sabato 31 gennaio 2015

IL ROSSO E IL NERO: IL COMUNISTA BONANNO E L'ARCIPRETE PUMA

seguito del post di ieri 30.1.2015:





Davanti a questo grande quadro, composto come un onirico sogno rossoaccceso con turbe di candidi angeli e un assorto Giacobbe in altrettanta candida veste, Padre Alfonso Puma dissertò animatamente con Pippo Bonanno di teologia e di pittura.


Uno rosso comunista, esuberante, ateo, pittore militante dagli accesi cromatismi e dai sensuali ammiccamenti, l'altro ecclesiastico, arciprete, pittore casto e centellinato, teologicamente corretto, misticheggiante ma molto umano. 

Due mondi apparentemente inconciliabili.



Eppure, nel fervore delle accese discussioni, trovarono nei ragionamenti un punto di raccordo in Blaise Pascal e nel rapporto umano una profonda, reciproca stima e direi, pur nella esigua frequentazione, un fraterno affetto, quasi un'amicizia.

Si conobbero nella primavera del 1989, in occasione della mostra di Pippo Bonanno a Racalmuto, fu un incontro reciprocamente fruttuoso ma su aspetti diversi: per Bonanno fu uno stimolo spirituale e intellettuale che forse andava cercando da tempo e cioè riaccostarsi, seppure criticamente, alla religione dell'infanzia, degli avi, della nonna racalmutese; per Padre Puma fu un'occasione feconda per reimpastare la tavolozza dei suoi colori. 

Fu naturale che, l'anno successivo,  quando glielo chiesi, Pippo Bonanno  ne scrivesse il testo critico di presentazione alla mostra dell'amico Alfonso Puma, mostra che faceva seguito ad altre mostre (poche in verità) dopo tanto, tanto tempo. 














Da sx: dr. Enzo Sardo, Padre Alfonso Puma, dr. Vincenzo Milioto


Seguiranno i post con il testo critico di mons. Domenico De Gregorio e l'intervista di Elia Marino.




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Testi e immagini dal catalogo della mostra: Alfonso Puma, La natura delle cose, Auditorium "Santa Chiara" (Racalmuto), 5 - 16 luglio 1991

venerdì 30 gennaio 2015

DIPINGENDO TRA LE PARROCCHIE DI RACALMUTO





Manca la data finale che ha chiuso la vicenda di Alfonso Puma
come uomo come sacerdote come artista: 2 gennaio 2008.
Una data che si schiude al ricordo. Triplice ricordo.








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Testi e immagini dal catalogo della mostra: Alfonso Puma,  La natura delle cose, Auditorium "Santa Chiara" (Racalmuto),  5 - 16 luglio 1991

giovedì 29 gennaio 2015

QUEL GESTO DI LILLO MARINO

Singolare testimonianza di Rita Mattina su un personaggio che, nonostante le difficoltà  nel vivere e nell'organizzare con i parametri della corrente normalità la propria vita, nonostante la sostanziale solitudine, si è reso protagonista di un lucido gesto di generosità fino a rammaricarsi di non aver potuto dare la propria vita in cambio di un'altra ritenuta più utile, un gesto che, per l'analogo sentimento di altruismo,  richiama quello che ha voluto e potuto fare Padre Massimiliano Kolbe in un campo di concentramento sostituendosi a un padre di famiglia condannato a morte dai nazisti.






Lillo dal grande cuore
di
Rita Mattina



Lillo Marino, uomo dal grande cuore.

Concedetemi di raccontare un fatto accaduto di cui lui, Lillo, ne è il protagonista. Mio padre è morto all'età di 47 anni lasciando nel mondo una moglie distrutta dal dolore, costretta da sola a tirare avanti con grandi sacrifici, sei figli tutti piccoli. 

Quando mio padre era nella bara, in casa, si presentò Lillo Marino, con i suoi abiti logori e sporchi, tutti i presenti si indignarono un po', ma lui con rispetto e timidezza, con gli occhi lucidi di pianto, con un dolore vero, si avvicinò a mio padre e alzando lo sguardo al cielo esclamò:



Signuri miu, a mia t'aviatu a pigliari, ca nun aju a nuddru e sugnu sulu, no a iddu ca avi sei figli!


