- ▼ settembre (25)
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- BEPPE CINO CI RIPROVA?
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Blog di Piero Carbone (da Racalmuto, vive a Palermo). Parole e immagini in "fricassea". Con qualche link. Sicilincónie. Sicilinconìe. Passeggiate tra le stelle. Letture tematiche, tramite i tags. Materiali propri, ©piero carbone, o di amici ospiti indicati di volta in volta. Non è una testata giornalistica. Regola: se si riportano materiali del blog, citare sempre la fonte con relativo link. Contatti: a.pensamenti@virgilio.it Commenti (non anonimi). Grazie
martedì 30 settembre 2014
TERRA DI ERETICI E DI SANTI
TERRA DI ERETICI E DI SANTI
Racconto
Racconto
“- E perché non me le conti? -
disse l'altro, - non vedi che
la strada par
fatta apposta per parlare e per ascoltare? -.
E cosí, via facendo, io gli parlai di
quei ragionamenti…”
Platone, Il convito, trad. Francesco Acri.
E siddru
è veru?
ANONIMO
E se fosse vero?
- Dove ci vediamo?
- Alla Piazzetta.
Con questo ritornello gli amici
a Racalò si congedano dandosi appuntamento per il prossimo incontro. Distante
dalla Matrice un centinaio di metri, la
Piazzetta è uno slargo del corso principale circondato da storici palazzi.
Quello più storico ha una facciata con tre ordini di finestre ben allineate da sembrare sfondo teatrale. L’ha voluto un benestante, occultando con impudenza sacrilega la visione della facciata di Sant’Anna, una chiesa frequentatissima.
Nella vecchiaia se ne pentì: divenne cieco.
Ebbene, in questo naturale teatro si sono sempre tenuti i liberi comizi; è tappa obbligatoria delle processioni religiose e dei cortei di protesta, un tempo vi sostavano i cantastorie. Qui, in un andirivieni eterno, si consumano imprevedibili passeggiate.
Quello più storico ha una facciata con tre ordini di finestre ben allineate da sembrare sfondo teatrale. L’ha voluto un benestante, occultando con impudenza sacrilega la visione della facciata di Sant’Anna, una chiesa frequentatissima.
Nella vecchiaia se ne pentì: divenne cieco.
Ebbene, in questo naturale teatro si sono sempre tenuti i liberi comizi; è tappa obbligatoria delle processioni religiose e dei cortei di protesta, un tempo vi sostavano i cantastorie. Qui, in un andirivieni eterno, si consumano imprevedibili passeggiate.
Durante una di queste
passeggiate, qualcuno accese la miccia.
- Racalò si
contraddice - disse.
Fu l’avvio di
un fuoco dialettico.
- Perché?
- Perché è
terra di eretici e di santi.
- Di eretici.
- No, di santi più che di eretici. Conta le
chiese.
- E tu conta le bestemmie.
Né il
conteggio delle chiese né quello delle bestemmie avrebbe fatto mutare mai
convinzione ai sostenitori dell’una o dell’altra tesi, ognuno adduceva le
proprie ragioni e intanto passeggiando passeggiando s’ammazza il tempo, a
Racalò: volano così le mattinate, i pomeriggi, ogni tanto entrando e uscendo
dai bar per socializzare un caffè in due o due caffè in quattro o quattro caffè
in non si sa quanti amici e conoscenti.
– Siamo
agli arresti domiciliari, - ebbe a dire una volta Chiochiò, dal nome tronco come quello del
paese in cui risiedeva. – Che facciamo? Pendoliamo avanti e indietro, a dire
sempre le stesse minchiàte, dalla Matrice alla Piazzetta e dalla Piazzetta alla
benedetta Matrice.
Ad un giornalista, piombato da quelle parti
dopo una raffica di diciassette suicidi in un anno, il nostro pensoso
personaggio espresse tutta la sua insofferenza:
– Vorrei essere
di Barcellona, - disse all’inviato.
