mercoledì 30 gennaio 2013

NON BASTA ESSERE CONTE




Affacciato dal massiccio balcone del suo castello, il barone o conte che fosse, ammirava la vallata dei suoi possessi - l'ondulata linea delle colline delimitava ad anfiteatro le sue ambizioni baronali - e si confrontava idealmente con chi era più potente e chi meno potente di lui: 

vagheggiava, sognava, recriminava, ma non dimenticava che il castello, dev'egli si trovava, aveva le fondamenta in quel contado, di Rachalmutum Rayhalmutum Rayhalmut, e quotidianamente, in realtà, vedeva più contadini e pastori che viceré, conti e baroni. 


In fondo, al di là delle forme e dei giochi di società, proprio a quelli, umili,  più che a quegli altri, potenti,  doveva la sua condizione di agiatezza e comodità. 


Eppure, per amore di una battuta, mostrò irridente disprezzo contro uno dei suoi sudditi, cui in fondo doveva, se non proprio gratitudine, almeno umano rispetto. 


Con quella battuta, però, s'impigliò come un passero nella rete e  male incappò nella mordace irriverenza del suo suddito che, con naturale spirito ironico salvaguardò la propria dignità e gli fece sibilare alle orecchie una risposta coraggiosa, incurante delle pericolose conseguenze.






"Guarda che ti son cadute!"
disse altero Girolamo II a un contadino ch'era inciampato sotto il suo balcone.

"Eccellenza, le mie non possono essere perché ce l'ho ancora in fronte. Chissà a quest'ora chi le sta cercando!" 
rispose il contadino, sorpreso, prono, con voce d'usignuolo.

E ritto se ne andò, soddisfatto, ispezionandosi il capo.










Da "Eretici a Regalpetra" Grillo Editore, Enna 1997. Prefazione di Claude Ambroise.




6 commenti:

  1. Quando le cose son ben dette il plauso è d'obbligo, anche se in qualche scricchiolio con la storia ricostruita da pedanti con loro sangue e lacrime e denari si incorre. Se di Girolamo II si tratta, il titolo di conte è ineludibile,e sempre se di costui si tratta si abbia presente un atto di morte che ai miei tempi si conservava in Matrice il quale recitava: die 2 dicto (maggio 1622), il ill.mo d. Ger.mo del Carretto fu morto et sep.to in ecc.a S. Francisci per lo clero. Aveva manco 24 anni. Lo vogliamo far cornuto? Vogliamo dire che fu schioppettato per la gioia dei nostri non nobili avi che a dire di Sciascia quel giorno mangiarono con la salvietta?. Accomodiamoci! Solo che il poveraccio - anche se conte - cornuto lo fu davvero ma post mortem e per le voglie del fratellastro prete don Vincenzo del Carretto che prima si prese la parrocchia della matrice lasciando metà del paese alla cura del fratello di Pietro D'Asaro e poi, tremebondo, prossimo a morire, si costruì per gentilizia la chiesetta dell'Itria, beneficandola di buono. Il nome di Racalmuto? Ci accapigliamo in cinque o sei con versioni del tutto divaricate. A me basta che non mi dicano che dobbiamo ricorrere ad arabismi per designarci un paese di morti, anche per scaramanzia, la faccenda non mi fa né freddo né caldo. La toponomania per me è la scienza degli idioti. Calogero Taverna

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    1. Chi scrive cura la superficie levigata, lo storico scende in profondità. Grazie, Calogero.

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  2. Questo è un racconto. Lo è perché non dice, ma evoca. Poche immagini, qualche rigo di discorso diretto fanno intravedere al lettore un mondo sconfinato. È un racconto scritto bene perché ciascun lettore inevitabilmente si finge volti, gesti, colori, odori personalissimi, diversi da quelli immaginati da altri lettori, a conferma della validità degli assunti di Umberto Eco (Cfr. "Lector in fabula"). Lo scrittore non usa le parole per il loro valore denotativo, ma le connota in modo suggestivo. Stende sulle cose il proprio sguardo privilegiato, ci fornisce attraverso la scrittura un filtro che disvela verità nascoste agli occhi della gente comune. Ciascun lettore potrà fornire le proprie legittime e opportune precisazioni, anche a carattere storico, ma dal punto di vista narratologico “barone o conte che fosse” non solo non ha alcuna importanza, ma aggiunge valore letterario il non precisarlo, perché intensifica quel senso “vago e indefinito”, come diceva il poeta, che ci proietta nel sogno della narrazione. Quanto al resto, ritengo che “Eretici a Regalpetra” vada ripubblicato.
    Angelo Campanella

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  3. La condizione paritaria per rispondere all'Anonimo che "graziosamente" invia commenti è quella di essere anonimo. Ma qui, da parte del titolare del blog, non si può. Nè si vuole, in verità. Non si vuole per una ragione intrinseca e un'altra estrinseca. L'intrinseca, perché l'Anonimo è eslege. L'estrinseca perché nel dizionario etimologico di Ottorino Palmigiani "anonimo" è attaccato ad "anomalo" che lo precede:
    http://www.etimo.it/gifpic/00/3d5e27.png
    http://www.etimo.it/gifpic/00/3d5e3f.png
    http://www.etimo.it/gifpic/04/222238.png

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  4. I piú anziani raccontavano sempre questa storia, e molti invece di Conte lo chiamavano "Fitusu" riferendosi allo: Ius primae noctis

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