Mia mamma (cugina di Lillo) lo raccontava sempre e per me Lillo è e rimane la persona più buona, sensibile, amorevole che abbia mai conosciuto. Per me ha lasciato un profumo di eterno, rimane un angelo che ricorderò per sempre con tanto, tanto, tantissimo affetto. 
Ci rincontreremo, Lillo, e ti darò tantissimi baci che avrei voluto darti quando eri in vita...

Ciao, Lillo!








Foto: archiviopierocarbone 1987

mercoledì 28 gennaio 2015

SAPER VIVERE È SAPER MORIRE




"La scienza è  conoscenza delle cose, la sapienza è conoscenza della vita. 
La mancanza di scienza è ignoranza e difficoltà a vivere, la mancanza di sapienza è stoltezza e facilità a morire. 
La scienza a tutti è utile, la sapienza a tutti necessaria.

Chi siamo e perché viviamo? 
Donde veniamo e dove siamo diretti? 
Che cosa è la vita e quale la via giusta per camminarvi? 
Tutti siamo chiamati a interrogarci e a rispondere, tutti a riflettere. Tutti ad avere la necessaria luce per vederci.

Più luce!"


Racalmuto, 24 agosto1995                                                                                                                                               Calogero Salvo








L'Amico del Popolo, 1 ottobre 1995



Altri pensieri

martedì 27 gennaio 2015

CHI CANCELLA RACALMUTO CANCELLA SCIASCIA







A sospettarne la risposta non gliel'avrebbe mai richiesto. E invece...

Così Smaragdos rispose a Birribaida di Misilindo che gli aveva richiesto un parere sull'opportunità di cambiare nome al paese natale dello scrittore famoso sostituendolo, in segno di omaggio, con un altro di fantasia inventato dallo stesso scrittore:

"Dopo avere recitato fino alla noia la giaculatoria come una giugulatoria e ammonito il mondo intero col connubio Racalmuto = Sciascia, Sciascia = Racalmuto, Racalmuto come "il paese di Sciascia" per antonomasia e Sciascia come "il figlio più illustre di Racalmuto", oggi,  taluni officianti ne decretano la condanna a morte onomastica, eliminando uno dei due termini dell'endiadi.  Che siano gli stessi, smemorati officianti di ieri? Declamazioni, asserzioni utilizzate come sgabelli, su cui montare per sopraelevare la vista un po'.

Noiosi ieri, inopportuni oggi.

Sciascia, si sa, è il padre di Regalpetra in quanto autore delle Parrocchie di Regalpetra,  Regalpetra è una sua creatura, ora, cassando il nome di Racalmuto per rimpiazzarlo con il parto onomastico di sua fantasia, lo si vorrebbe figlio, figlio di Regalpetra, figlio di sua figlia. Solo una volta è capitato nella storia dell'umanità, e che umanità! Un'umanità molto divina.

Ora et nunc, - a Messina direbbero uòra uòra -, alcuni, scambiando Regalpetra per la Madonna e Sciascia per Gesù Cristo, sono sul punto di reindirizzare, come novelli Dante tramite San Bernardo, i paradisiaci versi:





"Vergine madre, figlia del tuo figlio,


umile e alta più che creatura,


termine fisso d'etterno consiglio,




tu se' colei che l'umana natura


nobilitasti sì, che 'l suo fattore


non disdegnò di farsi sua fattura. 



Dante Alighieri, Paradiso canto XXXIII"


Birribaida di Misilindo gradì la nota di Smaragdos e lo ringraziò con un biglietto che terminava con Regalpetra me genuit e un verso sibillino:



O Regalpetra di sciasciana fattura etc. etc. etc. "


Smaragdos lesse perplesso e rimase con gli occhi rivolti al soffitto mente ripeteva interrogativamente, tra sé e sé, me genuit? me genuit?!...".


