SCIASCIA AL BAR E IL QUATTORDICENNE SAVONA





Un ragazzo quattordicenne scorge in un bar di Palermo  il famoso scrittore Leonardo Sciascia e non trova nemmeno il coraggio di avvicinarglisi per chiedere un autografo su un suo libro che stava leggendo: lo avverte così vicino, così lontano, sempre per effetto della stessa ammirazione, alla fine se ne va lasciando lo scrittore davanti alla sua tazzina di caffè e portando con sé quella visione del "suo" Sciascia come un inaspettato tesoro regalatogli dai libri amati e da un quasi fortuito incontro.

1.


Chissà se Matteo Collura pensava ache ai futuri Savona quando nel 1991scrisse la prefazione al volume collettaneo Ricordare Sciascia col suo "auspicare che a parlarne o a scriverne siano coloro i quali abbiano su di lui qualcosa di utile da dire o da scrivere; e che soprattutto non serva, il ricordo di Sciascia, a patetiche messe in mostra".


Ma "utile" in che senso - verrebbe da chiedersi - e a chi? 

Non penso sicuramente si riferisse alla utilità di acquisire titoli per affermazioni e visibilità accademiche e giornalistiche, come invece pare sia puntualmente avvenuto.


Era inorridito, Collura, da quello che aveva osservato all'indomani della morte dello scrittore: "Sì, perché ognuno parla di un suo Sciascia, sciorinando verità che fino a quando Sciascia era vivo aveva tenuto dentro per 'rispetto del maestro'".


Concordo con Matteo Collura che di Sciascia se ne sarebbe e se ne sia scritto in modo utile, e, aggiungo, anche strumentale, una ragione in più per apprezzare l'odierna testimonianza di Alessandro Savona: fresca schietta disinteressata.
Un vero documento che testimonia come lo scrittore di Racalmuto venisse percepito e come sarebbe stato testimoniato al di fuori della esclusiva cerchia degli sciasciani di stretta osservanza e spesso di personale convenienza.


Anche Savona pertanto  può dire legittimamente "il mio Sciascia" perché, come ha scritto sempre Collura, tra prerogative esclusiviste di accaparramento testimoniale e ragionevoli aperture di un discorso critico: "Nessuno potrà dire: io sono l'unico vero custode della sua memoria."

2.




“Nel 1966 sarà pubblicato A ciascuno il suo
Nel 1981, appena quattordicenne, vorace di letteratura, lessi gli ultimi capitoli di questo libro a pochi metri dalle vetrine del summenzionato bar. Durante una pausa decisi di andare a bere un bicchiere di acqua gassata, denominata seltz, non senza una punta di innocente snobismo dagli assetati che si avvicinavano al bancone di metallo lucido come specchio. 
Andavo fiero delle mie letture, e il potere ammaliante della scrittura mi aveva da tempo catturato senza indugi. 

Con 1'aria schiva di Laurana, il personaggio del professore protagonista del romanzo, mi rivolsi al più anziano dei camerieri che, con un sorriso privo di malizia, manifesto come sempre un'ossequiosa deferenza nei confronti di un ragazzino riccioluto, il cui cognome sembrava degno di rispetto forse per effetto retroattivo delle decisioni prese da quel nonno nei decenni precedenti, decisisioni grazie alle quali adesso il compunto cameriere vantava un rispettabile lavoro da Caflisch.
L'uomo lasciò cadere una fettina di limone tra le bollicine dell'acqua che, con gesto teatralmente energico, aveva fatto venir fuori da un sifone, infine mi porse il bicchiere. 

Fu mentre bevevo che mi accorsi di lui, Leonardo Sciascia, e per un attimo non credetti ai miei occhi. 
Lo osservai a lungo, magro e lungo com'ero, con il libro sotto al braccio e il bicchiere d'acqua nella destra. 
Cercai conferma negli occhi del cameriere e un piccolo cenno d'assenso procurò un'accelerazione dei battiti del mio cuore. 
Ero incredibilmente timido, quindi non mi avvicinai a Sciascia per chiedere una dedica. In compenso bevvi il bicchiere di seltz pù appagante della mia vita. 

Sul suo tavolino troneggiava una tazzina di caffe, accanto  a essa erano posti dei fogli di carta sui quali i gesti lenti di una penna apponevano piccoli, minutissimi segni. 
Poco discosta, su un posacenere di vetro, una sigaretta si consumava lentamente, mentre leggere volute azzurrine si congiungevano al pulviscolo accecante del tramonto."

Alessandro Savona, Caffè d'orzo, latte di mandorla e seltz, Gruppo editoriale Novantacento, Palermo 2013. Per gentile concessione dell'autore e dell'editore.