Ci rimase male
tutto un paese. Mai si capì se
Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, dove si trova il manicomio
criminale o Barcellona catalana dove si passeggia nei famosi viali dal Majestic
alla Plaza de Toros.
Aveva ragione però, e tutti ne erano
consapevoli, il passeggio e il caffè erano come una droga, a Racalò, anche i
discorsi che si facevano, sempre gli stessi, ma se qualche volta trapelava un
argomento diverso, ci giravano intorno apparentemente distratti e poi non lo
mollavano più, per giorni o settimane.
Chiochiò una mattina se ne uscì col dire
quello che aveva sentito in treno da un passeggero salito con altri pendolari
alla stazione di Aragona Caldare, era la
definizione di Racalò quale ”terra di eretici
e di santi”. Egli la riferì sicuramente
per contestarla, ma non gliene diedero il tempo, i compagni di passeggio:
scendendo verso la Matrice, incominciarono a
rimbalzare opinioni diverse in proposito fino a polarizzarsi, quando
risalirono verso la Piazzetta, in due
estremi inconciliabili. Dalla Matrice alla Piazzetta, si incarognivano
quelli che sostenevano la tesi.
Dalla Piazzetta alla Matrice, quelli che sostenevano l’antitesi.
Dalla Piazzetta alla Matrice, quelli che sostenevano l’antitesi.
Anche Chiochiò, di ritorno verso la
Piazzetta, dovette prendere posizione
nel dibattito da lui stesso provocato, per non farsene espropriare; si trovò costretto a parteggiare per il
partito dei santi poiché Raffieli, che gli stava antipatico, aveva abbracciato
inaspettatamente l’altra mezza definizione di Racalò.
Raffieli, di una certa cultura o forse non
tanto certa, alto, magro, pelato, tanto che lo soprannominavano “Sbirgitella” a
somiglianza della varietà di pesca piccola, liscia e gialla, probo uomo di
chiesa, con sette figli a carico, ora in
pensione precoce, era così religioso e intollerante da sembrargli, tutti gli
altri, dei dannati miscredenti ed
eretici. E portò un esempio.
- L’anno scorso, - incominciò a raccontare,
- è successo che una mula si è inginocchiata alla processione del corpusdomini ma
il padrone voleva andare a casa e perciò la punzecchiava, tanto che il prete
sotto il baldacchino, agitando l’ostensorio, ha rimproverato lo scoscenziato
padrone invitandolo a prendere esempio dalla sua mula, "nginòcchiati!" gli
disse con tono di comando. Questo che significa? – concluse Raffieli, - che a Racalò pregano le bestie! che sono più devote degli uomini!
All’opposto ovviamente doveva pensarla il miscredente Chiochiò.
Piccolo, infarinato di legge e di politica avendo lavorato in un ufficio del capoluogo, segaligno, comunista, insofferente del sacramento della confessione, ce l’aveva con i “cattolici di nome” e non “di fatto”.
Piccolo, infarinato di legge e di politica avendo lavorato in un ufficio del capoluogo, segaligno, comunista, insofferente del sacramento della confessione, ce l’aveva con i “cattolici di nome” e non “di fatto”.
- Vanno in chiesa – s’infuriava - per andare a dire al parrìno i peccati
degli altri e non i propri! Ma perché ognuno non si svacanta le quartare
proprie?
Tuttavia, per merito di alcuni cattolici genuini, semplici come la
ricotta, Racalò, secondo lui, poteva dirsi “terra di santi”, mai di eretici! Intanto, l’esempio della mula
non lo convinceva, semmai significava un’altra cosa, che non basta
inginocchiarsi come lo può fare una mula per sentirsi a posto con la coscienza.
- Io sono per la dignità dell’uomo, -
diceva, - e per averla uno non deve neanche
essere per forza cattolico di sacrestia, ma se ce l’ha, la dignità, ed è
anche cattolico, vuol dire che è cattolico veramente, è un santo, che è la stessa cosa, come dice
il Papa. Io non posso credere che a Racalò non ci sia per niente dignità.