Coraldo, Marzuchi & Jacopino, Passeggiando con Smaragdos. Parainedito







Links correlati:

L'articolo
La canzone





Nelle foto: scultura e dipinto del Museo diocesano di Palermo







lunedì 26 gennaio 2015

IL FILM SU ITALO E IL FEEDBACK VIRTUOSO



Un cane che 

andava in chiesa eludendo il cartello con su scritto 
"divieto d'ingresso ai cani", 
seguiva i cortei funebri, 
salvava le ragazze dalle aggressioni, 
assisteva ai consigli comunali, 
partecipava ai convegni culturali, 
fungeva da guida turistica ai visitatori dei monumenti di Scicli 
e dei luoghi del commissario Montalbano, 
accompagnava i ragazzi all'entrata e all'uscita  da scuola...








La storia di quel cane è diventata un film! 
Me ne aveva parlato tempo addietro Aurelio Caliri in occasione di un libro di racconti sugli animali che voleva dedicare ad un cane speciale che si chiamava Italo. Ne riportai la notizia sul blog. Sollecitato ora dalla recente uscita del film ho condiviso il link del vecchio post su fb.
L'amico Santino Petruzzella legge il post e ripesca un ricordo e una foto che inverano il contenuto del film recentemente prodotto. Si tratta di un feedback virtuoso, anche per la foto ritrovata. 

"Penso di aver conosciuto Italo. Qualche anno addietro , visitando Scicli , mi colpì questo cane che se ne stava tranquillamente a girare in una Chiesa, da solo , tanto che lo fotografai. Ho ricercato tra le ormai migliaia di foto digitali e l'ho trovata."







Foto di Santo Petruzzella


domenica 25 gennaio 2015

IL SICILIANO IN CORSICA







Sò vinti scritti scelti in a pruduzzione puetica di tutti i tempi è tutte e culture. 
L’arte di Scalabrino i trasferisce in a so lingua, u sicilianu, ed hè un veru incantu. 
Ùn si tratta cum’è spessu spessu di un passa è veni chì storce sguardu è mente ciambuttendu vi da pagina manca à pagina diritta, esitendu trà lingua d’urigine è lingua di traduzzione è fendu di u lettore un traculinu chì ùn mancu duve sbatte di capu... Innò, quì, u viaghju vi porta à bon portu. In un imaginariu duv’ellu vi accoglie u traduttore-pueta. Quellu di a so lingua è chì ne diventa, a stonda ch’è vo lighjite, a vostra. 
Piero Carbone a dice in un prefaziu eruditu ed assinnatu “Senza voler disattendere il compito originario, per far rivivere, come s’aspetta Steiner dal traduttore, “l’atto creativo che aveva informato la struttura dall’originale”, Marco Scalabrino cosa fa? Smonta l’originale, lo dimentica e nel ricordo dell’esperienza vissuta lo riscrive nel e con un dialetto: il suo. Basterebbe pensare alle sue prove su Catullo, Peter Thabit Jones, A. Freitas, Nat Scammacca, tanto per citare alcuni nomi. Sono autori certamente amati e già incontrati nei suoi studi. 
E sicuramente la molla adesso è stata quella di piegare duttilmente il “siciliano” come a voler dimostrare che la sua ricchezza fonetica e semantica è tale da frantumare la barriera d’una lingua straniera.

Ind’è iss’opera propiu curata, di forma discreta ma di ambizione tamanta, Scalabrino riesce à pienu. Ci hà a primura sempre attiva di ricuverà a musica uriginale di u puema ch’ellu traduce è si attalenta à scavà u prufondu di u patrimoniu lessicale di Sicilia, da sculinà ci i termini i più capaci à fà spampanà e figure è u sensu di l’opera ch’ellu traduce.
Basta una fidighjata è un suppulellu di cumplicità literaria è vi vene di un colpu l’impressione -l’illusione? Ma tandu hè un incantu!- d’esse l’ospite di un imaginariu linguisticu ch’è vo ùn sapiate micca di pussede. È vi scuprite, cù l’incantu pueticu, capace di una lingua più!
Da pensà chì s’ella entre in ballu a puesia vera, a traduzzione da larga balia à e lingue. Quelle maiò è l’altre pensate chjuche. Tutte!

