sabato 17 dicembre 2016

L'INCONTRO A CASTELBUONO. Angelo Ciolino legge e "intellĕgit" poesia


Sabato scorso10 dicembre, a Castelbuono, c'è stata una amabile, puntuale conversazione sulla mia produzione dialettale con Mimma Conoscenti e Mariangela Pupillo, preceduta da una introduzione analitica e prolettica al tempo stesso di Angelo Ciolino.

Ripropongo il testo scritto di Angelo che ringrazio per lo scandaglio critico; il giudizio finale rimanda all'impegno e quindi alla responsabilità di chi scrive, anche in versi, anche in dialetto. P. C.



Alla mia destra: Mimma Conoscenti. Alla mia sinistra:
Mariangela Pupillo, Angelo Ciolino, Gianclelia cucco


VENTI DI SICILINCONIA ED ALTRI VERSI 
DI 
ANGELO CIOLINO

Presentare un poeta, non avendo scritto mai un verso, o parlare di sinfonie, non sapendo appoggiare con competenza le mani o la bocca su uno strumento musicale, potrebbe apparire velleitario e forse lo è. 
Ma la vera arte non è quella che si rivolge allo stretto pubblico di adepti o di esperti, bensì quella che affascina l’uomo comune, perché coglie e sollecita le corde più profonde dell’animo umano. Se poi quest’arte affonda le sue radici nella cultura ed identità popolare e in una coscienza civica sempre attenta ai temi sociali e politici ed alle problematiche che attengono alla giustizia ed alla libertà su un piano universale, non si può fare a meno di stimarla ed apprezzarla, come non si può fare a meno di farsi trascinare dal ritmo e dall’armonia di certi brani musicali.


A Nova Orquestra

Piero Carbone è tra quelle persone che hai incontrato solo occasionalmente e pure lo senti vicino e congeniale come se a lui ti legasse una consuetudine di esperienze e di percorsi intellettuali. Sin dal primo momento in cui si è profilata l’opportunità di una sua presentazione a Castelbuono mi è sembrato doveroso intervenire, come per un amico di cui si ammira l’operare e si apprezza il pensiero, con cui si pensa di essere sulla stessa strada pur non avendo quasi mai avuto occasione di scambiarsi opinioni e sentimenti.

Questa inconscia simpatia o stima ex intuito, posso pienamente confermarli oggi dopo avere letto le sue opere ed aver apprezzato  i suoi interventi in alcuni video sulla rete. Carbone è autore nel quale mi rispecchio con piacere; è poeta che ha saputo tradurre in versi tanti di quei sentimenti e riflessioni che appartengono alla mia stessa sensibilità, coscienza e cultura; è  intellettuale che ha saputo coniugare principi filosofici ed esperienze storiche con la musicalità del verso; è cantore della nostra terra nel rispetto di quelle radici “terragne” che solo chi ha nel sangue la cultura contadina sente pulsare nelle proprie vene.



Piero Carbone viene a Castelbuono da Racalmuto quasi a rinsaldare il legame tra il paese di Sciascia e quello di Antonio Castelli, a rilanciare l’impegno della letteratura nei valori civili e nella salvaguardia di una “sicilitudine” che è consapevolezza di una identità da tutelare, senza per nulla perdere quella libertà dello spirito “marino” che è proprio di tutti gli isolani, anche quelli dell’interno. 



Il nostro essere siciliani è aver consapevolezza di essere crogiolo di civiltà e popoli, continuo alternarsi e sovrapporsi di culture e linguaggi, apertura ed accoglienza: dai coloni greci che ci hanno portato la filosofia e la democrazia, ai romani e cartaginesi che ci hanno imposto la loro potenza e l’arte della guerra, dai bizantini ed arabi che hanno segnato la nostra architettura e la nostra scienza, ai dominatori di mezza Europa, fino, oggi, ai migranti che si accalcano sulle nostre coste.



Sempre per far risaltare il nostro legame vorrei ricordare che la lettura di tante poesie di Piero Carbone mi ha ricondotto a versi del nostro poeta Giuseppe Mazzola Barreca, così come l’attenzione per l’ambiente, la flora, le condizioni socio economiche mi ha ricondotto a tanti studi del padre della nostra scuola naturalistica, Francesco Minà Palumbo. 

E per validare queste osservazioni ricordo l’ultima pubblicazione presentata in questa sala dal nostro poeta Mazzola: “a ‘zubbagliata di lu picurari”, un poemetto sulla presenza e l’arte dei nostri pastori castelbuonesi sulle Madonie, miticamente figli del Dafni che risolve con la poesia le loro angosce. 



Ad essa mi ha riportato  la “ storia pi cantastorii – A lu raffu e saracinu” di Carbone (1998): qui protagonisti sono carrettieri e lavandaie, ma ancor più sono le fontane, l’incanto della campagna e il fuoco dei sentimenti. 
Russu è lu sangu comu russu è lu vinu  
oh, chi successi a lu Raffu e Saracinu  
… Sanguigni e russi su li paisani 

…Chianciti, schetti di San Giulianu 
ca l’acqua di lu Raffu ‘unn’è cchiu vinu 

… di sangu ora sunu allurdiati 

… Nivuretta nun fu di nessun omu 
sulu la morti l’appi di gran dunu. 