- Non c’entra, - ribatteva Raffieli, cioè Sbirgitella, fermandosi
davanti all’antica chiesa del Santissimo, - una cosa è essere santi, un’altra
essere cattolici -. Forse Sbirgitella pensava alla facoltà di fare miracoli.
Pensando, camminavano; fecero una ventina di passi.
- E allora, - volle chiarire Chiochiò, in prossimità dell’Antica Pasticceria,
avanzando di un altro passettino, - ti porto io un esempio e poi mi dirai se
suor Celeste Villanova è una santa o una cattolica.
Raccontò che in periodo di guerra,
alcuni soldati tedeschi trovarono rifugio nell’Ospedale dove suor Celeste era rimasta pressoché sola a
soccorrere i militari feriti, fra i pericoli delle incursioni aeree. Scoperti,
i feriti tedeschi divennero mira dei
fucili mitragliatori americani. Suor Celeste che era un donnone, col suo
corpo fece scudo ai tedeschi, gridando
in faccia agli americani: “Non è possibile! Non è giusto!”. Nessuno comprese le
sue parole, fatto sta che quelli chissà cosa pensarono e abbassarono le canne
dei fucili.
- Santa o cattolica? – concluse Chiochiò.
Raffieli non si diede per vinto. – Suor Celeste con i racalesi non
c’entra, - disse.
Infatti, fin da giovanissima era andata via dalla natia Racalò e
l’Ospedale dove avvenne il fatto era a cento chilometri di distanza.
- Piuttosto, - disse quasi a
concludere Sbirgitella, - come mai ti metti a dire che il nostro è un paese di
santi per merito di alcuni, tu che sei un comunista mangiapreti e non ti
confessi mai, e per giunta vai dicendo di non credere ai preti né all’inferno e manco al
paradiso? Non sei tu quello che va ripetendo
a monaci e parrini vìdici la missa e stoccaci li rini?
- Hai ragione – rispose Chiochiò. – Non ci credo. A me la scomunica non fa né caldo né freddo.
Ripristinati i ruoli per come dovevano andare, Chiochiò tornò ad essere l’avvampapreti
e Sbirgitella il baciapile. Le altre discussioni mattutine in prossimità del
pranzo volsero al termine senza eccessivi appassionamenti.
Al momento di salutarsi, Chiochiò, rivolto a Raffieli, ribadì la fallacia
del Papa, il nepotismo dell’arciprete, le tresche delle monache, l’infondatezza
dei miracoli, la non esistenza del paradiso, rievocò certe sue teorie libertine
su Gesù e il prediletto Giovanni, la Madonna e la pentita Maddalena, da farlo
bruciare vivo come eretico nella pubblica piazza; poi, arretrando di un passo
come per prendere la giusta distanza, col collo reclinato, alzò lateralmente lo
sguardo verso Sbirgitella, e proruppe:
- Pure io
faccio dire una volta all’anno la messa alla buonanima dei miei morti. E pago
la “pagellina” del Terzordine carmelitano.
- A che serve
se non ci credi! – gli fu obiettato.
- Di crederci
non ci credo, - rispose Chiochiò. – Però non si sa mai. E siddru è veru?
Già pensava
alle discussioni dell’indomani, ed era piuttosto contento.
