venerdì 27 dicembre 2013

SIAMO FATTI COSÌ. La saracinesca chiusa che mi ha aperto il centro storico di Castelvetrano




La serata era da lupi: pioveva, c'era freddo, ormai era buio, era Santo Stefano; tutte buone ragioni per non uscire da casa e starsene al calduccio o a giocare con gli amici. Ma la mostra chiudeva alle otto, otto di sera, e l'orario non lo si faceva dipendere dal maltempo. Almeno così diceva l'annuncio su facebook.  (O vuoi vedere che era in pausa natalizia e non l'avevo letto o non l'avevo arguito?)

Sennonché, arrivato, dopo tante informazioni, all'indirizzo giusto, trovo la saracinesca abbassata. La strada deserta. Ogni tanto i fari di qualche macchina fanno luccicare l'asfalto bagnato. 

Con una serata così, i responsabili della mostra avranno ritenuto poco utile tenere aperta la mostra e magari avranno anticipato di mezz'ora la chiusura pensando che i compaesani per visitarla avrebbero scelto un pomeriggio meno inclemente e i forestieri sarebbero stati improbabili. Invece... ho fatto tanta strada per ritrovarmi dietro una saracinesca abbassata. E non avevo  sbagliato indirizzo perché corrispondevano la via, il numero civico. Accanto alla saracinesca c'era anche la locandina pubblicizzata su facebook.

Che fare? E qui viene il bello! 
Quello che ho visto, scoperto e ammirato ad appena un centinaio di metri, racchiuso in qualche  centinaio di metri quadri, mi porta, anche se sembra strano, lo so, a ringraziare quella saracinesca abbassata mezz'ora prima della chiusura.



A Castelvetrano c'ero stato, ma quasi di passaggio si può dire, e mi era familiare per avere conosciuto il poeta Diecidue, l'editore Mazzotta,  Marilena Monti come direttrice del Teatro comunale, colleghi universitari, e poi era la patria di Giovanni Gentile. Ma niente di più.



A pochi passi dalla mostra negata, leggo con mia sorpresa l'insegna dell'abitazione del filosofo Giovanni Gentile, una casetta piccola, bassa, dignitosa, da cui aveva spiccato il volo un'intelligenza che nel bene o nel male si era imposta e fatta ammirare oltre il recinto paesano e isolano; svoltando l'angolo si ammira un vero sistema di Piazze, la fontana, il municipio, la chiesa madre, la chiesa barocca, il teatro Selinus, tanti bei palazzi signorili e storici, il lastricato di basole lucente per la pioggia insistente, quelle squadrate basole che hanno divelto al mio paese per rimpiazzarle col nero bitume,  e poi palme palme palme alte belle eleganti chiomate e subito capisco il senso di uno stemma scolpito nell'arenaria con la scritta

Civitas Palmaria Castrum Vetranum.





Man mano che scoprivo e ammiravo il centro storico di una cittadina dalla storia ragguardevole, assieme alle tante e alle solite riflessioni sulla ricchezza d'arte dei nostri comuni o sconosciuta o non valorizzata o lasciata alla malora, non sapevo più se essere dispiaciuto per la mostra chiusa mezz'ora prima o rammaricato di non avere visitato quei monumenti a prescindere, direbbe Totò. Riflessioni che non mi facevano ridere pur nella contentezza della scoperta. Anzi, quasi quasi si faceva largo un senso di colpa. Colpa non saprei se soggettiva, oggettiva: indefinita. Bisognava in qualche modo esorcizzarla più che espiarla. E come?  Ammirando e invitando gli altri ad ammirare questa nostrana Piazza dei Miracoli?!
Per fortuna avevo con me la macchina fotografica.



P.S. 
Se qualcuno obietta, diritto canonico alla mano, o Trattato del  Vasari sotto gli occhi, che non si tratta di miracolo di prima classe, faccio notare che la bellezza in quanto miracolo laico non necessita di gerarchica scala  per essere ammirata e che i suoi artefici, Pittori, Scultori, Archtetti, come scriveva il Vasari nel Cinquecento,  " degnissimi sono d'eterna memoria". 










































































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