Una piccola tragedia rusticana che offre al poeta l’occasione per una pittura eccezionale di un ambiente naturale animato da personaggi umili e straordinari per la loro vitalità, laboriosità, umiltà, ma anche sagacia ed ironia. Ancora due versi a conferma: 


Un arburlu cummoglia li cannola
pariemmu ntre  na grutta pi friscura 
tutti l’anciéddi di l’autri cuntrati 
lu iuornu tutti cca stanni aggiuccati.

Ma passiamo dalla dimensione sociologico - politica della sicilitudine a quella poetica di sicilinconia un concetto elaborato da Piero Carbone su istanze di razionalità speculativa, ma anche come categoria poetica della sua liricità: solo un poeta che “giuoca” con le parole può usare lo stesso neologismo con due significati completamente diversi: sicilinconìa, che certamente richiama uno stato sentimentale, e sicilincònia con l’accento puntato sul fondamento, l’incudine dell’identità siciliana. 

A partire dal nostro essere continuamente trascinati, sbattuti, sferzati dal vento, anzi al nostro “essere vento” e quindi 
Essiri. Unn’essiri … 
Vientu, siemu vientu.  

Perché i sicilincunii sono: 
pinzera. 
pampini 
di vigna nvirdicata 
pampini 
di arvuli caduti. 

In questa duplicità c’è tutta la forza del “Pensiero” di Carbone che vive drammaticamente la condizione di sofferenza propria della nostra terra, ma è convinto che come fa il fabbro sull’incudine spetta a ciascuno di noi forgiare il nostro destino

ccu lu martieddru lu fierru ancora callu 
e lu fa addivintari nzoccu voli.

L’arte del nostro amico Piero ha sempre questa bivalenza: è pensiero che penetra e scaturisce nel sentimento; è sentimento di pensieri profondi e di analisi storiche, filosofiche, sociologiche e politiche. 

I temi della poesia partono sì dalla condizione esistenziale ma spaziano dai drammi della società contemporanea, (ingiustizia, guerre, migrazioni, mafie, corruzioni) alla precarietà della vita umana, all’enigma della morte. 

Il tutto mediante squarci di vita e di natura ma anche di emozioni, memorie e nostalgie. Bella quindi la sintesi di Miguel de Unamuno “ piensa el sentimiento, siente il pensamento”  per racchiudere insieme la cultura profonda e filosofica con la semplicità e direi la popolarità dell’espressione poetica. 
Ora sugnu 
comu ntre  diciemmiru la nuci:
si lu vientu tanticchia l’arrimina 
si scoddra di la rama 
e si mpussuna. 

In questo ultimo termine c’è una forza eccezionale, non è solo l’ungarettiana caduta delle foglie, ne la fatidica caduta della pera nella leopardiana “La ginestra”.

Ecco perché con le sue stesse parole non posso che incoraggiare Piero ad andare avanti: 


Forza, pueta, nun t’arritirari, 
dicila la parola ca ci voli,
judici un sì e ti tocca giudicari
 … Cunnanna a tutti, pueta della terra, 
cunnanna a tutti, pueta di l’uomini, 
l’uocchji un t’attuppari. 

Abbiamo tanto bisogno di questa poesia “libera” di chi non vuole scambiare “putiri pi putia” e vuole affermare che 
la virità è di tutti ed è di nuddu,
la virità e di cu la voli vidiri  

Anche perché la sua aspirazione è coraggiosa: 


pirciari vulissi li carni a li mpami, 
… grapiri li vini … diri pani pani, 
aliari n terra e cuntari li stiddi”.

Le poesie ambiscono ad andare oltre i limiti geografici di provenienza, dice Carbone, ma certo non trascurandoli o volgendo lo sguardo dall’altra parte: Bieddru castieddru miu ca ti scurdaru / … ca ncapu a stari / comu n’aquila cu l’uocchji grifagni…” .
I veri limiti della poesia ed anche i loro orizzonti sono quelli dell’animo umano con i profondi interrogativi: C’è la luna,/ la taliu/ e vuogliu diri:/ pirchì la morti”; con la capacità di indignarsi e la forza per combattere senza “ammutiri”, perché poeta della terra “chi sgramigni la facci a li patruna”  nei cui versi “la parola s’ava esseri di petri /ava esseri taglienti”.

Per concludere con l’impegno etico politico: la critica alla burocrazia del potere “ma ziu muriu aspittannu (la pensione), lo sguardo sulle miserie dei migranti che duoppu un annu di strania / si sunnava  lu paisi… e al tempo stesso la paura di essi “vinniru di ddravia li saracini”; l’indignazione per guerra  di“Carni di figliu” e la corsa agli armamenti “a Comisu scacciari li buttuna”  e l’interrogativo dinanzi alle stragi di mafia: ma quannu é ura di diri /“basta! basta!”, cosi    come “Era ura! che anche la chiesa si svegliasse dal sonno e dalla connivenza e dicesse “mafia è piccatu, piccatu sociali” e lo testimoniasse anche con i suoi martiri.


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