Sotto la cupola ampia del dialetto, quasi a dire che (il dialetto) non teme cimento, Scalabrino aduna poeti senza limiti geografico-temporali oltre-ché linguistici: autori di due continenti, di disparate regioni dell’Europa e delle Americhe, che si collocano dalla classicità, Orazio e Catullo, e, con uno smisurato balzo, ai nostri giorni, taluni addirittura ancora vi-venti: Jacques Thiers, Peter Thabit Jones, Iacyr A. Freitas; autori plane-tariamente noti, Wislawa Szymborska, Charles Bukowski, Edgar Lee Masters, fianco a fianco ad autori scarsamente noti o pressoché scono-sciuti in Italia: Duncan Glen, Robert Garioch, Hugh Mac Diarmid. 
La traduzione talvolta coincide con un’opera di promozione scaturita da una consapevole e coraggiosa assunzione di responsabilità nell’implicito giudizio positivo. Un paio di loro, benché stranieri, e cioè Nat Scam-macca e Peter Russell, risultano sostanzialmente “adottati” dall’Italia e in special modo dalla Sicilia. 
“Tutti, nondimeno, autori – precisa il nostro poeta-traduttore – di spessore, di valore, che trovano, tramite questo umile tributo, una ribalta, una piccola finestra per affacciarsi ed entrare a far parte della cultura siciliana.”









Testi e immagini da www.interromania.com

sabato 24 gennaio 2015

MI PIACE SEGNALARE UN BLOG


L'ho scoperto casualmente in rete e l'ho trovato interessante, 
fonte di stimoli, conoscenze, riflessioni. 

Penso che certi territori della conoscenza
 quando sono ben marcati
 aiutino a definire quelli altrui.









venerdì 23 gennaio 2015

MA FACEBOOK È O NON È UN CORTILE?




Alcuni, sentenziando e moraleggiando impudentemente dal loro balcone-web, vogliono passare per snob definendo il balcone-web degli altri, e facebook in particolare, un "cortile", intendendo il cortile solo ed esclusivamente sotto l'aspetto negativo delle sciarre  (liti) ravvicinate o del parlare a vuoto o sboccato su cose di nullissima importanza, ma poi... ma poi che succede?

Quegli stessi presunti snob, autoproclamatisi non "curtigliari", inondano il web e tutte le bacheche facebook di amici e di amici di amici e di amici degli amici di amici con i loro links, e giù lìnchis lìnchis lìnchis che rimandano a notizie ed elaborazioni gravitanti intorno ai loro prediletti argomenti e pretesti, lìnchis di cui molti destinatari farebbero volentieri a meno perché non di loro interesse o di diverso orientamento. 

Capisco che, anche su facebook, per non codificato bon ton, lo scambio di links sulle bacheche personali altrui possa avvenire tra "amici", ma sempre per tacita o esplicita intesa, e su ambiti di comune interesse, potendo risultare ciò piacevole o utile addirittura, ma se a farlo indiscriminatamente e arbitrariamente è un giornale va tutto a discapito sia del bon ton sia dell'oggettività del giornale stesso. 

Un tal comportamento compulsivo alla fine nuoce al giornale stesso perché distrae dal contenuto degli articoli veicolati in quanto fa nascere collaterali domande: perché tanta insistenza? importa comunicare serenamente e oggettivamente qualcosa oppure l'informazione e le problematiche affrontate, quali che esse siano, passano in secondo piano perché primieramente importa il cliccare un link? e perché mai? perché questo voler trasformare le bacheche personali degli "amici" in "ripetitori" acritici di un giornale e di tutto ciò che esso cucina? 
Contravvenendo, una tale prassi, il noto adagio secondo il quale mangiari e vistiri a so piaciri, uno deve magiare e vestirsi seguendo i propri gusti!

La cosa buffa è che se uno chiede di attenuare o selezionare la martellante condivisione passa per brutto carattere. Non mancano esempi.