© Piero Carbone
lunedì 29 settembre 2014
PER NON TACERE, PER NON DIMENTICARE
Un pensiero, un ricordo, con le parole di un'amica:
"Per i genitori di Laura e Carmelo: se potessimo condividere questo gran dolore, facendocene carico un pezzetto ciascuno, ed alleviare un poco la loro pena... Ma non si può fare niente, niente..." (Giovanna L.)
http://luciogiordano.wordpress.com/2014/09/27/dramma-nellagrigentino-muoiono-due-bambini-travolti-dal-fango-delle-maccalube/
"Per i genitori di Laura e Carmelo: se potessimo condividere questo gran dolore, facendocene carico un pezzetto ciascuno, ed alleviare un poco la loro pena... Ma non si può fare niente, niente..." (Giovanna L.)
http://luciogiordano.wordpress.com/2014/09/27/dramma-nellagrigentino-muoiono-due-bambini-travolti-dal-fango-delle-maccalube/
domenica 28 settembre 2014
UNA FOCACCIA CHIAMATA "MPIGNULÀTA"
VARIA IL NOME E CAMBIA LA SOSTANZA
(NON SOLO IL CONDIMENTO)
Essa comunemente si chiama nfigghjulàta o anche mpigliulata (nei dialetti della Sicilia centrale). [...]
Gli ingredienti [...] sono la carne tritata o la salsiccia sbriciolata insieme alle olive nere e alla cipolla soffritta, nell’Agrigentino.
Gli stessi ingredienti a Noto e a Pachino (SR) vengono soffritti insieme a pezzetti di lardo. [...]
Nel Messinese (dove, pare, questo tipo di focaccia non è conosciuto) la parola nfigghjulata indica una frittata, fatta con uova sbattute insieme a formaggio grattugiato, prezzemolo o menta, aglio e arrotolata a mo’ di omelette. [...]
Attorno a questi due termini [...] ruotano una serie di varianti. Nell’ordine alfabetico sono: figghjulata, nfagghjulata, nfigliulata, nfrigghjulata, nfrugghjulata e nfugghjilata”.
E così via degustando, tra ingredienti fantasiosi e pronunce diversificate, anche se noto che nell’elenco il termine mpignulàta, secondo l’accezione fonetica racalmutese, non c’è, ma forse, anzi sicuramente, la colpa non è dello studioso bensì mia, per non aver onorato a suo tempo con l’amico Melo (da Carmelo) la promessa di una degustazione annunciata.
Salvatore C. Trovato, La fiera del Nigrò. Viaggio nella Sicilia linguistica, Sellerio editore, Palermo 2006
E così via degustando, tra ingredienti fantasiosi e pronunce diversificate, anche se noto che nell’elenco il termine mpignulàta, secondo l’accezione fonetica racalmutese, non c’è, ma forse, anzi sicuramente, la colpa non è dello studioso bensì mia, per non aver onorato a suo tempo con l’amico Melo (da Carmelo) la promessa di una degustazione annunciata.
sabato 27 settembre 2014
C'ERA UNA VOLTA LA... CALLIGRAFIA
Non si scrive più a mano. Se si scrive, si scrive male. E' opportuno allora ricordare che c'era una volta la calligrafia, ma soprattutto un metodo per insegnarla con tanti esercizi per apprenderla.
venerdì 26 settembre 2014
BEPPE CINO CI RIPROVA?
La storia procede a zig zag, il suo procedere è misterioso e capriccioso, fatto di arresti imprevisti e ripartenze inaspettate.
Sulla scia del film Diceria dell'untore, ispirato all'omonimo romanzo di Gesualdo Bufalino e realizzato nel 1990, sembrava che l'annunciato progetto riguardante la trasposizione cinematografica delle sciasciane Parrocchie di Regalpetra dovesse giungere in poco tempo al suo traguardo.
A questo progetto accennavo nel 1995 su "Lumìe di Sicilia" riproponendo la recensione di Gianfranco Marrone pubblicata nel 1991 su "Nuove Effemeridi".
Invece, per imprevisti o impedimenti o ripensamenti o chissà altro, per lo zig-zagare della storia appunto, il progetto non è andato in porto.
Nel frattempo, il regista Beppe Cino ha continuato il suo cammino nel mondo del cinema, ha realizzato altri film, ha raccolto copiosi frutti, ma a distanza di tanti anni chissà se avrà voglia di rispondere all'odierno interrogativo o addirittura avvalersene come un pretesto per ripensare alla fattibilità di quell'antico progetto? Ci riprova?
