiferai di un incenso senza odore.

Come potrebbero, come a volte capita, accusare di autoreferenzialità gli altri? O fare i moralisti dei comportamenti altrui?

Ma per fortuna chi, giornalisticamente parlando, è alle prese con le notizie vere e i problemi incalzanti, non si perde dietro vacue quisquilie.
A costo di un'amichevole lode in meno e di una tagliente critica in più.


Smaragdos, Lo scornabecco non è un animale. Parainedito.


Foto ©pierocarbone

venerdì 28 agosto 2015

"TREMANO" TUTTI IN SICILIA. In una poesia di Giuseppe Rizzo del 1903




[...]

Trema Mussomeli, Sutera, Cammarata,
Camprofrango e la terra di li Grutti
Gridammu ccu una vuci spavintata
Viva Maria Santissima di lu Munti.
                           
Trema Caltanissetta e San Cataldu
Li terri attornu di Pietraprizia
Cianci Castrogiovanni e Biannannu
E Leonforti lacrimannu iva

Trema Lintini, lu Sciumi, lu ponti
Caru Lintini trimà ccu Chiaramunti
Trinnò ccu Patrinnò li Greci e Bronti
Di lautri terri nun mi dava cciù cunti.
                        
Nni ciancìanu barunati, Duchi e Conti
Vittiru li castii di Diu, ch’eranu junti
Nun canusceru e gridaru all’impronti.



Santissima Rigina di lu Munti.
Trema Vutera ccu S. Maria
E finu a Ciazza li littu su giunti
Caltagiruni lacrimannu jva

Daduni di la ruri nun nnava cunti
La cità di Minì festa faciva
E Cristu nun po rriciviri cchiu sti cunti
Grida la terra di Palagunia
Santissima Rigina di lu munti.
                       
Trimaru li muntagni e li Casala
Lu maluppassa e la Mastra Lucia
La terra cca trimà, di la pidala
E Tri Castagni lacrimannu jva.

            [...]

Trema Naru, Palma e la Favara
E a Girgenti li gran castighi eranu junti
Grida la terra di Siculiana
A Rafadali l’ultimi trapunti

Catolica e Ragona lacrimava
E Racalmuto nun sapia sti cunti
Tri foru nni li valli di Mazzara
Trapani e la Madonna di lu Munti.
                       
Trema S. Milasi ccu Caltabellotta
Marsala trema, Castedduvitrano
Rivela e la Sammuca è quasi morta
Mutammu bona liggi Cristiani

Ogni Santu la terra si cunorta
Cca la Sicilia è misa tutta ‘ncianu,
E Racalmuto vittoria porta
Cca Maria di lu Munti l’avi ‘mmanu.
                       
Lu paisi di Cunigliuni trimà mmerso la grona
Termini e Marinè ‘ntra una matina
Arcamu dissi nun è cosa buona
A murriali mutaru duttrina.

Arriva mpalermu e la Gloria sona
Di lu Munti lodammu sta Riggina.

                       
Di lu Munti Maria dammi memoria
Siti la Matri di lu nostru Signuri
Siti la la Matri di li peccaturi
‘Mparadisu ricchizzi e ‘ncelu gloria

Lu ‘mpernu cca pri nnu è misu a rimuri
Vitti arrivari li momenti e punti
Vitti cicari li mura ccu l’antri
Chiamammu a Maria SS. di lu Munti.
                       

Carma lu tirrimotu e nun va cciu avanti

[...]


RIZZO GIUSEPPE fu CALOGERO da Racalmuto, 
Dopu quattru seculi l’anniversariu di Maria SS. di lu Munti di Racalmuto (1903)


Manifesto della Festa realizzato dal prof. Gaspare Arrostuto

Link correlato:

mercoledì 26 agosto 2015

COME LA LUNA. Asterisco di Smaragdos sui blog





In un blog personale si enuclea il suo profilo anche da ciò che non vi si pubblica. Come la luna: la parte che non si vede determina suggestioni e forme della rimanente che si vede.


Smaragdos, Lo scornabecco non è un animale. Parainedito