Tacessero almeno preventivamente, quelli che al "cortile" di facebook non sanno comunque rinunciare e del disprezzato cortile, invasivamente, se ne servono per poi vantarsi della profluvie di clic sui loro lìnchis!


P.S. 
Chi vuol essere snob ed esibirsi come tale a tutti i costi, si perde l'occasione di vivere e apprezzare tanta umanità che si "consuma" anche nei cortili di questo mondo, vera galassia di umanità.
Non bisogna scambiare il cortile fisico di paesi e città, oggetto di seri studi dell'etnografia, della sociologia e dell'antropologia, con il cortile come scurrile categoria dello spirito: ma in questo caso il cortile non c'entra. E neanche facebook.

Smaragdos, Lo scornabecco non è un animale. Parainedito



Link correlato:

Video sul Cortile Cascino, 
ispirato a una indagine sociologica di Danilo Dolci

giovedì 22 gennaio 2015

CORNACCHIA O CANARINO?




“La poesia è un canarino in una miniera di carbone”

ha scritto l'americano J. Lawrence Ferlinghetti.





"In Sicilia abbiamo
cornacchie in miniere di bianco sale
e corvi in miniere di giallo zolfo."
Smaragdos, Lo scornabecco non è un animale.
 Parainedito




Ho tratto spunto (da sviluppare ovviamente) dal suggestivo post


mercoledì 21 gennaio 2015

UN GALLO CHE PUNGE




Mario Gallo, I vespi siciliani in "Lumìe di Sicilia", n.7 - giugno 1990


martedì 20 gennaio 2015

FILOSOFIA IN PILLOLE SICILIANE

FILOSOFIA IN PILLOLE SICILIANE 
DI
 CAROLYN MARY KLEEFELD 
TRAMITE
 GAETANO CIPOLLA




Può il dialetto inoltrarsi negli arditi meandri di meditazioni filosofiche?  Per Gaetano Cipolla evidentemente sì. 

Animato da questa convinzione ha tradotto e pubblicato con le edizioni Legas di Mineola (N.Y.) - Ottawa (Canada), in collaborazione con la Cross Cultural Communication di Merryck (N.Y.), Soul Seed. Revelations and Drawings (philosophical aphorism and art) della scrittrice americana Karolyn Mary Kleefeld. Il titolo completo del frontespizio pertanto è il seguente:




L'aspetto interessante o curioso del libro, oltre il contenuto, è la sua traduzione in siciliano. Che sia tradotto in italiano per gli italofoni, nella fattispecie per gli italofoni d'America, è scontato, non fa una grinza, ma è anche vero che non fa notizia. Fa notizia invece l'altra traduzione. 
Ma perché in dialetto? Per chi? Perché?
Le domande sono così insite nella stessa operazione editoriale che vengono offerte le risposte sia all'inizio del libro nei testi introduttivi di Laura Archera Huxleye, Deanna McKinstry-Edwards e David Jay Brown sia nella  Postfazione di Gaetano Cipolla.




Il libro è suddiviso in 24 capitoli che raggruppano aforismi e riflessioni sull'ambiente, il Tao, la censura, l'anima, la libertà, la filosofia, l'illuminazione, l'equilibrio interiore, l'inconscio, il silenzio, il passato, la società, l'arte, la vita, la morte...  

Il verde  e gli alberi della copertina suggeriscono una similitudine per comprendere la natura e la composizione del libro: viene da pensare alle raccolte di foglie secche di varie piante che gli studenti assemblano come compito assegnato dagli insegnanti, ogni foglia lanceolata palmata aghiforme cuoriforme etc. viene fissata su una pagina col nome scientifico dell'albero a cui rimanda. 
Alcune foglie dalla simile forma si possono confondere, ma come ci si può sbagliare dinanzi ad una foglia di alloro con il suo odore  esotico e inconfondibile?