Gianfranco MARRONE, "Nuove Effemeridi", anno IV, n.13, 1991/I |
. Lumìe di Sicilia, n. 24, giugno 1995 |
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su Beppe Cino
http://it.wikipedia.org/wiki/Diceria_dell'untore_(film)
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http://movieplayer.it/articoli/la-sicilia-degli-anni-50-rivive-in-quell-estate-felice-di-beppe-cino_5446/
su Gianfranco Marrone
giovedì 25 settembre 2014
IPOTESI DI VIAGGIO DI UN PITTORE PITTORE. Guido Quadrio
Guido Quadrio non c'è più ma la sua arte ha continuato a viaggiare.
Una testimonianza del 2000 e la donazione del 1996.
I milioni di cui si parla nell'articolo indicano lire £.
n. 38, febbraio 2000 |
errata corrige: scianiani = sciamani
Link correlato:
Carmelo Pirrera ricorda Guido Quadrio
(pag. 7)
Foto © archivioepensamenti
mercoledì 24 settembre 2014
TRA IL DIAVOLO E L'ACQUA SANTA. A Gaspare Agnello il Premio antimafia "Salvatore Carnevale"
la premiazione il 23 settembre a Galati Mamertino (Me)
"Sono stati assegnati i premi antimafia Salvatore Carnevale, indetti dalla fondazione socialista antimafia Carmelo Battaglia, presieduta dal docente universitario Antonio Matasso.
La scelta è caduta sullo sceneggiatore Nicola Badalucco, candidato al premio Oscar per il film “La caduta degli dei” e già giornalista del quotidiano socialista Avanti!, su cui denunciò i responsabili della morte di Carnevale; Placido Rizzotto, dirigente della Cgil e nipote omonimo del sindacalista ucciso dalla mafia a Corleone il 10 marzo del 1948; gli ex sindaci di Capo d’Orlando, Nino Messina (Dc) e Carmelo Giuseppe Antillo (Psdi), che ebbero un ruolo determinante nel sostenere la rivolta dei commercianti orlandini contro il racket;
e lo scrittore Gaspare Agnello, storico militante socialista che presentò mamma Carnevale alla famiglia Nenni, appena dimessosi da giurato del premio letterario Racalmare-Leonardo Sciascia, per protestare contro l’inclusione tra i finalisti del killer Giuseppe Grassonelli, fondatore della Stidda, condannato all’ergastolo."
Nella cronaca di Maria Chiara Ferraù si legge tra l'altro:
"...appena dimessosi da giurato del premio letterario Racalmare-Leonardo Sciascia, per protestare contro l’inclusione tra i finalisti del killer Giuseppe Grassonelli, fondatore della Stidda, condannato all’ergastolo."
Un Premio insomma richiama l'altro e tutti e due, tramite il riferimento alla stessa persona, si prestano ad alcune considerazioni col sottofondo di un unico live motive:
NON SI PUO' ACCONTENTARE TUTTI CONTEMPORANEAMENTE, NEANCHE SE IN LUOGHI DIVERSI.
Questo Premio intestato a Salvatore Carnevale mi sembra la chiave di certe scelte coraggiose e di coerenza nei confronti di altri Premi. Non si può conciliare tutti e tutto contemporaneamente, anche a pagare un prezzo altissimo. Gli altri semmai capiscano e ne traggano le logiche conseguenze. Invece hanno reagito male alle sue dimissioni.
Altro che, tramite una testata contigua, rievocare vicende giudiziarie inconsistenti o scagliare al suo indirizzo certi commenti acidi, nervosi e molto eloquenti, veri e propri inviti al silenzio, quasi si trattasse di impertinente monelleria (questa musica non mi è nuova): "Non faccia, quindi, la vittima, e abbia la compiacenza, se lo ritiene opportuno, di chiuderla qui". Che tono! Che bon ton! Che supponenza!