3.



1. Copertina del libro
2. Foto riportata nel libro del palazzo all'angole di via Libertà a Palermo che ospiterà la la Pasticceria svizzera Caflisch
3. Foto di Pietro Tulumello , in "Nuove Effemeridi" a.VIII, n.9, 1990/I


mercoledì 27 febbraio 2013

A QUALE SANTO VOTARCI




In tempi di crisi non si sa veramente a quale santo votarci.

Nel 1626, Agrigento, infestata dalla peste, escogitò una bella pensata per liberarsi dal flagello: non riuscendo a trovare rimedio che si rivelasse efficace decise di votarsi non ad uno soltanto ma  ad una molteplicità di santi, una sorta di assicurazione statistica nel caso uno o l'altro non fosse risultato decisivo.  

E oggi?

Se non è peste è disoccupazione, se non è colera è crisi economica, se non è moria è spread, e se non sono santi sono partiti.
Sperando che la loro moltiplicazione, come speravano gli agrigentini nel 1626, funzioni.

E intanto la peste...




«In nomine sanctae et individuae Trinitatis Patris, Filii et Spiritus Sancti — Amen.

« Questa magnifica città di Girgenti, conoscendo, che per li suoi peccati, et per giusto giudicio di Dio è stata visitata con la tribulatione del morbo contagioso, et vedendo, che di giorno in giorno cresce, e che non bastano li rimedy humani a guarirla, mettendo tutta la sua speranza in Dio padre, et in Gesù Christo suo figliolo, si revolgi a domandarli perdono, e chieder la celeste medicina della sua infinita clemenza, et pietà, et acciò maggiormente possi placare il suo giusto sdegno, recorre alla sua piatusissima madre, et alii santi suoi padroni et protetttori, acciò colla sua santa intercessione rendino 1'ira di Dio placabile.

Laonde li spettabili D. Andrea Del Porto, D. Franccsco Maria Montaperto, D. Juanni Gamez, et il dottor D. Marcello Trainti, giorati, con 1' intervento dell' illustrissimi e molto reverendi signori canonaci della Cathredale D. Corrado Bonincontro, D. Francesco Magro, Di Giovanni Carchia, D. Filippo Marino, D. Sigismondo Tagliavia, D. Vito Alaijmo, don Francesco Greco, D. Francesco Navarra, D. Epifanio di Mole, D. Gaspare Traina, D. Francesco De Fide e D. Thumasi Quaglia




suplichevuli, prostrati inanzi il ss. Sacramento, ed alii piedi della beatissima Vergine, promettono mandare con una torcia ad accompagnare il ss. Sacramento, che, quantevolte sonerà 1'orologio, dirsi l’ave Maria,
digionare le sette vigilie delle sette feste della Madonna,
et in honore della stessa la processione ogni anno alii ij d'agosto della reliquia delli santissimi capelli;
confirmano dippiù la laudabile consuetudine di farsi ognanno li festi dei santi Libertino,
Gregorio
et Gerlando
et Vittoria, nostri padroni;
confirmano dippiù la processione ognanno di s. Sebastiano,
ed anco si pigliano per devot' et avvocati d'essa città li gloriosi s. Rocco,
ed il beato Felici cappuccino;
ultmamente promettino fare la festa cola processione sollenne a s. Rosalia nel suo giorno,

et cossi esortino tutti li suoi successori e citatini in perpetuo a fare observare questi proponimenti, a gloria di Dio e della sua santa Madre, e suoi santi padroni e protettori. — Amen.

— A 27 aprile 1626.— Canonicus D. Philippus Marino compilator etc.

Dai Privilegi della Cattedrale, Vol. II, pag. 110 v. citati in Giuseppe Picone, 
Memorie storiche agrigentine, Agrigento 1984, seconda ristampa anastatica 
dell’edizione del 1866





I quadri e i disegni sono di Pietro D'Asaro detto "Il Monocolo di Racalmuto" (1579-1647).

lunedì 25 febbraio 2013

POLEMISTI DI IERI, POLEMISTI DI OGGI. E LUIGI RUSSO DI DELIA


         
         

Così scrivevo nella mia tesi di laurea oltre venticinque anni fa, Luigi Russo e la poetica della "colta barbarie",  ma nel rileggere oggi taluni passaggi credo se ne possano  trarre attualizzanti applicazioni. 

E' pur vero che le categorie o caratterizzazioni russiane, cambiano, trasformandosi nel tempo in altre imprevedibili e insospettate, ma non manca nuova materia da ricadere  sotto la mannaia affilata dei Russo di turno, ammesso che i novelli censori posseggano, del critico deliano, le alte doti intellettuali, il buon senso e la possanza morale.