Lo stesso avviene con gli aforismi poetici di Simenzi di l'arma: pur nella stringata sintesi, rinviano inconfondibilmente a più complessi sistemi filosofici, a ben determinati insegnamenti ascetici, a fedi religiose, a correnti di pensiero, insomma, ai territori più disparati: una vallata di echi nel grande anfiteatro del tempo.




Territori percorsi dagli uomini di sempre attrezzati di filosofie religioni bizzarrie, territori mentali, esperienziali, non circoscritti in una sola area geografica né in un solo tempo né espressi con una sola lingua. Non esclusa quella siciliana, sostiene Gaetano Cipolla, che la ritiene anzi adeguata in altezza ed estensione ad esprimere concetti e ragionamenti. 



L'odierna traduzione è una controprova di questi convincimenti ed una sfida: azzarda di aggiungere senso e non di sottrarne ai pensamenti dell'autrice, attraverso la lingua siciliana, nota, praticata e studiata soprattutto per altro: uso comune, saggezza popolare, poesia, teatro, e, se vogliamo, prosa. Gaetano Cipolla lo sa bene, da professore, da lettore, da studioso, da traduttore, da editore che ha fatto conoscere la letteratura siciliana agli anglofoni traducendo copiosamente dal siciliano in inglese, ad iniziare dalle opere del Meli.

Il rapporto tra le due lingue, come ben si evince dall'attività di traduttore del Cipolla, non è di semplice sostituzione di parole ma di osmosi, di scambio, di reciproco arricchimento: se l'americano serve per far capire i testi pensati in americano con riferimento alla cultura angloamericana, in senso opposto, il dialetto esprime quei concetti e quelle riflessioni come se fossero stati pensati originariamente in siciliano con le peculiarità semantiche e sonore del siciliano.
Ci sarà riuscito?

La risposta è affermativa se la lettura in siciliano produrrà quegli stessi effetti che Laura Archera Huxley  in Prefazione attribuisce alla lettura originaria.


E' una bella scommessa, questa traduzione in siciliano, perché nulla si deve togliere alla forza suggestiva di convincimento e persuasione di un libro che ambisce a spargere "semi dell'anima" così come il libro dei Tarocchi o l'I Ching ovvero il Libro dei Mutamenti, e come questi classici della saggezza millenaria poter essere usato, secondo David Jay Brown "come uno strumento oracolare, interattivo, ponendo un quesito e aprendo il libro a caso per vedere che nuove illuminazioni possono nascere da un particolare seme dell'anima".


L'Autrice






Alcuni aforismi








lunedì 19 gennaio 2015

LA METAFORA NON E' UN INDIRIZZO DI POSTA ELETTRONICA






Io fantastico, gioco con sfuggenti pensieri e taluni mi accusano di parlare (soprattutto scrivere) in metafora perché, come i "bravi" al rintocco della campana nei Promessi Sposi, si sentono chiamati per nome, cognome, soprannome e titolo di studio; se la sentono, reagiscono, sibilano offensivi e triviali contrattacchi; credendo che gli altri siano ottusi, portano tutto in chiaro, sbagliando, e con poco senso dell'umorismo.

Ma metafora e umorismo sono una specialità comunicativa, che pur ha esempi illustri, accede talvolta all'espressione artistica, ognuno li intende come vuole e li applica a suo piacimento e a occasionale intendimento a chi vuole.

Sono come gli anelli di ferro (aniddrièttu al singolare), ma ve n'erano anche in pietra, attaccati sulla parete esterna delle case di una volta, chi voleva poteva annodarvi provvisoriamente le redini (li riètini o cuddràna) del proprio asino o del proprio mulo. Giusto il tempo di sbrigare qualche faccenda che si aveva tra le mani.

Terminata l'incombenza, il proprietario slegava le redini, si riprendeva la propria bestia e lasciava libero l'anello di ferro, pronto e disponibile per altre cavezze.






Sono tecniche retoriche, insomma, pepe e sale per condire i fantasticamenti, e non certo casellari anagrafici.

Le metafore volano, le offese restano. Le prime sono generiche, generali e generalizzanti; le seconde, ad personam.



Link correlato

http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/11/che-centra-il-castelluccio-con-carminu.html