Riferendomi al dimissionario Gaspare Agnello ritengo che il suo gesto, le sue dichiarazioni nell'intervista a Paolo Liguori sui criteri della scelta dei libri finalisti, avrebbero dovuto aprirla, una discussione, una riflessione, seria, pacata, rispettosa di tutti i nomi interessati e coinvolti, ieri, oggi e... domani.
Ma forse, dopo la sortita polemica e la fortuna arrecata in termini di pubblicità, col suo boato, a ciò e a chi voleva contestare, ragionare non serve più. Disturba.
La vera impertinenza però è della storia che segue testarda il suo corso, e ora invera ora smentisce: nel suo caso, il Premio Carnevale non confligge con le sue precedenti scelte, anzi, le avvalora.
Altro che, tramite una testata contigua, rievocare vicende giudiziarie inconsistenti o scagliare al suo indirizzo certi commenti acidi, nervosi e molto eloquenti, veri e propri inviti al silenzio, quasi si trattasse di impertinente monelleria (questa musica non mi è nuova): "Non faccia, quindi, la vittima, e abbia la compiacenza, se lo ritiene opportuno, di chiuderla qui". Che tono! Che bon ton! Che supponenza!
Riferendomi al dimissionario Gaspare Agnello ritengo che il suo gesto, le sue dichiarazioni nell'intervista a Paolo Liguori sui criteri della scelta dei libri finalisti, avrebbero dovuto aprirla, una discussione, una riflessione, seria, pacata, rispettosa di tutti i nomi interessati e coinvolti, ieri, oggi e... domani.
Ma forse, dopo la sortita polemica e la fortuna arrecata in termini di pubblicità, col suo boato, a ciò e a chi voleva contestare, ragionare non serve più. Disturba.
La vera impertinenza però è della storia che segue testarda il suo corso, e ora invera ora smentisce: nel suo caso, il Premio Carnevale non confligge con le sue precedenti scelte, anzi, le avvalora.
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martedì 23 settembre 2014
ORTO E ARTIGLI
Ben detto, rispose Candido, ma intanto bisogna coltivare il proprio orticello.
Voltaire, Candide
e poi distese i dispietati artigli
Dante, Inferno
lunedì 22 settembre 2014
SCILOCCU DI L'ARMA. SCIROCCO DELL'ANIMA
Giorni di scirocco, scirocco settembrino.
C’è chi lo detesta, questo alito africano
che sembra staccarsi dal magma fuso; fa ansimare; io non so se essergli grato: ieri,
nel viaggio di ritorno da Racalmuto a Palermo, mentre dai vetri abbassati entrava
caldo liquido, mi risuonavano a intermittenza certi versi; grazie alle piazzole
di sosta ho potuto appuntarne sulla carta alcuni.
Arrivato a destinazione, ho
cucito in sequenza i versi racimolati e sintetizzato con un titolo.
Sciloccu di l’arma
Lu vientu di sciloccu m’accarizza
comu minna di sita vellutata
cummoglia comu un guantu l’arma mia
hiatu d’amanti ardenti ca hiatìa
si s’alluntana vuogliu ca ritorna
ritorna comu serpi petri petri
acqua di mari callu chi m’annaca
nni la naca naturali di me matri.
Puntu.
Un juonu dura, o du’, ma po’ finisci.
Un acquazzuni, e tuttu splavitìsci.
Sccccciiii…
© Piero Carbone
Scirocco dell’anima
Il vento di scirocco mi accarezza
Come un seno di seta vellutata
Che ricopre come un guanto l’alma mia
Fiato d’amante ardente che respira
Se si discosta voglio che ritorni
Ritorni come serpe tra le pietre
Acqua di mare tiepido mi dondola
Nell’amaca naturale di mia madre.
Punto.
Dura un giorno, o due, ma poi termina.
Un acquazzone, e tutto s’attenua.
Scccciiii...
Racalmuto-Palermo, domenica 21 settembre 2014