 Scorrendo gli indici dei quattro volumi di prose polemiche che il Russo compose raccogliendo gli articoli pubblicati su varie riviste, ma soprattutto sulla sua “Belfagor”, notiamo che i temi attorno ai quali si coagulano i suoi interessi sono il trinomio politica-moralità-religione e l’altro trinomio intellettuali-educazione-cultura, con l’appendice dei ricordi e delle commemorazioni di amici e affini.




         Il raggruppamento dei temi corrisponde alla intensità della loro frequenza ma ancor di più ad una facilitazione di ordine espositivo, di fatto, i due trinomi tematici formano per Russo l’unica realtà dell’uomo completo che è artista e che è religioso, morale e politico, educando ed educatore: per lui la vita dello spirito non si divide in compartimenti stagno, la sua stessa polemica vorrebbe essere esempio politico di democrazia e di moralità, promotrice di cultura, azione essa stessa.

         I contenuti della polemica sono offerti di volta in volta dalle occasioni, ma è vero anche che il Russo è particolarmente sensibile alla polemica quando questa gli offre il destro per ribadire i suoi convincimenti teorici, il suo moralismo, per battere gli interni (prima che esterni) bersagli della sua mente, per accarezzare i suoi miti, per confermarsi nella sua fede.


         Le nozioni di metodologia, il rigore dei giudizi e i temi o motivi critico-polemici, in sede strettamente di polemica (particolarmente quella su riviste e giornali a grande diffusione) vengono ripresi e adottati ancora una volta, anche se mutato è il tono, che si è fatto irridente, canzonatorio, qualche volta avvelenato e/o velenoso.

Il “muliebrismo”, la “religiosità”, l’ “autobiografismo”, i valori della cultura siciliana e tutte le altre nozioni metodologiche, fatte valere questa volta come formule di senso comune e non dimostrativamente, tutti questi elementi li ritroviamo nelle prose polemiche, che vengono caratterizzate in senso umanistico. 

Anche nella polemica più aspra e più tecnicamente politica o di costume o sulla riforma della scuola, vi è sempre il letterato che scioglie la sua polemica in una prosa di esperto, fine letterato.



Lo stile è la spia del complesso mondo morale del polemista, della sua formazione, della sua professione di studioso, del suo gusto per le belle lettere. 
Ma forse il maggior pregio delle prose polemiche è nella dissimulata dottrina che traspare dall’andamento apparentemente “estravagante” e senza regole del discorso.

Lo stile, infatti, se non è una questione di tropi, ma, come diceva il De Sanctis, di pensiero e di umanità, rivela un pensiero che si è fatto agile e appassionato.
Abbandonato il tono medio e serioso, discorsivamente ragionante, della prosa critica più accademica, lo stile delle prose polemiche diventa più scorrevole e frenetico, e dà la sensazione di essersi sbarazzato di un peso: le immagini vengono caricate di originali significati , le citazioni e i riferimenti  estrapolati dal loro contesto originario vengono ad assumere un valore emblematico che bene illustra i nuovi contenuti e le nuove situazioni, l’aggettivazione è “umorosa”, i periodi si assottigliano di proposizioni, queste divengono essenziali in una coordinazione che vuole martellare una stessa idea ripetendola cento volte.



Nei movimenti di stile e di pensiero la polemica assume il carattere di una “esegesi dei luoghi comuni” dell’ideologia dominante e delle moderne mode culturali, filosofiche, politiche, estetiche, critiche, etc., ma di segno opposto a quella del francese Léon Bloy che ha scritto una tale esegesi agli inizi del nostro secolo. 

Se il Bloy, cattolicissmo, faceva convergere tutte le armi della logica e della caricatura contro lo stereotipo del “Borghese” laicista e ateo, lo storicista Russo (l’accostamento, per contrasto vale però per capire meglio lo stile del francese e del siciliano) rifrange il suo bersaglio polemico in una serie di figure-tipo:

 il “venticinquenne” o dell’incompiutezza; 
il “mistico-alfonso o del bigottismo”; 
il “poeta-puro” o dell’astrattezza; il “terzaforzista o terzaforzato” o dell’indecisione; 
il “cattolico-ateo” o dell’ipocrisia; 
gli “uomini d’ingegno” o del velleitarismo; 
le “anime belle” o dell’inconcludenza.





Foto proprie: busto di Luigi Russo, monumenti di Delia, targa commemorativa.

Sempre su Luigi Russo e la polemica:
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2012/09/elogio-della-polemica_13.html